De bello britannico

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    L’evoluzione linguistica delle nostre guerre.

    Una volta esistevano i mercenari, uomini che offrivano il loro braccio in cambio di denaro, per combattere in guerre che non gli appartenevano. Man mano che il tempo passava, la parola mercenario, di per sé tutt’altro che amena per l’insita violenza che comportava, acquisiva connotazioni sempre più negative, tanto da indicare chi, povero di ideali e dignità si vendeva al miglior offerente, un po’ come accade oggi con la politica.

    Ecco però, in questi nostri tempi irrequieti, e soprattutto dopo l’undici settembre, la data che ha offerto all’occidente l’atteso alibi morale per fare quel che si voleva dell’oriente, la nostra stampa embedded, aggregata, integrata, inglobata, praticamente compiacente, imbevuta di anglosassone dialettica e ridotta in oggettività, non è più riuscita a contenere quelle parole che quotidianamente intercambiava con le truppe USA durante le campagne d’Iraq e Afghanistan. Le conferenze stampa dell’esercito americano, quelle che chiamavano e chiamano tutt’ora briefing, per sentirsi parte di un grande ed ecumenico tutto, proponevano il loro vocabolario ricco di futuri neologismi per l’italica lingua e che avrebbero ben presto fatto parte anche di contesti diversi come, guarda caso, anche quello economico.

    Fu così che comparvero parole come compound al posto di complesso, cluster bomb per bomba a grappolo, peacekeeping (bella faccia tosta!) invece di polizia internazionale o del più letterale mantenitore di pace, ma anche peace enforcing, road map, intelligence ma soprattutto contractor!

    Sì perché, memore della migliaia di soldati morti in Vietnam, il governo di Washington è corso ai ripari, ma lo hanno fatto soprattutto quelli che nelle guerre ci lucrano e stanno lì per giocare d’anticipo sulla ricostruzione e, all’occorrenza, sullo sfruttamento delle materie prime locali, questi hanno deciso che era opportuno utilizzare anche qualcuno la cui dipartita non avrebbe procurato più di tanto clamore tra la pubblica opinione d’Oltreatlantico.

    Ci riferiamo ai moderni mercenari, i contractor appunto. A chi vive all’ombra del latino, tale parola potrà sembrare più asettica del suo significato reale, perché sa di economia più che di guerra, ammesso che questa fosse più sporca della stessa ma le vicende, soprattutto quelle afgane, hanno voluto che questi precari del ventunesimo secolo, un po’ di rumore, lo facessero e per offuscare quell’aura nera che toccava anche l’Italia per la presenza di mercenari provenienti dalla nostra penisola, ecco che si sfruttava l’inglese per dare un senso più professionale che bellico a ciò che altro non era che guerra a pagamento, se non qualcosa di più basso.

    Così come le escort anche per i contractor è una questione di denaro e hai voglia di gridare che sei italiano e che siamo brava gente: se butti o meno le bombe o stai lì con chi lo fa, intelligentemente o meno, quelle uccidono e le nostre mani sono sporche ugualmente come quelle degli altri e questo a prescindere l’inglese.
    (Fonte foto: rete internet)