LA “VERTECENA” OVVERO LA DIALETTICA

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    Ritorna il dialogo, proposto dal prof. Giovanni Ariola, tra amici che riflettono di scuola e società.

    – Sempre a proposito del libro del prof. Serianni (Luca Serianni, “l’ora di italiano”, Editori Laterza, 2010)– continua il prof. Piermario, rinfocolando il suo sdegno – Stiamo ancora una volta ad insistere su pratiche didattiche superate o inadeguate o, peggio, di poco, per non dire di nessun interesse per gli studenti. D’accordo quando propone come “obiettivo ragionevole – qualcuno potrebbe dire minimo – ….quello di mettere tutti i diciottenni scolarizzati nella condizione di capire pienamente l’editoriale di uno dei grandi quotidiani: leggere criticamente quel che scrivono Galli della Loggia, Scalfari, Gramellini significa prima di tutto essere al corrente dei grandi temi che si agitano sullo scenario nazionale e internazionale….”.

     

    Ma perché, dico io, per raggiungere questo obiettivo non si adotta un itinerario didattico razionalmente fondato sui reali interessi dei ragazzi, calibrato sugli effettivi prerequisiti da essi posseduti e sui loro ritmi di apprendimento, insomma perché non riferirsi ai campi di esperienza degli adolescenti piuttosto che fare “un esperimento” in “una seconda superiore (non importa di quale indirizzo: tutti dovrebbero essere in grado di leggere il giornale!) (sic!)….prendendo in esame l’articolo di fondo apparso nel ‘Corriere della Sera’ del 15 febbraio 2010 e scritto, in una prosa stilisticamente nitida ed efficace, da Tommaso Padoa Schioppa (il tema è la crisi finanziaria della Grecia ecc. ecc.)…”(p.78). Perché proporre già in una seconda a ragazzi quindicenni un esercizio lessicale sul  testo di un economista che sarà pure pieno di dottrina ma di cui a quei ragazzi non importa un fico?

     

    – È tempo credo – ribatte il prof. Eligio – di smetterla con questa difesa ad oltranza degli interessi degli alunni. A furia di coccolarli, acccondiscendere, assecondare,  rischiamo di farne dei deboli, degli infingardi e degli ignoranti,,,invece dobbiamo pretendere che acquisiscano le conoscenze e le competenze che oggi, in questo momento storico è necessario che abbiano per vivere bene loro e per svolgere ciascuno il suo ruolo nella società…

    – Sto parlando – a stento si domina il prof. Incendiario – del punto di partenza del processo didattico e di apprendimento non di quello di arrivo. Dico che bisogna partire da quello che i ragazzi vogliono per guidarli ad acquisire quello che debbono

    – Io farei leggere molta poesia … – dice convinto il prof. Fantasia.

    – Possibilmente contemporanea… –  incalza il prof. Piermario.

     

    I classici, debbono leggere i classici… – ribatte il prof. Eligio.

    – Perché non lasciarli liberi  di scegliere, limitandoci noi docenti a proporre una pluralità di testi? Ma altra è la questione più importante da affrontare, si tratta di organizzare in classe un esercizio di lettura efficace e io dico piacevole accattivante perché i ragazzi imparino più facilmente un metodo critico di lettura….. Ad onor del vero, lo stesso prof. Serianni accenna alla ludodidattica, quando scrive: “L’acquisizione del lessico, specie per elementari e medie, può giovarsi anche di meccanismi ludici…” (p.47), ma la considera come una alternativa opzionale e non in assoluto necessaria, quale caratteristica essenziale e ineludibile della didattica generale.

     

    Bisogna insomma rendere piacevole l’imparare…Ecco, per riferirmi ad un libro che citava poco fa il collega Carlo, un ottimo esercizio da proporre ai ragazzi: “Definizioni per gioco/ Dicevamo quant’è difficile dare una definizione di una parola. Spesso ce la caviamo con sinonimi: che cosa vuol dire gentile? Vuole dire cortese. La definizione al limite può anche essere estensiva: che cos’è un libro? Lo prendi dallo scaffale, e mostri materialmente l’oggetto. Oppure puoi dare una definizione enumerativa, spieghi la parola da definire con iponimi: frutta secca cos’è? Noci, nocciole, mandorle, arachidi…..”. Ma si può anche provare “per gioco a fornire definizioni sbagliate”, invitando poi i ragazzi a correggere….: abbarbicarsi: atto del tenersi saldamente attaccati ad una persona afferrandola per la barba; ….cassata: violento colpo inferto tramite una cassa o altro contenitore in legno; cefalea: pesca rituale del cefalo;….conti correnti: nobili dediti al footing; ….equinozio: matrimonio tra cavalli;…gabbiano: uccello che sta chiuso in gabbia; …mulatta: la femmina del mulo;…focaccia: tipo di foca particolarmente repellente;….”(L. Beccarla, Il mare in un imbuto/Dove va la lingua italiana, Einaudi, 2010, pp.56 – 57).

     

    Il prof. Carlo ha ascoltato in silenzio la conversazione tra i colleghi. Intanto guarda il grande oblò/finestra che si staglia all’ultimo piano del palazzo di fronte e che, come un trompe-l’oeil, riflette il cielo terso e luminoso di questa splendida ottobrata. Eppure di tanto in tanto lo specchio dell’oblò si annerisce per il passaggio di nuvole scure.

    – E’ un moto inarrestabile – pensa – Come la vita…come la storia…

     

    – Alla fine – dice e la voce è grave come i pensieri –  c’è del vero nelle vostre tesi contrapposte: filoneismo e misoneismo, difesa della civiltà esistente ed elogio della civiltà sempre nuova che chiede spazio e attenzione, didattica del dovere e didattica del piacere…Non possiamo e non dovremmo fare altro che esercitare la nostra razionalità. Le parole che suonano di vuoto, lasciamole al loro destino. Se hanno la forza di durare o dopo una fase di morte apparente (catacresi temporanea) di risorgere riattivate, bene …nel caso contrario, giacciano in pace nei dizionari. Tra le parole che hanno avuto una vita lunghissima, annovererei la parola dialettica che ha avuto la forza di rinascere di epoca in epoca con significato mutato ma sempre vivo. Di questo termine ci dobbiamo sempre ricordare e guai a dimenticarlo.

     

    Credo che siate d’accordo con me, che la storia sia un perenne processo dialettico, un continuo scontrarsi di forze diverse, dicotomiche o antinomiche, da cui verrà fuori la sintesi del domani. Permettemi questo aneddoto scherzoso e leggero. Ricordo un mio insegnante di filosofia che veniva in classe con tre quaderni sotto il braccio, erano di colori diversi , uno azzurro, uno arancione e un altro rosso. Apriva quello azzurro per leggerci alcuni brani più significativi del filosofo che stavamo trattando. Da quello arancione estraeva alcuni passi critici dei filosofi successivi sull’opera e sul pensiero del loro predecessore. In quello rosso c’erano i suoi pensieri. Erano brevi e li mandavamo a memoria. Ricordo ancora quelli su argomenti monotematici: la magnanimità, l’oblatività, la coseità, l’epimeleia. Altri erano definizioni personali su termini filosofici.

     

    Tra questi, dialettica, appunto, che egli chiamava triangolazione virtuosa e funzionale. Per farci intendere più facilmente il processo dialettico, ci diceva “E’ come quando nei nostri capelli compare una vertecena(nel dialetto napoletano = ‘ciuffo di capelli rivolti in direzione contraria agli altri e perciò ribelli all’azione del pettine’ – F. D’Ascoli). I capelli ordinati sono la tesi, la vertecena è l’antitesi. A questo punto, che fare? Prima di tutto fare pulizia, procedere a una bella lavata ai capelli (detta con un forestierismo sciampo), quindi asciugarli con l’asciugacapelli (comunemente fon)  e infine lavorare con la spazzola per rimettere tutto in ordine. Ordine che sembra lo stesso di prima ma in effetti è nuovo, in quanto sintesi di una situazione preesistente trasformata dall’intervento umano.”

     

    Allora, difendiamo la dialettica, interna ed esterna…ma, non esageriamo. Perché, al capezzale di un moribondo, mentre i medici (!!??) perdono troppo tempo a far dialettica, ossia a discutere e a litigare, il malato può anche morire!

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