La lettera di Enzo Biagi al Presidente Pertini. Gli effetti perversi del pentitismo, e la storia incredibile degli innocenti accusati di essere camorristi.
In quel giugno del 1983 la retata dei cutoliani portò in carcere circa 900 persone, che i pentiti – un drappello – avevano accusato di essere camorristi. Vennero arrestati anche degli innocenti. Sull’innocenza di Enzo Tortora tutti giurammo, convinti che non c’era “ teatro “ nella gentile schiettezza dei suoi modi e delle sue parole.
Volle l’ironia tragica del fato che la schiettezza di Tortora apparisse ai giudici troppo naturale per essere autentica: perciò si ritorse contro di lui, ed entrò nel testo della sentenza come uno dei motivi della condanna: “… Il Tortora ha dimostrato di essere un individuo estremamente pericoloso, riuscendo a nascondere per anni in maniera egregia le sue losche attività e il suo vero volto, quello di un cinico mercante di morte, tanto più pernicioso perché coperto da una maschera tutta cortesia e savoir faire.” ( Tribunale di Napoli, sentenza del 17 settembre 1985 ). Non fu agevole capire perché i pentiti avevano fatto il nome del presentatore.
Secondo alcuni, l’obiettivo era quello di minare la credibilità dell’inchiesta e dei magistrati: facciamo arrestare Tortora, si scatena il finimondo, la sua innocenza garantirà l’assoluzione anche di chi innocente non é. Questo ragionamento presupponeva che i pentiti, da un certo momento in poi, facessero il doppio gioco. Che giocassero ancora una volta a favore della camorra: bisognava stabilire solo di quale formazione di camorra, e di quale livello della camorra. I magistrati , diciamo così, “ colpevolisti “ pensavano che si fossero schierati a difesa di Tortora personaggi potenti e influenti, – la camorra nascosta, la camorra dei “ galantuomini “- ai quali interessava gettare il discredito sull’ordinamento giudiziario per evitare che le indagini arrivassero fino ai piani alti dei palazzi del potere. Tortora fu condannato a dieci anni di carcere.
Nel 1986 la Corte d’ Appello di Napoli lo assolse con formula piena. “ Ha vinto la giustizia o ha vinto la camorra ? “. Questa incredibile domanda se la pose non un cittadino qualsiasi, ma il procuratore generale Armando Olivares ( V. Paliotti, Storia della camorra, 2004, p. 240). L’anno dopo la Cassazione confermò l’assoluzione. Tortora morì, di cancro, nel 1988. Non ci meravigliammo quando apprendemmo dai giornali che qualche pentito aveva usato la minaccia della denuncia come strumento di estorsione. L’avvocato Angelo Cerbone si difese dall’insidia contrattaccando e raccontando a tutti la manovra che era stata ordita anche contro di lui. Non trovo più tra le mie carte il suo libro, “ Radiografia del potere “, che lessi una ventina di anni fa: una diagnosi amara e una profezia ancora più amara.
Tra gli storici della camorra solo il Di Fiore cita il libro, e solo lui ricorda che l’avvocato indirizzò al pentito accusatore una lettera pubblica che incominciava con una omerica, napoletanissima apostrofe: Grandissima latrina… (Gigi Di Fiore, La camorra, Torino, 2006, n.111, p.405). Enzo Biagi scrisse al Presidente Pertini dalle pagine della “ Repubblica “ ( 4 agosto 1983). Il giornalista sottolineò le evidenti contraddizioni dei pentiti che avevano fatto il nome di Tortora: il primo di essi aveva denunciato il presentatore “ dopo tre interrogatori; guarda caso, un personaggio così popolare non gli viene in mente subito “. Gli era venuto in mente nel quarto interrogatorio, dopo che aveva già accusato 60 persone. Non c’erano prove. Diceva uno dei pentiti che Tortora era amico di Francis Turatello, ma la madre di Turatello smentiva.
“Ci sarebbe la conferma di una contessa, che però non può testimoniare, perché è morta.” Un altro pentito raccontava che Tortora era stato iniziato alla NCO con il taglio della vena, ma lo “ smentisce, ed è a disposizione, il suo braccio destro. “. Gli inquirenti napoletani corrono a Milano, perché hanno trovato chi può fornire la prova decisiva: è un pittore, si chiama Giuseppe Margutti. E questo è il ritratto che ne fa Enzo Biagi: il teste chiave è un artista che inventa, per andare con una donna, un rapimento, che mette in circolazione francobolli con la sua faccia, che dichiara guerra agli USA che lo hanno buttato fuori, che si fa incatenare nella Galleria di Milano; il Margutti odia tanto la pubblicità, ed è tanto riservato, che dello stesso fatto dà versioni differenti, una a un redattore di “ Stop”, l’altra al Sostituto Procuratore.
Signor Presidente, chi risarcirà Tortora di queste calunnie ? Visto come va la giustizia, a chi si dovrebbe affidare? Un pentito fece arrestare come camorristi due onesti ottavianesi, il cui dramma ci insegnò che la nostra vita può dipendere anche dalla strada in cui abitiamo, e dagli umori dei vicini di casa. Il delitto di omonimia portò in carcere, come camorrista, un ragazzo di 13 anni. Alcuni giornalisti sostennero che era fatale che gli inquirenti commettessero qualche errore: anzi, in rapporto al numero degli arrestati, la percentuale degli errori risultava bassa. Era stata molto più alta ottanta anni prima, ai tempi del processo Cuocolo.
L’innocente Tortora e gli altri innocenti ebbero il compito di rappresentare un numero, e di costituire una percentuale.
(Foto: quadro di Andrew Gadd, Gli smascherati, 1998)