Non è che la nuova fabbrica di Pomigliano sia stato tutto quello che ha fatto Sergio Marchionne nella sua esperienza alla guida dell’azienda di casa Agnelli. Sicuramente però Pomigliano costituisce per la storia del supermanager italo canadese una sorta di luccicante fiore all’occhiello, quel grimaldello d’oro massiccio con cui la grande borghesia italiana ed europea è riuscita a mettere a segno la sua rivoluzione del “reflusso:” mandare all’aria l’italica contrattazione sindacale collettiva per sostituirla con quella aziendale. Non a caso l’accordo Panda del giugno 2010, non firmato dalla Fiom, seguito dallo storico quanto drammatico referendum di fabbrica, a cui disse di si il 62 % dei lavoratori, è considerato ancora oggi la cartina di tornasole di questa “rivoluzione” neoliberista: l’ultra flessibilità degli orari, la “neutralizzazione” dello sciopero, la riduzione del costo del lavoro. Un cambiamento epocale poi esteso da Pomigliano a tutto il comparto automobilistico nazionale e che segnò la rottura dei rapporti con i metalmeccanici della Cgil, contrari alla fuoriuscita della Fiat dalla contrattazione sindacale collettiva. Una scelta che spinse Marchionne a estromettere da Pomigliano i delegati sindacali della Fiom. Delegati che riuscirono a rientrare in fabbrica solo tre anni dopo e solo grazie a una sentenza della Corte Costituzionale. << In quegli anni di lui ho pensato che stesse esagerando soprattutto sotto il profilo ideologico – Antonio Di Luca, 51 anni, operaio da 30 anni a Pomigliano, del montaggio, uno dei delegati Fiom prima eslusi e poi reintegrati – ha voluto ricreare un sindacato corporativo in stile fascista. Secondo me la famiglia Agnelli lo ha accettato ma lo ha anche subito. Comunque da un punto di vista umano non può che far dispiacere quello che sta succedendo. Detto questo spero che abbia lasciato non solo un quadro finanziario migliorato ma soprattutto un piano industriale che in prospettiva salvaguardi l’occupazione in tutta Italia, non soltanto a Pomigliano >>. Ovviamente non tutti a Pomigliano la pensano come Di Luca. Tanti sono gli operai partenopei che si sentono in qualche modo grati all’amminitratore delegato. << Credo che la sua sostituzione debba essere il frutto di una decisione molto oculata – dice Biagio Trapani, operaio e segretario provinciale della Fim Cisl – oggi grazie a Marchionne c’è tutta un’altra Fiat, che oggi è una multinazionale. Chi lo sostituirà avrà un compito non certo semplice. Due i paletti da superare: sostituire un personaggio simile non sarà semplice inoltre il piano strategico dovrà trovare attuazione anche perché la piena occupazione. Marchionne è uno che ha fatto tanto e che ora deve lasciare per cui tutti devono fare una scelta serena e mirata. Non sarà semplice sostituirlo. Lui comunque ha avuto una squadra intorno non di poco conto. Penso ad Altavilla. Certo: lui rappresenta il genio, la bravura. Staremo attenti: la scelta del sostituto è determinante per il futuro. Chi verrà dovrà chiudere tutti i cerchi: l’auto elettrica, la piena occupazione, i nuovi modelli di produzione >>. Il Sud non ha certo avuto rapporti facili con Marchionne. Proprio nel periodo dello strappo di Pomigliano c’è stata la chiusura di Termini Imerese e poi quella della Irisbus di Flumeri, in provincia di Avellino. Ma a Pomigliano ci sono responsabili sindacali che continuano a vedere il bicchiere mezzo pieno. << Mi auguro – conferma Peppe D’Alterio, operaio e delegato Uilm nonché esponente del Pd nella città delle fabbriche – che Marchionne sia sostituito nel segno della continuità del so mandato, soprattutto per difendere l’occupazione in Italia e in particolare a Pomigliano. I principi basilari del mandato di Marchionni sono stati quelli della produzione e dell’occupazione per cui sarà necessario essere coerenti con quanto finora dimostrato >>. Nel frattempo Marchionne è gravissimo in un ospedale svizzero. Ieri è stato sostituito alla guida di FCA dall’inglese nonché suo uomo fidato Mike Manley, proveniente dalla guida del marchio Jeep. A ogni modo i rumors parlano di un gruppo, quello appunto di proprietà della famiglia Agnelli, ormai sempre più proiettato verso la fusione con la coreana Hyundai. La sensazione è che dopo gli utili ultra milionari realizzati da Marchionne non ci sia più quel sufficiente margine di fiducia per proseguire negli anni con altri manager, sia pure di livello. Si aprono a questo punto interrogativi enormi sul futuro del comparto automobilistico italiano.