Un caffè con…Angelo Parisi

0
6071
Angelo Parisi

Danzatore classico e contemporaneo, coreografo, forma ballerini professionisti nella sua Accademia di Somma Vesuviana, «Percorsi di danza».

Quarantotto anni, una vita dedicata alla danza prima e all’insegnamento poi. Angelo Parisi ha tenacemente inseguito la sua passione fin da adolescente, seppure contrastato dalla famiglia. La sua storia ricorda a tratti quella del ballerino Philip Mosley dalla quale è stato tratto il fortunato film «Billy Elliot» diretto da Stephen Daldry. Si è diplomato dopo varie peripezie al Lyceum di Mara Fusco, accademia nazionale di danza, vero faro napoletano e scuola di prestigio nel panorama artistico italiano. La sua tecnica è stata affinata e perfezionata con la guida di maestri di fama: il cubano Ricardo Nunez, Majja Pliseckajia leggendaria étoile del Bolshoi, il coreografo internazionale Renato Greco tra i fondatori della Federazione di Danza Italiana, Dino Verga punto di riferimento della tecnica di Merce Cunningham in Italia, Matt Mattox, ballerino di Broadway e star di molti musical di Hollywood e molti altri nomi ben conosciuti nel panorama artistico della danza internazionale. Ha ballato in Germania, con varie compagnie e ha fatto parte di «Novecento Napoletano» con Marisa Laurito, toccando con la tournée internazionale Parigi, Zurigo, Tokyo, Buenos Aires e le maggiori città italiane. Al Teatro di Corte del San Carlo ha interpretato l’operetta «L’Idolo Cinese» di Roberto De Simone; con la compagnia «Il Balletto di Napoli» di Mara Fusco è stato più volte in tournée ed ha partecipato allo spettacolo sui Rai Uno, «Sirene, Corsari e Fantasia». Solista per la fondazione «Niccolò Piccinni» di Bari, coreografo per stilisti emergenti dell’alta moda romana, ha partecipato a numerosi concorsi e rassegne internazionali. La sua coreografia «Passione di Cristo» e la sua performance in piazza di Spagna in occasione del Giubileo dei Giovani, gli valsero il primo premio dell’annesso concorso internazionale. Con lo spettacolo «Pierino e il Lupo Ciak» ha toccato le maggiori capitali del Mediterraneo, ha frequentato seminari perfezionandosi sempre più e ha firmato coreografie per spettacoli di successo in teatri di New York in occasione del Columbus Day all’inizio degli anni duemila. Nel 2010, l’approdo in Rai con gli spettacoli – sue le coreografie – «Una voce per Padre Pio», «Le Note degli Angeli» e «Il Parco delle Meraviglie». È nato e vive a Somma Vesuviana, anche se spesso è in viaggio per stage e per stare vicino ai suoi allievi che accompagna a concorsi e workshop. Ha un compagno, Giovanni, e un cane, Oscar. Il primo da venticinque anni e il secondo da diciassette.

Angelo, sei nato e cresciuto a Somma Vesuviana?
«Sì e fino a poco tempo fa ho dormito esattamente nel letto in cui sono nato. Ma ora, da un po’, ho preso in affitto una casa in una zona un po’ limitrofa della città, grande abbastanza per ospitare amici o maestri che vengono a trovarci. Abito con Giovanni, il mio compagno, ormai stiamo insieme da venticinque anni, forse anche di più».

Sono tantissimi, venticinque anni. La tua famiglia di origine, invece?
«Mio padre Raffaele ha lavorato al Comune fino alla pensione, mamma Filomena è una casalinga. Io sono il penultimo di sei fratelli, quattro maschi e due femmine. Sono un po’ il cocco di tutta la famiglia».

Il primo ricordo dell’adolescenza che ti viene in mente?
«Quando mio padre mi accompagnò a Napoli, a vedere l’Istituto d’Arte che insistevo a voler frequentare. Avevo 14 anni e intendevo a tutti i costi danzare, avevo cominciato già un anno prima ma i miei non erano assolutamente d’accordo. Papà era convinto che i ballerini fossero tutti gay e per me avrebbe preferito uno sport più da maschio. Ovviamente è una convinzione assurda, la danza non c’entra nulla ma, ahimè, la gente ancora oggi a distanza di tanti anni non si è liberata di questi pregiudizi. Insomma papà mi accompagnò, dette un’occhiata in giro, vide i ragazzi che frequentavano quella scuola, notò i capelli lunghi, le barbe, le canne, i tatuaggi, le catene e poi guardò me, un ragazzino piccolo che arrivava dalla provincia quasi con la capretta sulle spalle e mi disse: «no, assolutamente no». Io mi ero già preparato un piano: sarei andato a scuola al mattino e uscito di lì alla scuola di danza di Mara Fusco, al Vomero, prendendo direttamente la funicolare. Ma non fu possibile e da quel momento anche alle lezioni di danza dovetti andare di nascosto».

Come pagavi le lezioni?
«Non l’ho mai fatto, mi aggiudicai subito una borsa di studio. La Fusco decise che non dovessi pagar nulla, mettevo le mie paghette da parte per i saggi, per gli indumenti che mi occorrevano per danzare».

I tuoi lo avranno saputo a un certo punto…
«Sì, fui io stesso a invitarli ad uno spettacolo dopo circa tre anni. Mi videro ballare, sul palco e con un bel ruolo, si sciolsero, si emozionarono. Da quel momento in poi furono molto carini e mi sostennero».

La scuola?
«Quella l’ho trascurata moltissimo e me ne sono poi pentito amaramente. Sono diplomato all’Istituto Tecnico Industriale di Somma Vesuviana. Mio padre mi prese per i capelli e mi trascinò nella scuola più «maschile» del pianeta. Mi piaceva l’italiano, l’inglese, anche un po’ la matematica ma tutto il resto no, quelle materie pratiche, lo stare vicino ai torni, imparare ad usare gli attrezzi, le lime, proprio non mi andava. Frequentavo la scuola perché dovevo. Ora invece ho capito che studiare mi piace, tant’è che mi sono iscritto alla British School di Somma Vesuviana per perfezionare l’inglese che parlo già abbastanza bene, ma questo non basta quando si ha a che fare con un determinato tipo di persone e nel mio lavoro capita spesso. Inoltre studio Scienze Motorie alla Università telematica Pegaso perché poi vorrei laurearmi in danza all’Accademia Nazionale. Sarà complicato ma voglio provare».

Come hai scoperto di voler danzare per professione?
«Ho cominciato abbastanza tardi, avevo già tredici anni. In realtà il momento migliore è da piccolissimi, a quattro o cinque anni fino poi ai diciotto. Ho scoperto che questa era la mia strada guardando la tv. Ero innamorato di Heather Parisi, il fatto che avessimo lo stesso cognome era una spinta in più. La seguivo e pensavo che volevo fare esattamente quello che faceva lei e tutti i ballerini che le erano intorno. All’epoca in televisione c’erano professionisti di alto livello, non le soubrette di oggi. Il sabato mattina poi davano «Maratona d’Estate» con Vittoria Ottolenghi, trasmissione cult per i danzatori, ne bevevo ogni minuto. In seguito una mia amica mi disse che a Napoli esisteva una delle migliori scuole italiane, quella di Mara Fusco, appunto. Questa cosa mi entusiasmò, volevo il meglio: tentai un provino e mi presero. I mei genitori lo scoprirono dopo un anno, dovetti interrompere e continuare a studiare a Sant’Anastasia ma il mio desiderio era sempre tornare a Napoli, dove si sfornavano ballerini professionisti.  Ci riuscii e lì mi sono diplomato».

Poi cosa hai fatto?
«Tante esperienze, lavorando a Bari alla Fondazione Piccinni per un anno, girando con Il Balletto di Napoli, la compagnia della Fusco con la quale siamo stati in Turchia, in Messico, in seguito con Novecento Napoletano di Marisa Laurito, primo musical partenopeo: andammo a Tokyo, Buenos Aires, Parigi e questo spettacolo vinse anche la Maschera d’Oro, c’era sempre il pienone in ogni città. Il livello era molto alto e noi ballerini recitavamo e cantavamo, anche».

Hai studiato canto?
«Sì, per un anno. Tentai un provino con la Compagnia della Rancia per West Side Story e lo superai. Ma per motivi personali non ho più voluto continuare. Diciamo che ho lasciato un po’ da parte la carriera per pensare all’amore».

Lo stesso amore di oggi?
«Sì, Giovanni. Ci siamo incontrati nel ’91. Ora lui collabora con me nella mia Accademia di Danza. In realtà ho poi scoperto che mi piace di più stare dall’altro lato, insegnare. Ballare era la mia vita e ho fatto tante cose, lavorando anche in Rai, con ruoli importanti nelle compagnie come quello in «Pierino e il Lupo», viaggiando moltissimo. Però ho capito che vedere gli altri ballare su mie coreografie, crearle indosso ad altri ballerini, era ancora più soddisfacente per me».

Così hai deciso di dar vita a una tua Accademia.
«A Somma Vesuviana non c’era una scuola di danza. Io stesso da adolescente, a soli quattordici anni, facevo sacrifici enormi andando a scuola di mattina, prendendo poi la circumvesuviana, la metropolitana e la funicolare che mi portavano fino al Vomero, praticamente rientravo a casa di notte e studiavo solo in treno. Così, quando ne ho avuto la possibilità e dopo molta indecisione, ho deciso sedici anni fa di creare Percorsi di Danza. Ma prima ho insegnato in altre scuole».

Come l’hai finanziato questo sogno?
«Grazie a un bel po’ di amici che mi hanno aiutato con la promessa che mi sarei sdebitato un po’ alla volta. E così è stato giacché fortunatamente, quando ho aperto la scuola, c’è stato un exploit incredibile. C’erano davvero tantissimi allievi, visto che era l’unica scuola in zona. Ora diciamo che si sono dimezzati».

Ti affiancano altri maestri?
«Io insegno ai corsi superiori di danza classica e contemporanea, Monica Rega e Maria Consiglia Nappo si occupano dei corsi medi e inferiori, poi c’è Giovanni Zampella che segue la parte amministrativa e l’organizzazione».

Mi racconti dell’inizio e dei risultati?
«I primi anni sono stati tremendi, era la prima volta che dirigevo una scuola mia. Era tutto molto bello e la gente era tanta. Ma io venivo da una disciplina ferrea, volevo formare professionisti, ragazzi che stessero lì ad allenarsi tutti i giorni molte ore e anche il sabato e la domenica se serviva o erano in programma stage. In realtà una buona fetta degli allievi aveva solo il desiderio di divertirsi, ballare un po’ e poi tornarsene a casa. Ecco perché gli iscritti si sono dimezzati. Ma dopo sedici anni sono riuscito a formare ballerini bravissimi, in questo senso sono molto fortunato».

Qualcuno dei tuoi allievi lavora già?
«Parecchi. C’è per esempio Carmen Diodato, mia allieva di Somma Vesuviana. Lei è una ragazza audiolesa e quando è arrivata da me per la prima volta era completamente sorda, ancora non esistevano apparecchi acustici sofisticati come quelli di oggi. Le avevano detto che non avrebbe mai ballato, invece io ne ero convinto, vedevo la sua voglia di fare, il talento innato. Avevo ragione, ora sono due anni che lavora nel corpo di ballo dell’Arena di Verona. C’è Nietta Dalmini che ha vinto una borsa di studio a Roma, è stata ospite in una compagnia in Germania e ora sta cercando lavoro. Guido Sarnataro, mio allievo e figlio dell’artista Gioia Perillo: lui ha vinto quattro anni fa un’audizione per la Ballett School di Basilea, tra le più importanti d’Europa ed ora è lì. Mariano Covone, che il mese prossimo ha un’audizione all’Arena di Verona. Altri che hanno vinto borse di studio e poi Virginia Vorraro: lei ha solo 15 anni e in estate è venuta con me a Bratislava, in Slovacchia, dove ogni anno insegno in un workshop internazionale. Il direttore di una compagnia slovacca, dopo averla vista danzare, l’ha voluta in compagnia. Perciò dopo lo stage Virginia è tornata qui, ha rifatto armi e bagagli, ed è ripartita. Tornerà a dicembre, è la più piccola della compagnia ma questo può accadere, è un evento molto raro, talenti così nascono ogni mille anni. Talentuosa, fisicamente adatta alla danza e con caratteristiche psichiche adeguate: per fare questa professione devi avere un carattere forte, duro, sottostare alla fatica di molte ore di lavoro e studio. Non puoi uscire con gli amici o perdere tempo in altro e a quindici anni devi avere motivazioni fortissime per far tutto questo».

Quante ore ti allenavi tu ogni giorno?
«Sei, spesso anche sette. Andavo da Somma al Vomero ed ero visto come un alieno. Spesso perdevo l’ultimo treno della Circumvesuviana, quello delle 22, 20. Tornavo a casa con il pullman che partiva da piazza Garibaldi un’ora dopo».

Adesso?
«Mi alleno circa due ore al giorno».

I tuoi allievi, invece?
«Li distruggo. Molte ore tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, qualche volta anche di sabato e domenica. La fatica è di casa nella nostra scuola di via Tenente Indolfi. Però i risultati li otteniamo e i paesi vesuviani sono pieni di talenti».

Quanti iscritti?
«Circa sessanta. Tra loro anche molte borse di studio, non chiediamo soldi a chi ha talento ma non ha null’altro. Li aiutiamo per la scuola e spesso li accompagniamo anche fuori Italia. L’età degli allievi va dai cinque ai diciannove anni».

Non c’è un corso amatoriale? Qualcosa dedicato a chi l’età non ce l’ha più ma vorrebbe imparare?
«No, però mi piacerebbe moltissimo. Sono convinto che la danza migliori le persone dal punto di vista fisico e psichico».

A te cos’ha dato?
«Tutto, l’amore verso l’arte, l’educazione, il rispetto per gli altri».

Se potessi tornare indietro rifaresti le stesse cose?
«Non quelle fatte per amore. Per il resto sì, ma andrei immediatamente all’estero, in Italia il livello è bassissimo. Non è solo per la crisi, generale e del teatro, è che proprio la gente non capisce: è una questione culturale. Noi abbiamo tutto eppure così poche possibilità».

Dove andresti?
«In America. L’ho vissuta nei viaggi che ho fatto, da ballerino e da coreografo. Mi piace di quel paese il fatto che se hai talento vai avanti. La meritocrazia lì esiste, come del resto nella maggior parte dell’Europa.  Qui no. Pensa che l’ottanta per cento dei miei amici che avevano una compagnia in Italia hanno chiuso perché i fondi non arrivavano. Nel nostro Paese devi prima allestire uno spettacolo, poi investire, pagare contributi ai ballerini e infine rendicontare e portare il tutto allo Stato sperando che rimborsi qualcosa. Ma se prima non si hanno i soldi non si può».

Nella tua città qualche progetto lo hai fatto, «Magma» per esempio, com’è stato?
«Sì, il film con Emanuele Coppola. Progetto bello e interessante che sta andando benissimo. Delle centinaia e centinaia di ore di coreografie è stato adoperato pochissimo, ma ci saranno altri corti in cui le utilizzeremo».

Hai curato la regia di spettacoli anche per il tenore Vincenzo Costanzo.
«Uno dei giovani tenori più validi e importanti d’Italia, è molto bravo e ogni volta che torna a Somma Vesuviana chiede sempre che sia io a curargli la regia. Per l’ultimo abbiamo puntato sulle canzoni classiche napoletane invece che sull’opera, è andata benissimo».

A Somma Vesuviana c’è considerazione per i talenti, per gli artisti?
«Molta, soprattutto negli ultimi tempi. Credo che dovrebbe essercene ancora di più perché i talenti sono veramente tanti, come in tutta la zona vesuviana. Sono convinto che quest’area abbia una marcia in più, non so se per il magma, appunto, per la voglia di fare, per gli stimoli maggiori, ma è così».

Tuo padre ha smesso, nel frattempo, di proporti lavori «maschili» e si è rassegnato al fatto che non gli avresti mai portato una nuora?
«Non ho mai toccato l’argomento “omosessualità” con i miei genitori. Hanno accettato tutto in modo naturale, Giovanni frequenta casa dei miei da quando ci siamo conosciuti, pranziamo lì tutti i giorni tranne quando siamo fuori per lavoro. Lo trattano come un figlio, anzi hanno forse più attenzioni per lui che per me. Spesso mia madre si preoccupa di sapere se lui ha mangiato e magari non chiede di me».

Potendo farlo, vorresti sposarti?
«No».

Non ti appassiona la discussione sulle unioni civili?
«Al matrimonio non ci arriveremo mai, la Chiesa qui non lo consentirà».

Sei cattolico?
«Non più».

E allora cosa ti importa se ci si può o meno sposare in chiesa?
«Appunto, nulla. Non è che non mi coinvolga la discussione sui matrimoni civili per esempio, ma so che noi italiani siamo un popolo di bigotti, fermi al mesozoico e un tantino ipocriti. Finché la cosa non ci tocca la si vive con distacco e freddezza: ho avuto amiche che hanno completamente cambiato registro nel momento in cui hanno scoperto di avere figli omosessuali. Diciamo che i più predicano bene e razzolano malissimo. Per me non la farei la lotta, per gli altri sì: se due che si amano vogliono sposarsi, cosa tolgono agli altri? Due che vivono insieme tutta la vita hanno diritto ad alcune cose: devono poter assistere l’altro, condividerne i beni anche in eredità, sono cose semplici da capire».

Sulle adozioni da parte di coppie gay che ne pensi?
«Ti rispondo con una domanda: è meglio che un bimbo viva tutta la vita in un istituto o che sia adottato da una coppia magari benestante?».

Tu lo faresti?
«Se avessi un potenziale economico diverso forse sì, tenterei, sempre che la legge italiana prima o poi lo consenta. O forse no, non so. Ho una vita piena, sono fuori Italia spesso. Magari non sarei nemmeno un buon padre, diventerei troppo apprensivo, finirei per seguirlo, gli metterei una telecamera nei capelli per controllarlo, finirei per diventare ossessivo e paranoico. Il mondo fa schifo, avrei paura».

Di cosa?
«Della gente bigotta e ipocrita, della reazione degli altri nel sapere che ha due padri e non una famiglia cosiddetta tradizionale».

Se abitassi in Spagna, per esempio, ti saresti già sposato?
«Credo di sì, magari anche solo per festeggiare insieme agli amici. Il fatto che qui non si possa frena moltissimo. Come si fa a non capire che i figli di Ricky Martin o di Elton John sono meravigliosi e fortunati? Ma beati loro!».

Quanto conta il denaro per te?
«Odio i soldi, ho un pessimo rapporto. Mi servono ma ne farei volentieri a meno. Dove gira troppo denaro non ci sono persone “sane”, credono di poter comprare ogni cosa. Si compra tutto con i soldi, anche le persone».

Tu hai un prezzo?
«Io no, però ce l’hanno in molti. I politici quasi tutti, per esempio».

Ti ho chiesto se fossi cattolico e mi hai risposto «non più». Lo sei stato?
«Sì, andavo in chiesa e mi piaceva quell’atmosfera, poi ho conosciuto qualche sacerdote non molto degno».

Hai ricevuto avances sessuali da sacerdoti?
«Sì, tante. Quando lavoravo a Roma, soprattutto».

Non credi di dover dividere la fede dai rappresentanti in terra della Chiesa? Mi spiego: in Dio ci credi?

«Sì, in Dio Sì. E qualche prete semplice l’ho conosciuto. Realizzando gli spettacoli a sfondo religioso per la Rai ho avuto modo di avere contatti con missionari che lavorano in Africa o in Madagascar. Loro sì che sono sacerdoti, persone grandi, con un’incredibile apertura mentale».

Del Papa attuale che pensi?
«Di Papa Francesco, se stiamo solo a quel che dice e all’esempio che dà, ho un’impressione positiva. Ma è pur sempre un capo di Stato, a me affascina la parte francescana della Chiesa, quella povera».

Se capitasse a te di avere molti soldi, diciamo una somma spropositata di denaro, che ne faresti?

«Penserei ai ragazzi, bambini e adolescenti, che non hanno davvero nulla. Ho a che fare con molti di loro per lavoro, vedo che sono infelici, insoddisfatti, che temono di non poter realizzare i propri sogni. Li aiuterei, vorrei renderli felici. E poi metterei su una compagnia di balletto napoletana che potesse girare il mondo. C’è quella del San Carlo, certo, ma una privata, forte, al momento no».

Chi sono per te, oggi, i ballerini più bravi al mondo?
«Natalia Ossipova, étoile russa, Sergei Polunin, russo anche lui. Ma io sono più per i danzatori della vecchia guardia, i ballerini di una volta erano più bravi. Ora sono troppo circensi, troppo atletici, troppo tecnici».

I più bravi in assoluto, quelli di tutti i tempi?
«Natalia Makarova e Michail Barysnikov».

Il secondo l’abbiamo apprezzato anche come attore, in qualche film o nella serie Sex and the City dove interpreta uno dei fidanzati di Carrie. Ma perché citi tutti danzatori russi?
«Hanno un’indole diversa, sono più propensi al sacrificio, se un ballerino italiano può dirsi grande stai sicura che è passato per altre scuole europee o in quella russa».

Per esempio, Roberto Bolle? L’Accademia del Teatro alla Scala non ha dato i suoi frutti?
«Bolle è fisicamente un adone, mi piace moltissimo. Meno dal punto di vista artistico».

Hai tempo per te? Cosa fai quando non lavori?
«Ne ho pochissimo, due giorni alla settimana vado a lezione di inglese e tutto quello che rimane lo passo con il mio cane Oscar. È un barboncino di diciassette anni, ha avuto un ictus e sta malissimo. Lo curiamo con i lavaggi, stiamo svegli di notte insieme a lui, è il nostro bambino».

Perché l’hai chiamato Oscar?
«L’abbiamo scelto insieme, io e Giovanni. Lui perché aveva un gattino con questo nome che era morto da poco, io per omaggiare Oscar Wilde».

Un’icona, Wilde, oltre che un grande scrittore. Quale delle sue opere hai letto?
«Un vero dandy e un’icona gay. Ho letto Il Ritratto di Dorian Gray, come tutti gli omosessuali».

L’ho letto anche io, mica è letteratura di genere. Altre opere?
«L’importanza di chiamarsi Ernesto e tutte le sue massime, gli aforismi».

Immagino tu abbia letto anche altro, non solo Wilde.
«Certo, in genere mi piace moltissimo il Novecento. «La casa degli spiriti» di Isabel Allende, ho amato anche il film. Mi piaceva quella storia d’amore tormentata in un clima rivoluzionario, mi emoziona molto tutto ciò che è passione, amore per il quale occorre combattere. Le storie semplici mi annoiano terribilmente. Mi è piaciuto anche «Ragazzi di Vita» di Pier Paolo Pasolini, «I turbamenti del giovane Torless di Robert Musil. E poi amo Umberto Eco, «Il nome della rosa», mi ha tanto preso, sia il libro che il film. In realtà mi capita sempre di vedere prima i film e poi passare ai libri e spesso mi piacciono di più questi ultimi».

Il cinema ti appassiona?
«Così tanto che gli amici mi prendono in giro chiamandomi Anna Praderio, la giornalista che si occupa di cinema. Perché non solo dico loro cosa andare a vedere ma gli faccio anche la critica. Ho amato molto «Lolita», in particolare il remake diretto da Adrian Lyne che riprendeva quello di Kubrick degli anni ’60, entrambi basati sul romanzo russo di Nabokov. Poi «Schindler’s List» di Steven Spielberg e «La Passione di Cristo» di Mel Gibson. Diciamo che guardo un po’ di tutto privilegiando i film americani, le storie. Ho trovato stupendo un film che uscì in Italia nel Duemila ma restò nelle sale solo qualche giorno anche se poi fu premiato con il Leone d’Oro a Venezia: «Le Magdalene» di Peter Mullan, un film denuncia sui soprusi subiti dalle giovani donne rinnegate dalle loro famiglie nel clima benpensante della cattolicità irlandese».

Sei mai stato attratto da una donna?
«In età adolescenziale, sono anche stato fidanzato».

Com’è stato?
«Noiosissimo, da allora mai più accaduto. È successo che abbia fatto sesso con una donna, ma una volta mi è bastato e pure avanzato».

Però scommetterei che sei molto corteggiato dalle donne.
«Moltissimo, alcune mie amiche mi conoscono da anni eppure ancora insistono».

È che gli omosessuali sono una preda ambita, è una questione di egocentrismo femminile. Le donne pensano: «Se riesco con lui, posso avere chiunque».
«Sono d’accordo con te, ma cascano malissimo con il sottoscritto».

L’uomo più affascinante che tu abbia mai visto?
«Sean Connery, nel ruolo di James Bond e sensualissimo anche in “Il nome della rosa”. Diventa più affascinante ogni anno che passa».

La politica ti interessa?
«Seguo i dibattiti, mi informo. Sì, abbastanza, mi piace. Soprattutto Luigi Di Maio, il vicepresidente della Camera, alle politiche voto il Movimento 5 Stelle. Mi intriga l’idea della completa eliminazione del vecchio ma non è che abbia un’ideologia ben precisa. Condivido alcune idee di destra, alcune di sinistra, alcune di centro e alcune dei grillini. Per dire, mi viene l’angoscia se sento parlare Daniela Santanché o Micaela Biancofiore, come pure Alessandra Mussolini: non so come faccia la gente a votarle».

Qualcuno potrebbe chiederti come si fa a votare per un movimento rappresentato da Grillo, ma è questione di prospettive, su questo concordiamo. Mi dici perché ti piace Di Maio?
«È giovane, ha un bel tono di voce che non alza mai, è pacato e dà sicurezza. Al contrario di Matteo Salvini, per esempio: il suo timbro di voce, il suo modo di parlare, mi infastidisce, anche se poi condivido alcune cose che dice».

Cosa, per esempio?
«Alla luce di quanto è avvenuto di recente a Parigi, della rivendicazione dell’Isis e di tutti i morti che ancora stiamo piangendo, condivido le sue idee riguardo ai musulmani e non credo che vogliano essere integrati davvero. Vogliono vivere in Occidente senza però accettare le nostre usanze, le tradizioni. Così non va bene, non è integrazione».

Qualcuno ha fatto notare in questi giorni, ed è la verità, che non tutti i musulmani sono terroristi. Ma che, di contro, tutti i terroristi di oggi sarebbero musulmani. Che ne pensi, non temi di scadere, proprio tu, nel razzismo?
«Io non sono ipocrita, loro sì. Vogliono venire nel nostro paese a costruire le moschee ma perseguitano i cattolici a casa loro, le loro donne vogliono mettere il burqa ma se un’occidentale va in short nei paesi islamici rischia grosso. Così non va, non esiste. E poi trovo ipocriti gli arabi anche dal punto di vista sessuale: la maggior parte di loro condanna l’omosessualità ma poi quei paesi come la Tunisia e il Marocco sono le mete favorite del turismo sessuale, anche quello gay. Ecco quale idea sposo di Salvini: bisogna chiudere le frontiere, ora basta, siamo in troppi».

Però voti i «grillini».
«Alle politiche sì, alle amministrative della mia città voto le persone che ritengo intelligenti e valide, indipendentemente dal partito politico».

Il sindaco attuale di Somma Vesuviana?
«Pasquale Piccolo è una persona aperta al dialogo, come lo era il suo predecessore Ferdinando Allocca. Sono gli unici due sindaci con i quali ho avuto a che fare e di entrambi ho avuto un’ottima impressione».

Disponibili ad investire sulla cultura?
«Il più delle volte la risposta è che i soldi non ci sono. Se si vogliono fare cose di qualità a Somma è possibile, ma le risorse sono davvero poche. Di recente c’è stato un evento molto carino alla Villa Augustea, Pianeta Terra, del quale ho curato la direzione artistica. Devo ammettere che Piccolo ci sta provando».

Se fosse in tuo potere cambiare una legge dello Stato, quale sceglieresti?
«Renderei obbligatorio destinare il 5 per mille alle attività culturali, se possibile. E poi introdurrei i matrimoni civili per le coppie omosessuali, nonché la possibilità di adottare bambini anche per i single».

Hai molti amici?
«Pochissimi, si contano sulle dita di una sola mano. Due uomini e due donne, direi. L’amico è qualcuno che puoi chiamare anche alle tre del mattino, quello che corre da te sempre e in ogni caso».

Se potessi trasformarti in un animale?
«Una mosca, fastidiosissima e piccina. Così potrei vedere e sentire tutto, seguire alcuni personaggi che parlano tantissimo e a sproposito per constatare quanto predichino bene e razzolino male o se, al contrario, si comportano così bene come vogliono far credere».

Il giorno più bello della tua vita e quello più brutto?
«Quello più bello credo quando ho cominciato a lavorare come coreografo per Rai Uno, mi hanno fatto i complimenti perché dopo tanti anni, finalmente, si vedeva in tv qualcosa di originale e non solo cosce scoperte e seni al vento. Il più brutto è stato quello in cui è morta mia nonna, viveva con noi e le ero molto legato».

Il viaggio che ricordi con più nostalgia?
«New York, ci sono stato almeno sette volte. Ho visto tante città, da Londra a Parigi, da Amsterdam a Berlino fino a Tokyo e Buenos Aires, ma la Grande Mela è unica, come se fosse – per dire – Londra al cubo. Si vede il nero che cammina mano nella mano con la giapponesina, due donne che si baciano al gay village senza che la gente le guardi, la festa di San Patrizio con il fiume Hudson che diventa verde, il Columbus Day con l’Empire State Building illuminato di bianco, rosso e verde, i colori della bandiera italiana. Si festeggia e si celebra ogni giorno la multiculturalità. C’è un popolo veramente molto libero».

Il viaggio che invece ti piacerebbe?
«In Australia, mi affascinano moltissimo gli ampi spazi di quella terra e la sua fauna».

Non credi che i pregiudizi nei confronti degli omosessuali siano spesso causati dal loro stesso comportamento?
«Assolutamente sì, sono d’accordo in maniera totale. Io per esempio sono contro il Gay Pride: chi rivendica il diritto di avere le stesse possibilità degli altri, di adottare bambini o di sposarsi per esempio, non può mettersi su un palco o su un carro con un boa di struzzo al collo e mezzo nudo, leccando un gelato davanti a tutti. Quella non è sicuramente una bella figura di papà. L’orgoglio gay si può mostrare anche in giacca, cravatta e un atteggiamento serio, quello che usiamo nella vita di tutti i giorni. I Gay Pride sono fuori moda, come lo sono alcuni omosessuali che si rendono ridicoli».

C’è un angolo della tua città, Somma Vesuviana, che ancora ti emoziona?
«La piazza principale, ci ho trascorso momenti belli dell’infanzia e dell’adolescenza».

Piazza Vittorio Emanuele III. Ti appassiona la diatriba sul nome, i referendum vari per cambiarlo?
«Sinceramente, non me ne può fregare di meno. Per me sarà sempre la stessa piazza, comunque decidano di chiamarla».

Ti candideresti mai al consiglio comunale?
«Mai, un artista non può essere di parte. L’arte non può entrare nella politica e la politica non dovrebbe entrare nell’arte».

Un tuo sogno, qualcosa che vorresti assolutamente fare nella vita?
«Mettere su una mia compagnia di danza che dia spazio ai giovani talenti napoletani, con tournée all’estero».

Com’è l’organizzazione domestica tra te e il tuo compagno?
«Fa tutto lui, io nulla. Al massimo una camomilla, se sono da solo. Non so cucinare nemmeno un uovo e sono stato fortunato perché ho sempre vissuto con persone che sapevano farlo bene: mamma e le mie sorelle, in Germania e a Roma coinquilini di varia nazionalità della cui cucina non potevo proprio lamentarmi».

Il piatto che ami di più?
«Giovanni è un cuoco eccezionale. Amo la pasta in bianco con le verdure, gli gnocchetti alla sorrentina nel tegame sono meravigliosi, e gli gnocchi al bacio, con vari tipi di formaggio. Bravissimo davvero».

La cosa più romantica che hai fatto per lui?
«Non so, credo una torta al suo compleanno di qualche anno fa. Gli scrissi che nella vita si può cambiare, lui veniva da una situazione dura e difficile, era come fargli sentire che io c’ero».

Lui per te?
«Tante, ancora oggi. Si prende cura di me, sempre. L’amore cambia, si evolve, e anche se la passione si esaurisce il sentimento diviene più forte allo stesso tempo. Viviamo insieme, lavoriamo insieme, dormiamo insieme con il nostro Oscar in mezzo a noi».

C’è un politico italiano che trovi abbia molto stile?
«Sempre Luigi Di Maio, anche se è un po’ troppo curato, perfettino. Matteo Renzi invece, ho notato spesso, cammina e si muove come una fotomodella. Sembra un’indossatrice fanatica».

Quello vestito peggio?
«Matteo Salvini, credo indossi quelle felpe orrende pensando di far sentire le persone più a loro agio, più vicine a lui. Ma ottiene l’effetto contrario».

Il personaggio storico che più ti affascina?
«Ti dirò, Che Guevara mi affascinava molto, come tutti i rivoluzionari. Almeno finché non ho scoperto le testimonianze dei “maricones”, gli omosessuali che finirono per sua volontà nei campi di lavori forzati, sottoposti a punizioni corporali, veri lager in cui lui era uno degli aguzzini che sparava sui gay nelle campagne cubane. Direi che tra i personaggi storici mi affascinano la lady di ferro, Margaret Tatcher, Papa Giovanni Paolo II e Gesù».

Collezioni oggetti particolari?

«Avevo una grande collezione di tartarughe di ogni foggia, ora ne ho molte meno. Ma ne possiedo di vive, in una grande vasca di due metri. Mi piacciono, amo la loro corazza».

Tu ce l’hai una corazza o sei così come ti si vede?
«Prima l’avevo, non mi lasciavo mai andare completamente. Ora no, non mi serve più, sono diventato grande».

Ipotizziamo che tu debba vivere da solo, su un’isola deserta, per alcuni mesi. Quali oggetti porteresti con te senza meno?
«Spazzolino e dentifricio, una crema solare per non scottarmi e un libro che vorrei tanto leggere, il Corano. Per capire dove certi musulmani abbiano letto che è lecito uccidere persone innocenti».

Sei vanitoso?
«Non più, prima molto anche perché dovevo stare attento al corpo, il mio strumento di lavoro».

Il primo proverbio che ti viene in mente?
«Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te».

Lo rispetti?
«Adesso sì, da ragazzino molto meno. Non rispettavo nulla ed era facile coinvolgermi in situazioni strane».

Mai assunto droghe?
«Sì, ho fumato marijuana. Ora non più».

Andrebbero legalizzate le droghe leggere?
«Sì, assolutamente. Come anche la prostituzione. L’erba è in vendita ovunque, se uno vuole prenderla lo fa. Tutti i proibizionismi hanno dimostrato che è inutile vietare qualcosa. Tanto vale che lo stato controlli e ci guadagni».

Guadagni anche sul corpo di uomini e donne, non ti infastidisce il concetto?
«No, è giusto. È un lavoro. Si garantirebbero sicurezza e controlli sanitari».

Un tuo difetto e un tuo pregio?
«Sono testardo, mi fisso un obiettivo e vado avanti come un treno. Forse troppo. Il pregio credo sia l’incapacità di portare rancore, dopo un po’ dimentico, mi passa tutto».

Immagina per un secondo che la danza non sia mai entrata nella tua vita. Che lavoro faresti adesso?
«Non posso immaginarlo. In ogni caso però sarei stato un artista. Sì, forse un pittore».

L’opera d’arte più bella?
«Due, un dipinto e una scultura: “Jeanne” di Modigliani e “La Pietà di Michelangelo”. Tra l’altro La Pietà è un’opera che mi sconvolge e trovo anche un po’ erotica. Questa donna che soffre tenendo tra le braccia il figlio adulto, nudo. Ma Gesù è del resto sempre rappresentato come un modello, bellissimo, con un corpo meraviglioso e addominali scolpiti».

Se la Sindone è autentica, il suo corpo era quello…
«Tolte le rappresentazioni artistiche che sicuramente hanno voluto renderlo affascinante, diciamo che era ben piazzato, non credo si offenda nessuno».

Non hai detto nulla di male, se qualcuno trova un commento offensivo sono problemi suoi. A proposito, c’è qualcosa che avresti voluto dire a qualcuno e che invece non hai mai detto?
«No, oggi più di ieri non ho peli sulla lingua. Forse è un difetto enorme, ma vivo meglio e dormo sereno».

Pentimenti, rimorsi?
«Sono pentito di aver dato fiducia a molti che non la meritavano e ho il rimorso di aver abbandonato troppo presto la carriera di danzatore. Dopo ho fatto tanto, ma prima avrei potuto far anche di più. Ma è solo una piccola spina, ora sono contentissimo e insegnare mi soddisfa pienamente».

I tuoi allievi diventano un po’ figli?
«Sì, li seguo da piccolissimi fino alla maggiore età, è naturale che accada. Un po’ come crescerli. Ma oggi i ragazzini sono più superficiali e spesso l’essere onesti, anche con i genitori, non paga molto: dovrei raccontare che tutti sono bravi, portati per la danza, bellissimi e favolosi. Io dico sempre come stanno le cose, non tutti comprendono ma più tardi, dopo anni, mi riconoscono l’onestà».

La soddisfazione più grande che un allievo ti abbia dato?
«Carmen, la mia allieva audiolesa approdata in una compagnia professionale. Lei è passata a trovarmi con i genitori proprio qualche giorno fa, lo fa sempre ogni volta che parte per Verona e io sono felice, come se fosse grata di quel che le ho dato, di tutto ciò che le ho insegnato. Partecipo alla sua gioia con emozione».

Come ti immagini tra vent’anni?
«Vecchietto, simpatico, a bere whisky su una spiaggia di Cuba o Santo Domingo consumando la mia pensioncina. Odio il freddo, lì starei bene».

La pensioncina?
«Sicuramente non dallo Stato, ho scelto una soluzione alternativa con un’assicurazione sulla vita».

Cosa pensi quando ti vesti al mattino, cos’è l’eleganza per te?
«Mi piace vestirmi comodo, casual. L’eleganza non sta nel come ti vesti ma nel modo in cui ti comporti».

Il male peggiore della società odierna?
«La totale mancanza di rispetto verso gli altri e le loro idee».

La tecnologia, il progresso, i social, hanno contribuito?
«Certo, ma non solo per quanto concerne il rispetto. Prova a salire su un treno nell’ora di punta e guardati in giro: tutti ragazzini,     e non solo, alienati dalla realtà con gli occhi sullo schermo del cellulare. Poi c’è l’aspetto positivo dei social, Facebook mi ha fatto ritrovare tanti amici, comunichiamo anche se sono all’estero in ogni momento».

C’è un valore che ti hanno inculcato i tuoi genitori e che ancora senti forte, qualcosa che insegneresti a tuo figlio se ne avessi uno?
«Il rispetto, verso tutti. Le nuove generazioni, come ho già detto, non ce l’hanno questo valore. Anche perché credo che i genitori oggi non abbiano né il tempo né le capacità – ovviamente sto generalizzando – di educare i figli. Quando politici dalla vita privata raccapricciante parlano per tenere alto il valore della famiglia tradizionale mi viene anche un po’ da ridere, penso a coppie che conosco con lui e lei impegnati in tutt’altro e i bambini abbandonati a sé stessi, tra cellulari e tv, liberi di fare quello che vogliono. Non è tutto oro quel che luccica».

Avendo l’opportunità di invitare a cena chiunque al mondo, chi sceglieresti?
«Il presidente degli Usa, Barack Obama e il primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina Wazed, una donna. Sono entrambi arrivati al potere pur essendo “minoranza”. Mi piacerebbe ascoltare le loro storie in un clima conviviale».

Parliamo della tua Accademia e di quel che offre?
«Ci sono corsi di danza classica, moderna, contemporanea che teniamo tutti i giorni. Lezioni di Hip Hop con un maestro molto bravo che ho conosciuto a Bratislava e che tutti gli anni va a Los Angeles per corsi di aggiornamento. Stage di passo a due, ogni anno, con un maestro eccezionale dell’Opera di Roma, stage di danza storica e di carattere con una docente dell’Accademia Nazionale. La nostra Accademia è un po’ faticosa da frequentare, capisco che chiunque venga da noi ci trovi un po’ severi, impegnativi».

La danza, quella classica in particolare, si comincia da piccolissimi. Dunque scelgono i genitori. Ecco, perché una mamma o un papà dovrebbe mandare un figlio o una figlia a corsi di danza?
«Perché la danza insegna l’educazione, la scuola non lo fa più. Collaboro spesso con le scuole e vedo spesso polemiche, genitori che criticano gli insegnanti perché magari troppo duri. Io sono categorico e chi frequenta la mia Accademia deve accettare determinate condizioni».

Quali?
«Ho un regolamento che consegno ai genitori e che va sempre rispettato. Tutti devono avere body uguali, stesse calze, stesse scarpette, come fosse una divisa, un’uniforme militare se vuoi. Le bambine devono legare i capelli in uno chignon tiratissimo, senza un solo capello fuori posto. Non possono indossare gioielli, né orecchini, né orologi. In sala non è consentito urlare, fumare, usare i cellulari, nemmeno per i genitori che restano. Tanto per farti qualche esempio».

Insomma, non è una passeggiata…
«Ma imparano anche il confronto con gli altri. La danza è disciplina allo stato puro, per arrivare a certi livelli si deve faticare. Non è un’attività che puoi fare due o tre volte alla settimana per passare il tempo, se si insegue un risultato almeno medio ci si deve allenare tutti i giorni. All’interno della scuola c’è una competizione sana e forte. Fuori meno, lo so. L’ambiente della danza, soprattutto in Italia, non è dei migliori».

C’è stato un episodio strano, singolare o divertente, che ti sia capitato con allievi o genitori?
«Mi viene in mente quanto accaduto in un negozio di abbigliamento a Somma Vesuviana, proprietà di una mia amica. Stavo entrando quando lei mi fa cenno di avvicinarmi in silenzio. Così mi accorgo che al bancone c’erano due signore intente a discutere di me, anche se non mi avevano mai visto e non sapevano come fossi fatto. Tant’è che mi guardarono e continuarono tranquillamente. Una di loro raccontava di essere stata nella mia scuola e di avermi trovato burbero e arrogante. “Chi si pensa di essere” – diceva. Rimasi in silenzio, in seguito le ho incontrate entrambe e salutate. Immagino che ora sappiano di aver fatto una gaffe. C’è stato anche il caso di un allievo, ancora oggi lo è, che scappò per due giorni a causa di episodi di bullismo accaduti a scuola, non quella di danza. Io e il papà andammo a cercarlo ovunque, in tutte le stazioni della Circum e ne parlò anche “Chi l’ha visto”. Per fortuna fu lui a chiamare la mamma, da Reggio Calabria dove era arrivato in treno. Finì tutto bene».

Scontri particolari con i genitori?
«Di ogni tipo e di ogni genere, ma in fondo posso dire di essere fortunato, il novanta per cento apprezzano e capiscono che i consigli servono a migliorare le prestazioni dei ragazzi, la loro stessa vita. Un bambino che studia danza e a scuola prende sette invece che dieci è comunque bravissimo perché ha una marcia in più, più di una possibilità nella vita».

Altri sport ti appassionano?
«Sono un moderato tifoso della Juventus, ma se il Napoli gioca con altre squadre e vince mi fa piacere. Seguo la Formula Uno, il basket, la ginnastica artistica, la scherma – e sono innamorato delle nostre atlete italiane, elegantissime, che la praticano – e degli sport minori in genere. Quelli dove non girano molti soldi e che nonostante ciò portano a casa risultati eccellenti».

Quindi nonostante sia tifoso, “moderato” hai detto, non segui moltissimo il calcio.
«Diciamo la verità, mi piacciono i calciatori più che il calcio. Cristiano Ronaldo, per esempio, è estremamente sexy».

Credi nel soprannaturale?
«Ho spesso la sensazione di qualcuno che mi osserva dall’alto, credo che intorno a noi ci siano presenze, energie. Credo molto nella negatività di alcune persone, l’invidia può uccidere».

Se dovessi descriverti in due parole?
«Sono testardo ma affidabile, precisissimo».

Per finire, se avessi l’opportunità di parlare facendoti ascoltare da tutti, cosa diresti?
«Che l’amore è l’unica cosa che conti. Che le differenze sociali, religiose, razziali, non possono dividere l’umanità. Che tutti possiamo andare d’accordo pur pensandola diversamente, senza arrivare ad ucciderci l’un l’altro».