Riceviamo da Salvatore Piccolo e pubblichiamo una riflessione sulla cultura e la politica indirizzata a Luigi Jovino, a Tani Russo a Salvatore Aliperta
Cari Luigi, Salvatore, Tani,
prima di entrare nel merito del vostro appello, sento il dovere di ringraziarvi per l’impegno costante sul territorio e per il vostro tentativo, generoso e coraggioso, di alimentare un dibattito pubblico di qualità. Partecipare a questo confronto è per me un dovere, oltre che un piacere, nella speranza che sempre più persone possano contribuire a questo dialogo.
Credo che oggi servano più che mai parole vere, non addomesticate, che parlino ai cittadini e che non si accontentino di partecipare al gioco delle tifoserie. E i vostri interventi lo fanno, con toni diversi ma con un obiettivo comune: sollecitare una reazione, un risveglio.
Ho letto con attenzione la vostra proposta, e non è retorico affermare che le considero di grande valore.
Ma, volgendo lo sguardo al passato, non posso non pensare alle tante idee interessanti, illuminate, originali, che pure non hanno mai trovato attuazione.
Allora mi chiedo: perché idee così valide faticano a realizzarsi?
E prima ancora: cosa serve davvero perché un’idea prenda forma?
Credo servano alcuni ingredienti fondamentali:
- Una scintilla: l’idea, ovviamente;
- Un carburante: una miscela di volontà, passione e lavoro di squadra.
Voi avete dimostrato, con i fatti, di possedere tutto questo. I vostri progetti hanno portato bellezza, arricchimento culturale, e anche benefici economici per la città. Per questo so che non verrò frainteso nelle prossime righe.
Tuttavia, penso che la vera domanda da porci oggi non sia solo “quali proposte culturali servono?”, ma anche – e forse soprattutto- “quale classe politica può davvero realizzarle?”.
Perché la verità è che idee come questa – per quanto belle, sensate, importanti – non camminano da sole. Hanno bisogno di gambe solide, credibili, coerenti e necessitano di un altro elemento fondamentale che sia ossigeno: la Politica.
Un museo governato da un ente strutturato, con una prospettiva chiara e un orizzonte pluriennale, è un progetto visionario, sì, ma fragile se lasciato alla sola buona volontà dei singoli.
E penso che anche voi condividiate questa preoccupazione.
Da qui, secondo me, parte l’analisi più seria e urgente.
Dobbiamo ammetterlo con onestà intellettuale: la classe politica che oggi guida e che ha guidato la nostra città non considera la cultura – come altre tematiche fondamentali – una risorsa strategica.
Non è una mia opinione. Lo dicono i fatti.
Le poche tracce di innovazione culturale presenti sul territorio sono frutto dell’iniziativa dei singoli, delle associazioni e di tante comunità che si spendono senza risparmiarsi per la nostra terra. Non il risultato di un’azione politica strutturata.
La politica locale, nella migliore delle ipotesi, si limita ad accompagnare le iniziative dei cittadini più attivi, ma raramente ne diventa promotrice. E quasi mai lo fa con una visione di lungo periodo.
Quando lo fa, purtroppo, la qualità delle proposte e delle realizzazioni è spesso deludente, priva di spessore culturale e incapace di generare impatto reale.
Non penso che questo derivi da malafede.
Penso piuttosto sia indice di una mentalità vecchia, di una visione miope, di un metodo incapace di cogliere le opportunità offerte dalla cultura, dalla formazione, dall’innovazione sociale.
Consentitemi una breve digressione per rendere evidente questa miopia e dare la misura di ciò che intendo.
Qualcuno, all’interno dello staff dell’attuale amministrazione, sostiene – senza farne mistero – che una città di 33.000 abitanti come la nostra non ha bisogno di un palazzetto dello sport.
Non mi stupisce. È solo l’ennesima conferma di una politica che da trent’anni gestisce l’ordinario (spesso male) e conserva il potere ossessivamente solo per continuare ad alimentarlo.
Oggi però siamo oltre. Non c’è più nemmeno il bisogno di giustificare questa conservazione con obiettivi di utilità collettiva.
Così, la politica è diventata strategia senza visione.
E Somma Vesuviana si è assopita in un sonno profondo.
Se questa è la diagnosi, allora dobbiamo trovare gli anticorpi e la cura.
Gli anticorpi ci sono: sono le donne e gli uomini di buona volontà, come voi.
Ma la cura deve essere una disobbedienza civile, sana e costruttiva, che sappia mettere all’angolo – e poi superare – le vecchie logiche che ostacolano il cambiamento.
Serve rigenerare la classe politica.
Non solo in senso anagrafico, ma nella mentalità, nei metodi, nella visione.
Serve una nuova generazione di amministratori capaci di costruire reti, intercettare opportunità, attrarre fondi – linfa vitale per idee come la vostra. In grado di individuare portatori di interessi differenti, governarli e condurli verso un risultato comune.
Serve, ad esempio, un ufficio dedicato alla progettazione europea, nazionale e regionale.
Ma questa rigenerazione deve partire da cittadini consapevoli e partecipi.
E allora non basta sfidare la vecchia classe dirigente: dobbiamo sfidare anche i cittadini stessi a partecipare e credere che un’altra politica è possibile.
Ad incidere sulla politica.
Perché, per restare nel tema, da nessuna scintilla divampa un fuoco se non gli dai ossigeno.
E per progetti come il vostro, come dicevo, l’ossigeno è la Politica: buona, coraggiosa, lungimirante.
Per questo non solo raccolgo l’invito a partecipare alla call promossa da Tramandars e dagli Amici del Casamale, ma rilancio: riprendiamo l’idea degli “Stati Generali della Cultura”, lanciata da Tani circa un anno fa, e trasformiamola negli “Stati Generali della Politica”.
Non per sostituire la cultura alla politica, ma per rilanciare la politica a partire dalla cultura. Con una promessa però: l’obiettivo deve essere quello di costruire un percorso che guardi alla cultura in un senso più ampio e che abbracci anche i temi del lavoro, dell’istruzione, della salute, dello sport, della legalità, dell’ambiente. Temi che alimentano e sono alimentati dalla cultura.
Con stima e gratitudine,
Salvatore Piccolo



