Arriva sul grande schermo (dal 1° aprile) il film tratto dalla serie Boris, uno dei prodotti più divertenti e pregevoli in circolazione: un affresco dissacrante delle assurdità che stanno dietro le produzioni televisive e cinematografiche.
Boris è, per molti, il miglior prodotto seriale italiano di sempre. Lanciata da Fox Italia e in onda dal 2007 al 2010, la serie ha portato una ventata di novità e intelligenza nel panorama televisivo italiano, occupato in modo massiccio da carabinieri, preti e santi.
E non è un caso che si sia affermata proprio grazie al sarcasmo con il quale dipinge i meccanismi che stanno dietro la creazione di una serie televisiva di pessima qualità (Gli occhi del cuore, titolo che potrebbe tranquillamente essere reale). Non si potrebbe comprendere a pieno la qualità di Boris senza tenere presente la sua dimensione meta-narrativa: mostra le vicende – sempre sospese tra il comico e il grottesco – di una troupe alle prese con la produzione di una serie di quart’ordine attraverso un umorismo e un’intelligenza di scrittura difficilmente riscontrabili in altri prodotti italiani.
La nostra serialità televisiva, anche nei suoi (rari) episodi interessanti, non ha mai avuto nel DNA la ricerca di un linguaggio più articolato; il fine è sempre stato raccontare una storia, in modo semplice, senza livelli di lettura ulteriori. Boris stravolge questo scenario. Quello che vediamo sullo schermo è volutamente esagerato. Il valore delle serie è nel contorno, nella sceneggiatura intelligente che, tra una risata e l’altra, riesce a restituirci i meccanismi perversi che regolano certe produzioni. Con Boris l’ironia – quella vera, a denti stretti – entra nel panorama televisivo italiano come non era mai successo in precedenza, raggiungendo i livelli delle migliori comedy anglosassoni.
Attraverso un gioco di specchi, la serie ideata e scritta da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo mette al centro della scena le riprese di un’altra serie, facendoci girare intorno personaggi e vicende che sono un pezzetto (neanche tanto caricaturale) d’Italia. C’è il regista insoddisfatto, consapevole ad ogni inquadratura della vergogna che sta realizzando, eppure capace di gasare troupe e cast come se stesse girando Il Padrino; troviamo l’attore divorato dall’ego e l’attricetta che in una delle prime puntate si impunta perché costretta a dire dal copione di avere 34 anni, entrambi pessimi e assetati di inquadrature; c’è lo stagista che funziona da strumento narrativo attraverso il quale entriamo nelle riprese de Gli Occhi del cuore e ne scopriamo le assurdità.
Tra politici che raccomandano attori, un network che “pilota” la serie influenzandone i contenuti, poveri disgraziati che ucciderebbero per una comparsata – con sullo sfondo, sempre, la terribile soap dalla trama delirante – Boris è un gigantesco circo, volgare e privo di qualità perché è volgare e priva di qualità la televisione che rappresenta. Ed è attraverso la rappresentazione beffarda di quel mondo che Boris colpisce duro, nascondendo sotto le risate immediate (accompagnate da tormentoni entrati nel linguaggio comune come il “Dai dai!” o “Devi recitare a cazzo di cane!” del regista Ferretti) uno scenario abbastanza desolante.
Con queste premesse – e con la squadra di autori e attori praticamente inalterata – Boris si presenta sul grande schermo, tentando un salto dalla tv al cinema non facile sia per le difficoltà che potrebbe avere a capire completamente il film chi non ha visto la serie sia per la necessità, ovvia, di adeguare una struttura collaudata al formato cinematografico. Eppure, anche in questo caso, il successo dell’operazione sembra assicurato. La grandezza della serie stava nel ridicolizzare la televisione usando i suoi stessi mezzi. In questo caso, il meccanismo viene trasportato integralmente sul set di un film: il regista Ferretti, dopo anni di pessima televisione, viene inaspettatamente chiamato a dirigere un film, per giunta di spessore (una sorta di film-denuncia sugli scandali politici italiani).
Viene, dunque, integralmente riprodotto il canovaccio: da una serie sul fare una (brutta) serie ad un film sul realizzare un (brutto) film. Con una sottile ma importante differenza: mentre gli Occhi del cuore nasceva come serie raccapricciante, il film che Ferretti è chiamato a girare ha velleità di essere un ritratto impegnato delle vicende politiche italiane. Ma il regista si scontrerà con gli stessi limiti della produzione televisiva (corruzione, pressioni, mancanza di professionalità). Il tonfo sarà dunque grande e il ritratto più amaro, soprattutto perché la dimensione politica di questo Boris – Il film è ancora più evidente.
Probabilmente chi non ha visto la serie non potrà apprezzare tutte le finezze del film, soprattutto perché non ha la dovuta familiarità con i personaggi. Ma la capacità di graffiare degli autori riuscirà comunque ad arrivare a tutti e sarà una boccata d’ossigeno per chi aspetta, da anni, una commedia italiana finalmente solida e pungente. Perché sì, Boris (serie e film) è una ventata d’aria fresca. Dimostra la profondità di un progetto capace di far ridere in modo sensato, di alternare il linguaggio comico ad uno più sofisticato. In questo modo la commedia italiana torna a ricordarci le enormi potenzialità del genere nel rappresentare con auto-ironia e un velo di amarezza difetti e malcostume.
Abituati come siamo a confrontarci con i cinepanettoni e la loro comicità – se di comicità si può parlare – vuota, Boris ci fa respirare ironizzando su quel mondo (e su tanti altri) e ricordandoci che dietro una risata può nascondersi il modo più intelligente e crudele di dipingere la realtà.
(Fonte foto: Rete Internet)


