Sono circa 2 milioni di famiglie che vivono in povertà assoluta. Il welfare italiano è fallimentare, soprattutto nel Mezzogiorno. Dietro le statistiche, ci sono i volti e le storie quotidiane di persone concrete.
Anche se viviamo in un clima di meritate vacanze, non possiamo non riflettere, ancora una volta, sull’attuale e drammatica situazione sociale del nostro Paese. Centomila persone al mese. Ovvero più di tremila concittadini al giorno caduti tra il 2012 e il 2013 nella dannata spirale della miseria, la "povertà assoluta" che avvolge l’Italia. Circa un milione e 200 mila italiani in più che, secondo l’Istat, non possono più acquistare cibo a sufficienza, medicinali, pagare la rata di mutuo o affitto e non vivono una vita decente. Gli indigenti (poveri relativi compresi) sono ben 10 milioni. Ma il dato dei poveri assoluti rispetto al 2010 è raddoppiato e fa paura perché abbiamo toccato quota 6 milioni, 2 milioni di famiglie. Il welfare italiano è fallimentare, soprattutto nel Mezzogiorno. Dietro le statistiche, ci sono i volti e le storie quotidiane di persone concrete.
I centri di ascolto delle parrocchie denunciano e sostengono da anni la disperazione degli insospettabili in fila per un lavoro degno ed un aiuto domestico. Padri e madri disoccupati da anni che devono vincere la vergogna di chiedere aiuto per nutrire e vestire i bambini. Anziani che saltano i pasti e le cure dopo una vita di lavoro. Negozianti finiti nelle mani degli strozzini per riavviare attività agonizzanti o chiuse. Impiegati di mezza età licenziati e senza prospettive. L’Istat rileva come le più penalizzate siano le famiglie con bimbi piccoli, soprattutto meridionali. Questa situazione uccide il morale e la dignità delle persone. La ripresa quando infine arriverà, secondo gli economisti, farà poco per questi poveri. Ci deve pensare la politica. Di proposte sul tavolo non ce ne sono molte e dipendono dalla volontà del governo e del Parlamento.
Per questo va messa in agenda con urgenza la lotta alla povertà. Alcune Associazioni cattoliche hanno gridato uno “stop” all’assistenzialismo, attraverso un aiuto vincolato alla corresponsione di servizi alla comunità, alla ricerca di impieghi e alla formazione. Lo strumento di partenza è il piano nazionale contro la povertà e si basa sul Reis, reddito minimo che integra la differenza di reddito per ciascun nucleo con la soglia di povertà. Il costo totale è stimato in sei miliardi. Da investire in un quadriennio: 1,5 miliardi per anno. Con una cifra analoga, tratta in parte dagli assegni famigliari, secondo la Fondazione Zancan si potrebbero estendere i servizi per la prima infanzia raddoppiando il numero di bambini negli asili e creando nuova occupazione. Ovviamente il problema numero uno sono le risorse. L’importante è però non perdere altro tempo.
Partire dalle famiglie più povere e con bambini è una strada obbligata, senza dimenticare l’altra sfida – non meno strategica – di dotare l’Italia di un fisco a misura di famiglia. Questo stato di povertà del resto è causato anche dalla storica latitanza di una politica per la famiglia e dall’eclissi della solidarietà. La priorità del governo Renzi è e deve essere questa. Le riforme di cui si parla tanto in questi giorni sono necessarie. Ma non devono rappresentare un alibi o un pauroso transfert per non affrontare e risolvere i veri e reali problemi della gente. La vera politica non può nutrirsi ancora solo di spot o slogan propagandistici. E’, soprattutto, “morire” per l’altro, innanzitutto per chi non ha voce o “santi in paradiso”.