Molti ritengono che i Comuni non abbiano competenze per risolvere i problemi dell’occupazione, del lavoro e dello sviluppo delle imprese. È un’idea sbagliata.
Dopo l’ubriacatura elettorale, dove si sono sprecate promesse di tutti i tipi e roboanti programmi di sviluppo del territorio, gli amministratori eletti si trovano a fare i conti con i problemi della collettività, con le esigenze della macchina amministrativa, con i problemi di bilanci sempre più asfittici. Tutti i Comuni lamentano una carenza di risorse tale da impedire di assicurare i servizi essenziali ai cittadini. Le politiche di bilancio evidenziano la difficoltà dei Comuni di dare risposte alle esigenze dei cittadini soprattutto per quanto riguarda il lavoro e l’occupazione.
Naturalmente le colpe delle situazioni di difficoltà vengono sempre addebitate alle amministrazioni precedenti anche quando non ci sono stati significativi cambiamenti nell’assetto politico. Lasciando da parte la discussione sul modo in cui i Comuni possano e debbono affrontare i problemi della collettività con macchine amministrative non organizzate e senza i soldi necessari anche per politiche di basso profilo, resta la domanda cruciale: ma i Comuni possono creare lavoro e occupazione?
Sono in molti a sostenere che i problemi dell’occupazione, del lavoro, dello sviluppo di imprese e attività, non siano competenza dei Comuni ma delle politiche regionali e di quelle del Governo, per cui ai Comuni spetterebbe al massimo la gestione di misure decise a livello regionale e nazionale. Personalmente ritengo che questo atteggiamento di rinuncia a prendere iniziative sia sbagliato e in molti casi addirittura suicida per molte realtà territoriali. Faccio un esempio: le politiche di sviluppo turistico di un territorio sono una competenza dei Comuni che non può essere demandata, come avviene, ai livelli regionali e a quelli nazionali, che al massimo possono mettere risorse aggiuntive su un progetto di sviluppo già deciso a livello di territorio e che deve avere gambe proprie per camminare.
Le risorse economiche di provenienza regionale e nazionale devono essere aggiuntive rispetto a quelle che un territorio deve essere capace di mobilitare su un progetto di sviluppo condiviso e partecipato. Senza di questo si corre il rischio di fare interventi che non producono quelle modificazioni che possano rendere attrattivo un territorio per imprese e soggetti organizzati. Nella nostra provincia si fa un gran parlare di sviluppo turistico ma i risultati ci dicono che l’approccio è talmente sbagliato da produrre, nonostante i fondi regionali spesi a pioggia, un decremento del flusso turistico anche in realtà di grande tradizione. Ma le politiche di sviluppo i Comuni possono farle con le proprie competenze in materia di urbanistica e di edilizia pubblica e privata.
Aprire un cantiere significa sempre occupazione e investimento. Su questo terreno i Comuni, in particolare quelli della nostra provincia, possono fare molto sia per promuovere nuovi investimenti, sia per realizzare una riqualificazione urbanistica di territori penalizzati dal disordine e dal degrado delle costruzioni. Una operazione di riqualificazione dei centri storici già da sola consentirebbe di mobilitare risorse economiche per creare occupazione e sviluppo. Si tratta di una operazione che i Comuni possono fare, come dimostrano Bologna, Mantova, ma anche piccoli Comuni della Toscana, dell’Umbria, del Molise, Che produce grandi risultati non solo in termini urbanistici, ma in termini economici con la rivitalizzazione di interi quartieri.
Perché da noi, che pure abbiamo centri storici di grande valore ma assolutamente degradati, iniziative di questo genere non riescono a partire? Non si dica che mancano i fondi, perché si tratta di operazioni che mobilitano fondi privati e che vedono le amministrazioni impegnate solo dalle facilitazioni che possono offrire agli investimenti. La ricerca ossessiva di fondi pubblici, nel Mezzogiorno non solo nella nostra provincia, nasconde purtroppo l’incapacità degli amministratori ma anche la volontà di gestire denaro e quindi rapporti non sempre trasparenti. Come direbbe un nostro politico, è la possibilità di fare politica che sostiene queste richieste. Ma di possibilità di creare sviluppo e occupazione i Comuni ne avrebbero tante se facessero propria l’idea della smart city, la città intelligente, capace di utilizzare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie informatiche e dalla green economy.
Un esempio è quello della solarizzazione della città che oltre a favorire il risparmio energetico attiverebbe un complesso di attività imprenditoriali con ricadute significative sul piano dell’occupazione. Gli esempi potrebbero essere tanti, ma l’importante è rendersi conto che i Comuni possono fare tanto anche per promuovere sviluppo e occupazione sui loro territori.
(Fonte foto: Rete Internet)