POMPEI: QUANDO IL SIMBOLO DI UNA CIVILTà RISCHIA DI DIVENTARE POLVERE

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    L”ultimo episodio di crollo registrato agli Scavi della città vesuviana è solo l”ennesimo esempio dello stato di degrado dei Beni Culturali italiani. L”oscuro presagio: prepararsi a dire addio alla memoria storica del nostro Paese.

    "Finché starà il Colosseo starà Roma. Quando cadrà il Colosseo finirà anche Roma. Ma quando Roma finirà, finirà anche il mondo".

    È questo il celebre detto attribuito a Beda il Venerabile, monaco, storico nonché santo inglese, cui si ricorre fin troppo spesso per avvalorare e pubblicizzare il patrimonio archeologico di cui gode la Capitale. Ma nell’ VIII secolo, Beda scriveva non dell’anfiteatro nel suo pieno fulgore, di quel luogo di spettacolo che accoglieva migliaia di spettatori e che, da subito, era divenuto, nell’immaginario collettivo, l’emblema delle fortune di Roma, dei suoi successi e dei suoi trionfi, ma di un edificio che aveva quasi settecento anni di storia alle spalle e quindi di un colossale rudere che continuava a vivere e a far rivivere la storia della Roma Imperiale, eppure continuava a morire giorno dopo giorno, segnato dall’ingrato e irreversibile destino che è di tutte le cose.

    Dunque, la profezia del Venerabile suona tutt’altro che un grido di trionfo: al contrario, è un allarme, un ammonimento sempre attuale. C’è di più: se nell’aforisma, come alle prese con un’ equazione algebrica, sostituiamo a “Colosseo” o a “Roma” un’altra incognita, ad esempio “Scavi di Pompei”, per la proprietà transitiva avremo che quando delle vestigia della città vesuviana non rimarrà in piedi più nulla allora cadrà il mondo e il risultato, quindi, non cambia; crollerà un mondo che trasuda storia, che ha insegnato per secoli il valore alto della cultura, crollerà un vero e proprio portale spazio-temporale, l’unico nell’Universo in grado di catapultare il visitatore indietro di quasi duemila anni facendogli vivere le magie dell’antica Roma.

    Ed ora di crollo “materiale” si è tornato a parlare, il 22 dicembre scorso: ha interessato un pilastro del pergolato della domus di Loreio Tiburtino, nella insula della II Regio, probabilmente causato dalle intemperie cui il sito è sottoposto. Ma quest’ultimo è solo l’ennesimo atto di un dramma andato in scena dopo gli episodi ripetuti del novembre-dicembre 2010 e quelli di ottobre 2011. Sulla vicenda è intervenuto l’archeologo Andrea Carandini, presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, che ha affermato: “L’allarme non è affatto chiuso. È una fortuna che sia crollato solo un pilastro esterno, poteva succedere molto di peggio […]. A Pompei i crolli si ripeteranno fino a quando non ci sarà la manutenzione ordinaria, che non è ancora cominciata. Nel frattempo si può puntellare quello che all’occhio sembra più a rischio. E sperare nella fortuna”.

    Riflessioni amare sullo stato di degrado cui il sito è condannato, dove si è costretti ad intervenire solo laddove il rischio è maggiore e sperare che Giove Pluvio ce la mandi buona. Una considerazione sul concetto di rovine è tutt’altro che consolatoria e rigira il coltello nella piaga della cultura: se la tradizione orientale manca del senso delle rovine tanto che, in Cina, i pittori e i calligrafi si astennero dal rappresentarle e, in Giappone, i templi sono ricostruiti ogni dieci anni e i giardini zen ogni giorno, quella occidentale è, invece, endemicamente legata a quelle testimonianze mutili “di una civiltà particolare, di una evoluzione significativa o di un avvenimento storico”, tanto da renderle linfa vitale della riflessione storica, artistica e letteraria.

    Così, come sottolinea Cesare Brandi in un celebre saggio, pietra miliare per gli interventi di restauro e recupero (Teoria del Restauro,1963), diventa fondamentale preservare quell’ “indivisibile unità” che caratterizza ogni opera d’arte e di architettura e che può continuare ad esistere e a manifestarsi anche se l’originale è ridotto in pezzi, allo stato di rudere. “Il fascino delle rovine è che un’opera dell’uomo viene percepita alla fine come un’opera della natura. Le stesse forze che danno alla montagna il suo aspetto – le intemperie, l’erosione, le frane, l’azione della vegetazione – qui hanno agito sui ruderi (…). Le rovine creano la forma presente di una vita passata, non restituendo i suoi contenuti o i suoi resti, bensì il suo passato in quanto tale”.

    Così parlò Georg Simmel, nel 1919. È un’altra, indispensabile testimonianza quella del filosofo tedesco che suffraga la necessità di preservare un patrimonio che forse non ci meritiamo, ma che dobbiamo cercare di mantenere in vita quanto più a lungo possibile, attraverso interventi mirati, “curandolo” senza strumentalizzazioni politiche. Gli Scavi di Pompei vanno tutelati prima che sia troppo tardi: in nessuna cultura, le macerie hanno mai potuto parlare delle origini e della storia di una civiltà.
    (Fonte foto: Rete Internet)

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