La scuola, è davvero un diritto di tutti?

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Da una riflessione personale, figlia di esperienze vissute sulla propria pelle, nasce lo spunto per una discussione collettiva: come gestisce Sant’Anastasia i propri alunni diversamente abili? Negli anni, come è migliorata la loro condizione?

A scriverla così, può suonare come una frase fatta, una delle tante trappole che la retorica ci riserva. Ma affermare che l’educazione sia il fondamento di ogni individuo, è un dato di fatto ineluttabile. É quella struttura portante che sostiene il senso civico di noialtri e regolamenta il giusto vivere in comunità. Impartita fin dai primi giorni di vita dalla famiglia, una parte di questo arduo compito, col passar degli anni, viene poi trasferito alle istituzioni scolastiche, dove il giovane alunno recepisce la cultura ed il modo di stare tra la gente.

Troppo spesso, però, anche questa naturale abitudine, per un soggetto con problemi di handicap, diventa una pratica tremendamente complicata. Si presenta come il primo campo di battaglia per affermare i propri diritti ed il rispetto per le proprie “diverse” necessità. La scuola, come già detto in precedenza, importante baluardo di socializzazione e non solo, risulta essere, sempre più frequentemente, l’unico luogo di ritrovo dove l’incontro tra diversamente abile e normodotato avviene senza filtri, senza limitazioni e possibilità di voltare lo sguardo altrove. Infatti, è proprio lì che, tra i banchi di scuola e la lavagna, i bambini imparano ad accettare il prossimo così com’è. Riescono con assoluta naturalezza a volergli bene e a comprendere quanto siano uguali, alla fine, tutti gli esseri umani.

Per quanto riguarda la mia esperienza, invece, il contatto con l’istruzione, è caratterizzato da ricordi positivi ma anche da tanti intervalli che portano con se parecchia amarezza e frustrazione.
Ricordo con grande piacere, ad esempio, gli anni delle medie, dove conobbi per la prima volta la vera amicizia ed una solidarietà che fino ad allora mi era sconosciuta, soprattutto se rapportata a ragazzini che avevano da poco smesso di essere bambini. Ricordo poi l’edificio, quello della Tenente Mario de Rosa di via Regina Margherita, che all’epoca era già abbastanza attrezzata per i portatori di handicap, anche se è sempre mancata, nei tre anni da me frequentati, un ascensore che potesse portarmi ai piani superiori dove erano situati dei laboratori. Ed ogni volta che c’era un’attività al di fuori dell’aula, qualcuno doveva caricarmi a spalle e portarmi su ad uso portantino.

Ma ero giovane e su certe cose non ci riflettevo ancora, lasciavo che tutto passasse e che alla fine, ogni evento, rientrasse nell’ordine naturale delle cose. Poi sono arrivate le superiori, scuola per ragionieri. E lì sono nati i veri problemi. Struttura totalmente inadeguata, barriere architettoniche che imperavano come grosse piramidi nel deserto, e come unica soluzione al mio disagio(che finiva per ripercuotersi anche sui compagni di classe), un sottoscala umido ed angusto dove in inverno era come studiare all’aperto. Inoltre, problema persistente anche nella scuola dell’obbligo, la totale assenza di assistenza materiale. Scarsa disponibilità di fondi, era questa la classica frase che ti sentivi ripetere ogni anno.

In definitiva, se non fosse stato per le spalle forti e la fatica di alcuni compagni di classe che, ogni mattina e ad ogni fine lezione si incaricavano di caricarmi a braccia per portarmi su o giù dai due piani dove era situata la mia aula, studiare qui, nel mio paese, mi sarebbe stato impossibile.
Ora, a distanza di tempo, quello che sono riuscito a comprendere dalle mie esperienze scolastiche, e che l’attuale società, che troppo corre e poco aspetta chi non regge il passo, preferisce fin da subito mettere certi argomenti in chiaro: se nasci giusto te la giochi, se invece finisci tra gli sbagliati, allora impara a stringere i denti.
E quando pure sei riuscito a superare indenne tutte le avversità che l’inadeguatezza istituzionale ti ha posto come sgambetti, gli sforzi scolastici, a te che sei disabile, ti valgono quanto un gettone al lunapark: tenta la sorte. Inserimento lavorativo pari ad un miraggio, soddisfazioni professionali inesistenti.

Oggi, nel trovarmi a scrivere questo articolo, mi sono chiesto come si sia evoluta la situazione scuola nella nostra Sant’Anastasia. Quali siano le ansie che assillano i nostri amici disabili, e se gli ostacoli che ho dovuto affrontare io da ragazzo sono stati in qualche modo risolti.
É quindi questa una riflessione/domanda che rigiro a chi ci legge, a coloro che come me, vivono o hanno vissuto di recente, simili esperienze, e vogliono, scrivendoci al nostro indirizzo mail, aprire un dibattito per meglio comprendere quali siano i campi dove è ancora indispensabile intervenire.

Continuate a scrivere alla nostra casella di posta, abbiamo tutta l’intenzione di raccogliere la vostra indignazione (mobasta2012@gmail.com)
(Fonte foto: Rete Internet)

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