L’apocalisse dei migranti e l’inguaribile epidemia delle chiacchiere. L’Europa, nonostante le centinaia di morti, non ha una strategia. L’impero romano cadde per il movimento a catena di popoli che si spostavano dall’ Asia verso Occidente.
Lunedì, nel “salotto” di Lilli Gruber, l’onnipresente Salvini, Richetti del PD, e Franco Di Mare parlavano della tragedia dei migranti morti nel Canale di Sicilia a centinaia: l’ elenco delle vittime è di tali dimensioni che si può già parlare di una catastrofe epocale. Anche nel “salotto” di lunedì , come in tutti gli altri “salotti”, da tre anni almeno, sembrava che gli ospiti non parlassero dello stesso tema, poiché ciascuno sviluppava solo uno dei molti fili che si imbrogliano in questo terribile “gliommero” di storia. Salvini sermoneggiava di identità nazionale, del tradimento dell’ Europa che lascia sola l’Italia, di blocco navale e si difendeva dall’accusa di disumanità tirandola addosso al governo e, di striscio, alla Chiesa; gli altri due disquisivano sui modi per cui un blocco navale diventa guerra, e sottolineavano gli obblighi che derivano all’Italia dal dovere morale e dalle ragioni della civiltà. A un certo punto il Richetti che si chiama anche lui Matteo, come Salvini e Renzi, – credo che sia un disegno della Provvidenza – ha citato Mengoni, il cantante: “il coraggio di essere umani”. Ho cambiato canale: non si fanno dichiarazioni spot su una tragedia di quelle proporzioni, e da chi fa politica uno si aspetta discorsi politici. Le ragioni del dovere morale, dell’umanità e della “pietas” stanno a monte, sono già date: solo qualche imbecille, che non è più padrone di sé, può esultare per una simile strage. Roberto Saviano non è stato tenero con il sig. Renzi: “Renzi e il suo governo sono solleciti a rispondere quando un tema diventa mediatico e popolare.. Il semestre italiano in Europa è stato una profonda delusione, in termini di proposte sui flussi dei capitali criminali e in termini di emigrazione.”( la Repubblica, 20 aprile: anche per le altre citazioni). “Non sono morti dei numerini, ma delle persone”: se pensate che l’abbia detto Crozza, vi sbagliate. L’ha detto il sig. Renzi.
Le invasioni dei barbari sfasciarono l’Impero Romano: è questa una proposizione formalmente corretta, ma sostanzialmente superficiale: quindi, inesatta. Già alla fine del II secolo d.C. i confini dell’Impero si aprono per accogliere pacificamente nuclei sempre più consistenti di “barbari”, destinati a riempire i vuoti nelle legioni e a presidiare le terre di frontiera. I Romani non vogliono più combattere: tra l’altro, si avvertono le prime avvisaglie della crisi demografica, che è provocata non da carestie o dal tracollo della produzione agraria (lo dimostrò Rostovzev), ma dal fatto che si alza dovunque, e in tutti i ceti, anche se in misura diversa, il tenore di vita. Sono tempi agitati: e anche i ricchi non vogliono figli. Nell’ultimo secolo della sua storia, a difendere l’impero dalla minaccia dei “barbari” sono generali “barbari”. La svolta è segnata dalla battaglia che si combatte nella piana di Adrianapoli il 9 agosto 378. Visigoti, Ostrogoti e Alani, guidati da Fritigerno, massacrano l’esercito imperiale. L’imperatore Valente, ferito, viene trasportato in una capanna, a cui i vincitori, che forse non sanno chi vi ha trovato riparo, appiccano il fuoco. Solo l’abilità di due franchi, Bautone e Arbogaste, condottieri al servizio di Graziano I, impedisce che i guerrieri di Fritigerno dilaghino per le regioni centrali e meridionali della penisola balcanica.
L’ invasione di Ostrogoti e Visigoti era stata provocata dalla pressione degli Unni. I quali erano stati spinti verso l’Europa da movimenti dei popoli delle steppe che si protrassero per secoli, come dimostrano il trasferimento dei Turchi nell’ Asia Minore e l’avanzata verso Occidente dei Mongoli di Gengis Khan e di Kublai Khan. Il 20 giugno 451, quando si scontrò con il generale “romano” Ezio ai Campi Catalaunici, tra Troyes e Chalons, Attila controllava, direttamente o indirettamente, quasi tutta l’Europa centrale. In questa battaglia, che fu vinta da Ezio e che prolungò per poco più di un ventennio l’agonia dell’Impero, non c’erano italici: c’erano, anche divisi tra le due parti, Ostrogoti, Visigoti, Franchi, Sarmati, Gepidi, Eruli. E Unni, ovviamente. La civiltà dell’Europa si formò con il contributo di tutti. La Chiesa ebbe il merito di salvare la lingua latina e quella parte della civiltà di Roma che venne giudicata degna di essere salvata: gli edifici, invece, vennero sistematicamente demoliti, come ci racconta Gregorio di Tours. Ma questa è un’altra storia.
Le idee sul presente sono poche e confuse. Martin Schulz dice che “bisogna cambiare strategia”, il che induce a supporre che, anche prima di questa “apocalisse dei migranti”, l’ Europa avesse una strategia: ma nessuno sa quale fosse. E infatti la signora Mogherini, che è l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione, ci fa sapere che “abbiamo il dovere di dare subito risposte europee”. L’ “ultima opzione” del governo italiano è “distruggere i barconi in porto, ma serve un mandato internazionale”: qualche anno fa, l’operazione condotta contro gli scafisti albanesi ebbe successo, ma mi pare che in Libia la situazione sia totalmente diversa. Il sig. Renzi ha chiesto aiuti e consigli a Obama. Ma i fatti dimostrano che gli americani sono molto più bravi a creare i problemi di politica estera che a risolverli. Il nodo della questione lo ha individuato Ilvo Diamanti: è una fuga o una migrazione? Il giornalista di “Repubblica” ritiene che si tratti di una fuga: dalla fame, dalla miseria, dalla violenza. Ma ammette che i “numeri sono smisurati”, tanto da innescare la paura dello straniero, e da ispirare le prediche degli “imprenditori politici della paura”. In ogni caso, non è possibile individuare strategie utili, se prima non si stabilisce l’esatta natura della situazione: tra l’altro, secondo Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, nel mondo circa “un miliardo di persone vive in estrema povertà”.
Non bisogna dimenticare, infine, che la paura viene alimentata ora non solo dal numero dei migranti, ma anche dai “mostri” dell’Isis che si agitano dietro i barconi. Lo storico Giordane scrisse, agli inizi del sec.VI, che con la battaglia di Adrianapoli erano finite due cose: la fame dei Goti e la sicurezza dei Romani.



