IL 25 APRILE. STORIA E MEMORIA

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    Gli attuali politici se parteciperanno all”evento sarà solo per opportunismo. Chiediamoci cosa sarà quando anche l”ultimo partigiano scomparirà. Spetterà alla Scuola parlare di Liberazione e Resistenza.
    Di Raffaele Scarpone

    Caro Direttore,
    dopodomani è il 25 aprile, una data particolare, storica, simbolica, ricca di fascino e di speranze per chi ha lottato –pagando anche con la vita- per restituire la libertà agli Italiani, per chi ha creduto in una patria finalmente libera, democratica ed antifascista. Pensa al sacrificio dei tanti giovani caduti in nome di un ideale, di un valore. Pensa alle ingiurie ed alle violenze subite dai tantissimi antifascisti, ai lutti portati nei cuori e nella mente, oltre che negli abiti. Poi, un radioso giorno di aprile del 1945 l”Italia –la patria- è libera dai soprusi, dalle armi, dal rancore, dalle ideologie totalitarie.

    Natalia Ginzburg, nella prefazione al testo di G. Falasca, “Letteratura partigiana in Italia” (Editori Riuniti, 1984), scrive: “Le parole patria e Italia che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola, perchè sempre accompagnate dall”aggettivo “fascista”, ci apparvero d”un tratto senza aggettivi e così trasformate che ci sembrò di averle udite e pensate per la prima volta”. Sai, direttore, in tempi lontani, quando a scuola mi assegnavano il solito tema “In quale epoca storica ti sarebbe piaciuto vivere”, io scrivevo sempre che mi sarebbe piaciuto vivere nell”Italia partigiana, tra quei coraggiosi che lottarono, morirono, si sacrificarono, donarono se stessi ed i propri affetti in nome della parola “libertà!”.

    Oggi, in verità, mi chiedo sempre più spesso quale valore ha la data del 25 aprile! Se cade vicino alla domenica, è utile per fare un ponte, per andare in vacanza; se cade in mezzo alla settimana, serve per riposare o riprendere un hobby; se cade di domenica, che sfortuna!, si è perso un giorno di festa! Caro direttore, ho la sensazione –o quasi la certezza- che la data simbolo della Liberazione, l”apice della Resistenza sia, forse, troppo distante –cronologicamente- dalle nuove generazioni, specie se, nelle famiglie, per ragioni di età, viene a mancare la trasmissione diretta dell”esperienza di chi ha vissuto quegli epici giorni di rinascita, di resurrezione, di rifioritura per un intero popolo.

    Sai, i grandi saggi, che siedono al governo, vogliono mettere le mani sui testi scolastici e tentano di cambiare il senso della storia. I grandi saggi, in effetti, sotto l”etichetta del revisionismo storico, cercano di far passare il concetto ambiguo di “memoria condivisa”, un artificio per dire che i morti sono tutti uguali (sia quelli che caddero per difendere la libertà di tutti che quelli che morirono per negarla a tutti!) e tante altre corbellerie simili! Pensa che con questa convinzione (il ricordo di parte) il nostro attuale capo di governo non sa ancora se partecipa alle manifestazioni pubbliche per il giorno della Liberazione (ieri era orientato verso il sì; oggi chissà, comunque è poco convinto)!

    Negli anni precedenti, le volte in cui ha ricoperto la stessa carica di capo del governo, non ha mai preso parte a nessuna cerimonia pubblica: si sentiva e si sente troppo parte in causa, troppo vicino al suo vate ispiratore, a un signore che tutto può, che tutto controlla, che tutto compra, a cui tutto è concesso, che si fa fotografare tra terremotati e tra i grandi del mondo, tra le soubrette e i nani patologici. E pensa che, non più tardi di qualche anno fa, lo stesso capo di governo andava in giro raccontando che gli antifascisti non erano stati mandati in esilio da Mussolini: erano stati mandati in villeggiatura, beati loro! Ed anche l”attuale presidente della Camera dei deputati, negli anni scorsi, da segretario politico di A.N., pur avendo chiesto scusa agli Ebrei, non ha mai partecipato alle celebrazioni pubbliche per il giorno simbolo della Liberazione!

    Caro direttore, tu pensa cosa succederà quando sarà, purtroppo, scomparso l”ultimo testimone: non si parlerà più di Liberazione, di Resistenza, di partigiani? Credo che la scuola –in assenza di partiti politici senza storia e senza memoria- debba farsi carico di questa responsabilità ed eredità, proponendo un insegnamento senza revisionismi, fornendo strumenti logici (capacità di analisi, di sintesi, di critica), offrendo testi di grande spessore culturale. Altro che scuola-azienda!
    Non ci si può chiudere nel proprio privato. Le responsabilità sono di tutti, nel bene e nel male; il popolo, le masse fanno la storia, non solo i capi, i duci (“Tebe dalle sette porte, chi la costruì?/ Ci sono i nomi dei re, dentro i libri./ Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?[:]”, B. Brecht [Poesie e Canzoni]).

    Caro direttore, so che questa settimana non ho molto guardato ad una realtà, come dire, più territoriale. Ma ho scritto con i sentimenti che mi bollivano dentro. Tu, come sempre, hai potere di vita e di morte (si fa per dire) sui tuoi collaboratori: è la legge del padrone! Per cui, volendo, puoi anche decidere di farmi saltare la rubrica settimanale. Se, in stato di grazia, decidessi, invece, di essere indulgente nei miei confronti, allora mi piacerebbe ricordare –a te e a chi, eventualmente, ancora mi legge- queste poche righe di Giuseppe Salmoirago, un commerciante novarese di 41 anni, fucilato, senza processo dai tedeschi, il 15 ottobre del 1944, a Vico Canavese: “Cara moglie e bambine, non piangete e siate orgogliose del vostro caro marito e padre, a 18 anni feci diciotto mesi di carcere, e ora a 41 dò la vita mia per il mio ideale e per la libertà della nostra patria [:]” (Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana, Einaudi, 1973).