INDAGINI DI VITTIMIZZAZIONE E POLITICHE DI SICUREZZA

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    Il tema dell”insicurezza fa parte della nostra realtà quotidiana. In questo scenario, le luci della ricerca si sono accese sulla vittima dei reati. Di Amato Lamberti

    La ricerca criminologica scopre la vittima, come oggetto di analisi e di interesse scientifico, nel momento in cui il tema dell’insicurezza entra a far parte della nostra realtà, tanto, come dice Castel, "da strutturare persino, in larga misura, la nostra esperienza sociale". Altri autori, come Boudon e Wacquant, legano lo sviluppo della vittimologia, come ricerca finalizzata a "rimettere ordine" nella società, ad una situazione che si afferma nelle società occidentali, di "declino dello Stato economico, diminuzione dello Stato sociale e glorificazione dello Stato penale".

    Non è un caso che i due assunti principali delle teorie che sostengono le ricerche vittimologiche siano: 1) il "carattere sacro degli spazi pubblici" è condizione necessaria della vita urbana e, al contrario, il "disordine" del quale si compiacciono le classi povere rappresenta il terreno di coltura naturale del crimine; 2) si diviene criminali non a causa delle privazioni materiali, caratteristiche di una società ineguale, ma per carenze mentali e morali. La nascita di questa nuova prospettiva è legata alla pubblicazione di "The Criminal and His Victim" di von Henting (1948) dove, in modo critico rispetto agli studi criminologici allora correnti, si propone un approccio dinamico al reato, attraverso lo studio della vittima e del suo ruolo.

    Vengono introdotti i temi della "victim precipitation", cioè del contributo che la vittima dà alla realizzazione dell’evento criminale, e della "victim proneness", cioè di una sorta di propensione della vittima a subire un reato. Solo più tardi, con Hindelang e altri (1978), queste tesi trovarono sistemazione nel "lifestyle model", e successivamente, con Cohen e Felson, nel "routine activity approach", che si basano entrambi sull’idea che il rischio di subire un reato sia in relazione con le attività svolte quotidianamente dal soggetto e con le sue abituali frequentazioni, in termini di persone e di luoghi. Le ricerche mettevano però in evidenza numerosi aspetti problematici, come il "paradosso della paura" (Stafford e Galle): le persone anziane e le donne sono meno esposte ad episodi criminali e sono meno vittimizzate, ma hanno maggiore paura di subire un reato, rispetto ai giovani maschi della classe lavoratrice che pure sono i più colpiti da episodi criminali.

    In Italia, contrariamente a quello che è avvenuto in altri Paesi europei e anche nelle Università americane, la ricerca sulle esigenze di sicurezza dei cittadini, in quanto vittime potenziali di reato, è stata subito finalizzata, anche perché totalmente finanziata dal Ministero degli Interni, alla individuazione e programmazione più efficace delle azioni repressive di prevenzione del crimine, realizzando una saldatura anomala tra professionalità impegnate istituzionalmente nell’attività di prevenzione e contrasto del crimine e mondo accademico e professionale.

    Gli esempi "migliori" sono le indagini sulla sicurezza urbana promosse dal consorzio "Città Sicure" dove le esigenze "politiche", di visibilità e di intervento "a breve" di riassicurazione dell’opinione pubblica, sono largamente prevalenti rispetto al pur necessario approfondimento scientifico dei problemi legati alla diffusione, nel territorio esaminato, del rischio e dell’insicurezza, in particolare per quanto riguarda cause sociali e comportamenti istituzionali.

    La ricerca, "La svolta napoletana: da vittime che subiscono a cittadini che decidono", promossa da Prefettura, Comune, Provincia, di Napoli e Regione Campania, realizzata, nel 2007, da Transcrime con il contributo di autorevoli studiosi napoletani, vuole dimostrare che "criminalità e disordine urbano progrediscono in modo parallelo e che l’efficacia collettiva, cioè la capacità dei cittadini di rendersi consapevoli di questi problemi ed agire da protagonisti per eliminarli, può fare arretrare questi fenomeni". Ora, che criminalità "predatoria" e "disordine" urbano siano fattori che producono alti livelli di insicurezza nei cittadini è fuori di dubbio, a Napoli come nel resto del mondo.

    Più difficile è dimostrare che esista un rapporto di causalità reciproca tra criminalità e disordine urbano, da intendersi, come "incivilities", come si evince dalla ricerca, che non possono però essere addebitate ai cittadini in genere, ma, per un verso all’amministrazione comunale e per un altro agli stessi criminali che in tal modo "segnano" il loro territorio.

    Piuttosto è un circolo vizioso che là dove si instaura -perché si può avere criminalità in un contesto ordinato e disordine urbano senza criminalità- produce preoccupanti situazioni di insicurezza. Per quanto riguarda "l’efficacia collettiva", vale a dire, "l’insieme di aspettative condivise e impegno reciproco tramite cui i residenti in un quartiere esercitano controllo sociale informale sullo stesso", visto l’alto numero di associazioni di volontariato e la presenza di strutture istituzionali, andava, forse, modificato l’approccio considerando anche altri fattori, più tipicamente legati alla "cultura di base" del territorio, come il "capitale sociale" del gruppo familiare, che comunque hanno funzioni di controllo della violenza.

    L’approccio "multi-agency" e la "community crime prevention", privilegiati come riferimenti teorici dalla stessa ricerca, sono la strada obbligata, come da anni vado anch’io ripetendo, di politiche non-repressive che vogliano realmente raggiungere livelli, accettabili da tutti i cittadini, di sicurezza. Il problema è, però, quello di come coinvolgere, non tanto i cittadini-vittime, ma gli stessi cittadini-incivili in un processo di trasformazione che riguardi, contemporaneamente, i livelli individuali, di rapporti familiari e sociali, di rispetto delle regole e delle Istituzioni.

    Su questo terreno si gioca la capacità, non tanto dei cittadini quanto delle Istituzioni, di promuovere processi di "risocializzazione civile" capaci di coinvolgere tutti gli strati sociali, a partire da quelli marginali. Su questi temi, e, in particolare, sul nuovo approccio ai problemi della criminalità diffusa, che va sotto il nome di “vittimologia” torneremo in maniera più sistematica nei prossimi interventi.
    (Fonte foto: Rete Internet)

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