Per affrontare i problemi è necessario ricreare uno spirito collettivo, non bastano più le belle intenzioni. Bisogna operare in concreto.
Caro Direttore,
leggendo le notizie del tuo giornale on line –ma anche altra stampa- risalta un dato comune a molte realtà territoriali. Problemi e difficoltà di tanti centri (vesuviani e non), infatti esistono, ritornano e restano sempre uguali. Ovunque o quasi. Non a caso, dappertutto, ci si lamenta delle amministrazioni e degli amministratori; dappertutto, esaurita la stagione della partecipazione, la società vive emarginata dalle scelte e dalle decisioni, che sono ritornate rigorosamente nelle stanze dei partiti (sempre più esangui nei numeri che li rappresentano).
Ed ancora dappertutto è eliminato –o artatamente evitato- il processo di inserimento delle donne nei gangli delle istituzioni. Per non parlare, infine, dei problemi connessi all”ambiente, alla cultura, alla scuola, ai giovani, ai centri produttivi e a tante altre cose. Sembra, quasi, che ci sia una invisibile linea (un filo spinato?), che tiene unite o, forse, imprigionate, le nostre realtà territoriali, come ad indicarne una sfilza senza soluzione di continuità.
Caro Direttore, che fare, allora? Non ci si può solo lamentare; bisogna anche essere propositivi. “Sogno un Paese che abbia il coraggio di dire: era una buona idea ma siamo stati troppo arroganti nel proporla o forse siamo diventati troppo vecchi per portarla avanti. Allora, un Paese così di sicuro vedrà arrivare al suo cospetto nuove menti, pronte a prendere il testimone e a lavorare affinchè non finisca in cattive mani o venga risucchiato nel buco nero del passato”, (Antonio Pascale, “Qui dobbiamo fare qualcosa. Sì, ma cosa?”,Laterza, 2009).
Perchè, per esempio, non creare una rete dei territori interessati ad uguali problemi? E non certo in base al principio che, oggi, tutto è rete o non è. Un”amministrazione, infatti, che funziona male o lascia scontenti (mal governati) troppi cittadini, non è un fatto solo locale. Gli amministratori, che pensano poco al “bene comune in comune” e molto di più a quello personale o di cordata, non sono da non tenere in conto solo nel gruppo che li ha eletti; essi sono parte di una classe dirigente, che, spesso, si propone o è chiamata (per appartenenza, più che per merito) a rappresentare il territorio a livello provinciale, regionale o nazionale.
E le donne chiamate a rappresentare le cosiddette “quote rosa” non possono essere solo una concessione di notabili locali o la soluzione per mettere a tacere fastidiosi galletti che si beccano.Ed, a seguire, l”ambiente non è solo una responsabilità territoriale circoscritta; la cultura non si gestisce come appendice del divertimento; i giovani con i loro bisogni non sono il dramma di un solo paese o di una sola città; i centri industriali non possono scaturire da semplice esigenze padronali e locali.
Nel terzo millennio tutti i problemi sono trans-cittadini, trans-territoriali, trans-istituzionali. Non è retorica dire che bisognafare i conti, nel rispetto, delle identità, con le realtà straniere che affollano le nostre strade, con le necessità ed i bisogni di “quelli della porta accanto”, con i vizi e i pregi della gente che vive di fronte al mare o, quanto meno, ne respira la brezza e si impossessa degli odori, perchè “il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia, bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere”, (Fernand Braudel, “Il Mediterraneo”, Bompiani, 1987).
Forse, è tempo che cambi qualcosa dentro la testa delle persone; non servono più le parole o le buone intenzioni. Forse, è tempo di ricreare uno spirito collettivo, un pensiero plurale, una volontà a non adeguarsi al conformismo. Insomma, è tempo in cui la politica deve avere le sue fondamenta nell”etica, le donne nelle istituzioni –come deve avvenire anche per gli uomini- devono essere presenti per le loro capacità, le industrie devono servire il territorio, che, a sua volta, deve essere protetto, rispettato, sfruttato intelligentemente nelle sue risorse e nelle sue energie.
L”idea della rete serve anche a tenere alta la tensione, a stuzzicare l”attenzione, a salvaguardare il macro ed il micro territorio. In breve, per esempio, il Parco del Vesuvio è una risorsa e non un limite; le costruzioni abusive sono un problema del macroterritorio e non solo di una comunità identificata e delimitata; la soluzione al problema dell”immondizia deve scaturire da un”ottica di sistema e non da espedienti magici, che chiamano in campo, di volta in volta, cave dismesse, container in partenza per la Cina, treni in viaggio per la Germania, business di marca delinquenziale unitamente ad arricchimenti improvvisi ed a drammatiche quanto (sistematicamente) occultate patologie tumorali, specie nella cinta dei paesi racchiusi tra le pendici del Somma-Vesuvio e la vasta (ed un tempo ubertosa) pianura nolana.
“Indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia:, responsabilità della condizione paurosa delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria:Ecco l”elenco “morale” dei reati commessi da coloro che hanno governato l”Italia negli ultimi trent”anni:reati che dovrebbero trascinare almeno una dozzina di potenti democristiani sul banco degli imputati, in un regolare processo”, (Pier Paolo Pasolini, “Lettere luterane”, Einaudi, 1976).
Caro Direttore, come può funzionare una rete? Incontrandosi, parlandosi, operando in concreto, dando voce a tutti, a maggioranze ed a minoranze, a parlatori di mestiere ed a timidi di costituzione, a giovani e ad anziani, a personaggi in vista ed a cittadini definiti umili. Ma una rete funziona, maggiormente, imparando ad ascoltare gli altri, a capirne i bisogni, a coglierne le relazioni d”aiuto, a sfruttarne le capacità. Forse, così, può darsi rinasca veramente il senso di appartenenza al territorio, il coraggio di rifiutare le apparenze, la voglia di indignarsi, di vivere in spirito di servizio, sempre.
Insieme alla necessità di ridare alla parola ambiente, non solo il significato di un qualcosa che circonda, ma soprattutto quello di insieme delle condizioni sociali, culturali, morali delle persone, che circondano l”individuo e ne contrassegnano le forme di vita fisica e spirituale.
Direttore, che ne dici? Non sembra una cosa difficilissima nè inattuabile. Solo i tempi sembrano immutabili. A meno che non si sia in attesa degli dei, che, come diceva Pindaro, “puniranno coloro che hanno abusato della democrazia. E puniranno anche i presuntuosi”.