LA VITTIMA DEI REATI

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    Come e perchè si è vittima delle azioni criminali. Tentativo di spiegare il crimine osservando le vittime. Le categorie dei più esposti. Di Amato Lamberti

    La criminologia, nata nel secolo XIX, si è per molti decenni occupata esclusivamente dei reati e dei loro autori, ignorando del tutto la figura della vittima. In un certo senso, essa si è adattata alle priorità del sistema della giustizia, che attraverso i secoli aveva visto declinare l’importanza del ruolo della vittima nell’ambito del processo penale. In origine, infatti, sia la definizione dell’ “offesa” sia il tipo di reazione che poteva derivarne erano lasciate alla discrezionalità della vittima e della sua famiglia, in quanto non esisteva alcuna autorità preposta alla produzione di norme e alla punizione dei trasgressori.

    Per questo motivo, la vittima aveva la facoltà di reagire nei modi più vari, sia ricorrendo a sua volta alla violenza, come nella cosiddetta “violenza di sangue”, sia cercando di risolvere pacificamente la disputa, ad esempio mediante la compensazione, cioè richiedendo una forma di risarcimento economico da parte dell’offensore. Solo con la progressiva affermazione dello Stato, il reato ha cominciato a essere considerato come un atto diretto non tanto contro il singolo individuo, quanto contro l’intera comunità. Si comprende, quindi, come i primi studi dei criminologi si incentrassero sui crimini e sui criminali, piuttosto che sulle vittime.

    È soltanto a partire dagli anni ’40 del XX secolo che si sviluppa uno studio sistematico delle vittime del reato e nasce una nuova branca della criminologia, la vittimologia, definita come: «quella branca della criminologia che si interessa della vittima di un crimine e di tutto ciò che a questa si riallaccia, come la sua personalità, cioè i suoi tratti biologici, psicologici e morali, le sue caratteristiche socio-culturali, le sue relazioni con l’autore del reato ed infine il suo ruolo e l’eventuale influenza nella genesi e nella dinamica del delitto» (Balloni 1989). Il termine fu utilizzato per la prima volta nel 1949 da uno psichiatra, Frederick Wertham, nel suo testo “The Show of Violence”, in cui auspicava una “sociologia della vittima” del reato di omicidio. Egli analizzava il crimine di omicidio ed il problema della violenza umana in generale, da un punto di vista psicologico e psichiatrico.

    Dal punto di vista della ricerca e della teorizzazione, due sono di solito considerati i padri fondatori della vittimologia: Hans Von Hentig e Benjamin Mendelsohn, entrambi rappresentanti di quella vittimologia eziologica che costituisce la prima fase dello sviluppo della disciplina. Von Hentig, pur ammettendo che ci sono molti atti criminali in cui si evidenzia un minimo o nessun contributo da parte del vittimizzato, aveva osservato che altrettanto frequentemente vi è un’effettiva reciprocità nel legame che si instaura tra il reo e la vittima. A suo parere, si distinguerebbero due partners: colui che agisce e colui che subisce l’azione; colui che infligge la sofferenza e colui che la subisce; il soggetto che attivamente infrange la legge penale e chi passivamente ne subisce le conseguenze. Egli osservò che sul piano sociologico e psicologico tale relazione, in numerosi casi, non rispecchiava la realtà. La vittima non aveva sempre un ruolo passivo, non era l’oggetto della relazione, ma spesso interagiva attivamente con il criminale in molti modi.

    La domanda che si pose Von Hentig fu, dunque, se e come la vittima contribuiva a determinare l’azione criminale, la sua conclusione: con il suo stesso modo di essere, le sue caratteristiche individuali e sociali, le sue attitudini. In tal senso elaborò una classificazione delle vittime in quanto egli riteneva, come già detto, che l’interazione tra il criminale e la vittima fosse determinata e si modellasse in base alle condizioni ed alle caratteristiche individuali della vittima. La regolarità del ripetersi delle situazioni era data dal fatto che ogni criminale era attratto da quelle caratteristiche o condizioni fisiche, sociali e psicologiche che rendevano la vittima maggiormente vulnerabile all’attacco. Sostanzialmente il crimine seguiva delle leggi nell’evoluzione sociale proprio come in natura si crea il rapporto preda-predatore.

    La classificazione delle vittime di Von Hentig è dunque una teoria esplicativa nel senso che tenta di dare una spiegazione al crimine, ovvero alla vittimizzazione, ponendo l’accento su quelli che si possono considerare i fattori di rischio, osservando quali attributi personali della vittima giocano un ruolo nel determinare l’interazione con il criminale e dunque la sua vulnerabilità. Le categorie sono:

    – I minori di età. Egli considerava la condizione di minore età, e cioè la condizione degli infanti e degli adolescenti, maggiormente esposta alla vittimizzazione per lo stato di debolezza fisica e mentale, e la conseguente minor capacità di resistenza o reazione.
     Le donne. Egli considerava il genere femminile maggiormente vulnerabile, a prescindere dall’età, per la minor prestanza fisica e, dunque, minor capacità di difesa nei confronti di aggressori appartenenti al genere maschile.
    – Gli anziani. Anche in questo caso l’età influirebbe sul rischio potenziale di vittimizzazione, sia dal punto di vista fisico, per il decadimento delle facoltà fisiche e mentali, sia da un punto di vista sociale per il possesso di maggior ricchezza e potere.

    – Mentalmente deficitari o disturbati. Nella categoria Von Hentig includeva i subnormali, i malati di mente, i tossicodipendenti e gli alcolisti.
    – Immigrati, minoranze, “ingenui”. Tale categoria illustrava un fattore di vulnerabilità basato su di uno svantaggio di tipo sociale che accomuna i tre tipi di vittime menzionati. Infatti, lo stato di immigrato, a causa del cambiamento del tipo di società, usi, costumi, relazioni sociali, cultura, porrebbe chi emigra in una condizione di vulnerabilità.

    Queste rappresentano le classi generali delle vittime, vi sono poi i tipi psicologici di vittime e sono:
    – Il depresso. Talune vittime, in un certo senso, desiderano essere vittimizzate. Queste hanno, infatti, spesso un atteggiamento favorente il crimine da un punto di vista psicologico; il suo atteggiamento può essere passivo- apatico o letargico-, o moderatamente favorente, cioè sottomesso, partecipante.
    – L’acquisitivo. Si tratta di una categoria di quelle che Von Hentig considerava eccellenti vittime, cioè coloro che sono spinti dall’eccessivo desiderio di guadagno, dalla loro cupidigia in situazioni pericolose.

    – Il seducente-promiscuo. Egli considerava la propensione alla sensualità od ai comportamenti promiscui un fattore di esposizione ad un maggior rischio di vittimizzazione. Questa categoria era maggiormente connessa al contesto storico sociale in cui fu elaborata. Von Hentig, infatti, aveva presente quale appartenente a tale categoria la donna che avesse comportamenti promiscui e seduttivi con riferimento, in particolare, al reato di violenza sessuale.
    – Asociali, afflitti. L’isolamento sociale e la solitudine causano uno stato psicologico e situazionale di vulnerabilità che rende facilmente preda dei criminali. Il fattore è psicologico perché le facoltà critiche sono indebolite avendo la solitudine un effetto che può portare la vittima ad essere maggiormente imprudente, negligente o partecipante. L’effetto è la sofferenza che consegue alla mancata soddisfazione del desiderio di compagnia, che è un bisogno umano primario. Tale sofferenza porta la vittima ad essere maggiormente prona agli altrui artifici, raggiri, plagi.

    – Il tormentatore. È la tipica figura del criminale-vittima, in cui maggiormente intensa è la relazione e l’interazione tra l’agente e la vittima. Rientrava in questa categoria di vittime colui che infligge sofferenza, tortura, perseguita, tormenta, maltratta altri anche per anni e poi subisce una lesione o viene ucciso dalle sue vittime. 
    Le vittime “bloccate”. La vittima bloccata sarebbe quella che è posta in una situazione tale da non consentire resistenza o difesa perché le conseguenze della resistenza o della difesa sarebbero più nocive dell’atto criminale stesso. L’esempio chiarificatore di Von Hentig era dato da coloro che sono ricattati.
    – Le vittime esonerate. Si tratta delle vittime che sono escluse dai criteri di selezione del criminale per qualche motivo inibitorio, di natura culturale, religiosa od altro. Von Hentig suggeriva il caso emblematico dei borseggiatori di professione che secondo alcune ricerche di Sutherland (1947), se cattolici, escludevano dai propri obiettivi generalmente i preti cattolici.

    – Le vittime resistenti. Sono le vittime che reagiscono con diversi gradi di forza fisica alle aggressioni. Von Hentig rilevava che in alcuni casi una reazione aggressiva della vittima poteva aggravare il pericolo di vittimizzazione o le sue conseguenze.

    Guardando questa tipologia di vittime, le caratteristiche personali, fisiche, psicologiche e sociali della vittima potenziale assumono la veste di fattori che “predispongono” al crimine. A Von Hentig, infatti, è stata attribuita la nozione di vittima latente, che esprime il concetto secondo cui in certe persone esisterebbe una predisposizione a diventare vittima di reati e, in un certo senso, ad attrarre il proprio aggressore. Si verrebbe così a distinguere una predisposizione generale che sarebbe riscontrabile nelle “vittime nate” cioè quelle persone che subiscono continuamente episodi di vittimizzazione e che quindi, per motivi psicologici tendono e quasi anelano ad essere vittime. Diverse sono le predisposizioni speciali, ovvero denominate anche specifiche. La predisposizione, in tal caso, è dovuta alla presenza di alcuni specifici fattori socio-demografici e psicopatologici.
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    (Fonte foto: Rete Internet)

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