Finita la guerra, l”Italia è in ginocchio. Città distrutte, milioni di disoccupati, prezzi alle stelle, Paese politicamente diviso. Intanto, si fa largo a tutto ciò che è americano.
Di Ciro Raia
Il 1945, dunque, è l”anno della fine della guerra. Il Fascismo ed il Nazismo sono cancellati, ma ancora molti morti costellano il cammino delle nazioni e, in particolare, dell”Italia. Nelle regioni settentrionali continua, infatti, la lotta dei partigiani, temporaneamente frenata da un proclama “attendista” del generale inglese Alexander, col quale si suggerisce di cessare le operazioni organizzate su larga scala.
Le truppe angloamericane, in verità, temono che un eccessivo spazio di movimento alle forze della Resistenza possa contribuire a consegnare l”Italia nelle mani del comunismo. Ma i partigiani non si fermano e, spesso anche con eroiche azioni, concorrono a determinare il crollo del nazifascismo. Ad essi si deve, per esempio, la rotta dei repubblichini di Salò tra la Valtellina e la Valcamonica e ad essi va riconosciuto il contributo prezioso nelle battaglie di Bobbio (Val Pellice) o di Varzì nell”oltre Po pavese.
Tra il 23 ed il 25 aprile 1945 il CLNAI ordina di insorgere. Subito la città di Genova costringe alla resa la guarnigione tedesca del generale Meinhold; a Milano, con i partigiani che cantano “Bella ciao”, l”insurrezione è totale. Il 25 aprile l”Italia è finalmente libera dal giogo nazifascista. Nel capoluogo lombardo, inoltre, i capi del CLNAI –che dichiarano di assumere tutti i poteri civili e militari nelle regioni settentrionali- incontrano Mussolini e gli chiedono la resa incondizionata. Il duce non accetta e, con pochi fidi, fugge verso Como. I partigiani lo catturano, però, il 27 aprile a Dongo, sulla sponda occidentale del lago, mentre tenta di passare la frontiera svizzera o, forse, di raggiungere l”Austria attraverso la Valtellina.
Il giorno dopo il partigiano Walter Audisio, noto nella Resistenza come “colonnello Valerio“, lo fucila insieme a Claretta Petacci, da tempo amante dell”ormai deposto capo del governo, a Giulino di Mezzegra. Il cadavere di Mussolini è trasportato, insieme ai corpi di alcuni alti esponenti del fascismo (Nicola Bombacci, Alessandro Pavolini, Francesco Barracu, Achille Starace) a Milano, dove a Piazzale Loreto (luogo simbolo della lotta di liberazione: il 10 agosto dell”anno precedente, i corpi di 15 detenuti politici, fucilati dai fascisti italiani, erano stati lasciati in quel piazzale, sotto il sole, come monito alla popolazione!) sono abbandonati allo sbeffeggiamento della folla. Dopo poco più di vent”anni si chiude tragicamente la parabola del fascismo.
Intanto a Caserta, il 29 aprile, il tenente colonnello della Wehrmacht, Victor von Schweintz, firma la resa tedesca (senza condizioni) in Italia con i delegati delle forze alleate. Alle ore 24 dell”8 maggio 1945 cessano tutte le azioni di guerra in Europa. Una guerra che ha significato 60 milioni di morti, l”olocausto di 6 milioni di ebrei, innumerevoli città distrutte, infinite ed indimenticabili atrocità nei confronti della popolazione civile.
La fine della guerra presenta un”Italia più che in ginocchio. Intere città sono distrutte, rovinate le vie di comunicazione, decimata la marina mercantile. Torino e Milano, Bologna e Genova, Foggia e Cagliari, insieme a tantissime altre città, devono rinascere dalle proprie rovine. Necessita ricostruire i porti e le strade, gli aeroporti, gli elettrodotti, i capannoni industriali. Circa il 65% del patrimonio rotabile, dai locomotori alle carrozze passeggeri, alle merci, alle macchine a vapore, è andato distrutto o ha preso la strada della Germania, insieme alle truppe tedesche in ritirata. L”immenso capitale della marina mercantile è ridotto all”osso; il tonnellaggio pari a 3.300 milioni dell”anteguerra è solo un lontano ricordo.
Ora si sfiorano appena le 600 mila tonnellate.
L”agricoltura soffre della mancanza dei concimi, delle macchine e delle opere di irrigazione. Anche le scorte dei prodotti agricoli sono esaurite: sono servite, infatti, ai tedeschi, che ne hanno fatto razzia insieme ai capi di bestiame.
A questo quadro a tinte fosche vanno aggiunti, poi, i milioni di Italiani disoccupati, la svalutazione della lira, l”aumento vertiginoso del prezzo dei beni di consumo. E tutto accade in un Paese politicamente diviso in due. Da una parte le regioni del nord, irrobustite dalla lotta antifascista, sperimentate nelle forme di autogoverno delle repubbliche partigiane, pienamente consapevoli della collusione esistita tra monarchia e fascismo e delle conseguenti tragedie scaturite.
Dall”altra parte le regioni del sud, risparmiate dall”ultima offensiva bellica, tradizionalmente vicine alla monarchia, sfruttate dalle forze politiche moderate e conservatrici per fini meramente clientelari, impedite nella crescita politica dalla presenza degli alleati, disposti a difendere i Savoia pur di ostacolare il cammino ad una possibile penetrazione del comunismo.
E intanto, in tutto il Paese comincia ad imporsi il “modello americano”. Le truppe liberatrici, infatti, hanno contaminato i paesi che hanno toccato. A solo pochi giorni dalla fine della guerra l”americanizzazione ha portato la conoscenza della Coca Cola, del boogie-woogie, delle t-shirt e delle sigarette Camel, Chesterfield, Lucky Strike. Si assiste, inoltre alla trasformazione non solo dei costumi sociali ma anche di quelli culturali, per cui diventano familiari i nomi degli attori Clark Gable, Gary Cooper, Greta Garbo, Marlene Dietrich, Rita Hayworth, John Wayne, Charlie Chaplin, dei jazzisti Duke Ellington, Louis Armstrong, Gorge Gershwin.
Anche alcuni scrittori conquistano l”Italia, tanto che diventano familiari i nomi di William Faulkner, Ernest Hemingway, John Steinbeck insieme ai titoli dei loro romanzi (“Palme selvagge”, “Per chi suona la campana”, “La luna è tramontata”), che sono letti insieme a “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi e ad “Uomini e no” di Elio Vittorini.
(Fonte foto: www.cotti.biz)