Il costo dei farmaci in Italia continua a crescere, e per molti cittadini curarsi è diventato un lusso, se non addirittura impossibile. La spesa sanitaria pesa sempre di più sui bilanci familiari e la politica sembra distratta. Eppure nelle case, nelle strade e tra la gente comune non si parla d’altro.
Da anni nel nostro Paese aleggia una sorta di silenzio culturale: di farmaci non si parla, come se l’argomento fosse un tabù.
In quarant’anni di insegnamento nelle scuole medie e superiori, non ho mai trovato un testo che spiegasse agli studenti i principi base della farmacologia. Pochissimi alunni, ad esempio, sanno cosa significa: antiflogistico, antistaminico o antipiretico.
Anche le nozioni fondamentali sulle malattie e sui meccanismi dei medicinali sono trattate con superficialità.
Dietro questo silenzio si nasconde un sistema che, più che formare cittadini consapevoli, sembra voler creare consumatori abitudinari di pillole.
In Italia operano circa 20 mila farmacie, e l’Agenzia Italiana del Farmaco cataloga migliaia di specialità medicinali autorizzate.
I farmaci si dividono in tre grandi categorie di rimborsabilità. La fascia A comprende medicinali essenziali e per patologie croniche, rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale. La fascia C, invece, farmaci a carico del cittadino, talvolta con ricetta obbligatoria e la fascia H medicine destinate all’uso ospedaliero o distribuite tramite strutture pubbliche.
Le Regioni possono applicare ticket o quote di compartecipazione, in media da due a cinque euro per confezione, per alcuni farmaci mutuabili.
Il margine lordo medio di una farmacia italiana si attesta intorno al 25–30% sui prodotti non mutuabili, ma il guadagno netto, al netto di tasse e spese di gestione, scende al 4–10%.
I profitti maggiori arrivano dai prodotti da banco, dagli integratori e dai cosmetici, che hanno ricarichi più alti rispetto ai farmaci rimborsati.
Nel complesso, il settore farmaceutico italiano vale oltre 30 miliardi di euro all’anno, e rappresenta uno dei comparti industriali più solidi e influenti del Paese. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali, tra i prodotti più diffusi in Italia figurano gli analgesici e antipiretici come la Tachipirina (paracetamolo), seguiti dai cardioprotettori, dai farmaci per la tiroide e da quelli per il diabete.
La diffusione dei farmaci equivalenti — identici ai prodotti di marca per principio attivo ma meno costosi — cresce lentamente, ostacolata da pregiudizi e da una pubblicità che tende a privilegiare i marchi più noti.
Nel mondo della sanità convivono figure di grande professionalità con altre più discutibili.
Molti medici e farmacisti lavorano con dedizione e senso etico, ma il confine tra aggiornamento scientifico e promozione commerciale è spesso labile.
Viaggi, convegni e sponsorizzazioni finanziate dalle case farmaceutiche sono pratiche comuni, e la trasparenza rimane, talvolta, più un principio che una realtà.
In questo contesto, i cittadini si trovano spesso soli, schiacciati tra costi in aumento e informazioni frammentarie.
Servono educazione sanitaria, controlli rigorosi e politiche di trasparenza che restituiscano fiducia nel sistema.
Curarsi non dovrebbe essere un atto di fede né un privilegio, ma un diritto fondato sulla conoscenza e sulla consapevolezza.
Finché gli interessi economici avranno più voce della salute pubblica, la febbre in farmacia continuerà a salire — e non sarà colpa del termometro.
(fonte foto: socialfarma)