L’ombra che il nostro corpo proietta talvolta ci strappa la maschera e dice a tutti chi siamo….

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Grandville, I ministri di Francia

L’ombra “portata”, cioè proiettata dai corpi e dalle cose “colpite” da un fascio di luce, è protagonista della pittura, da Caravaggio in poi. Le ombre e l’arte della caricatura. Il ruolo delle ombre “portate” in un romanzo inedito. L’ombra “portata” di chi usa firme false sui “social”.

 

Forse i giorni fatali e pieni di illusioni nascono dalla mia ombra ( J.L. Borges)

 

Un aspirante romanziere mi chiede di leggere un abbozzo di romanzo in cui si è divertito a descrivere un immaginario paese sormontato da un vulcano, che pare il regno della menzogna, dell’ipocrisia, della dissimulazione. Ma poi viene il giorno del prodigio: le ombre “portate”, che sono le ombre proiettate da un corpo quando lo “colpisce” la luce, si ribellano alle leggi dell’ottica e della fisica, e, allungandosi, accorciandosi, torcendosi, mettono su un vero e proprio “teatro”, disvelano la Verità, strappano le maschere agli uomini e alle cose, e disegnano sui muri delle case l’identità autentica degli uni e delle altre. L’idea è originale: l’aspirante romanziere conosce bene le città immaginarie di Calvino e le sinfonie scritte da Borges sui labirinti, sugli specchi e sulle maschere, conosce le opere di Eco, ed è rimasto affascinato dal dramma dell’infelice Peter Schlemihl, il protagonista del romanzo di Adalbert von Chamisso, che, convinto dal diavolo a vendere la propria ombra, sperimenta che rimanere senza ombra è cosa tragica quasi quanto rimanere senza anima.

Ci sono, nel romanzo, pagine che aspettano di essere riscritte, nel segno di quella ironica leggerezza che deve diventare il tono di tutta l’opera, e pagine già perfette, come quelle, notevoli, in cui si racconta di un architetto che vuole essere chiamato geometra: non per l’impulso dell’umiltà, ma per convenienza, perché ha notato che in paese gli architetti sono molti, e i geometri pochi, e inoltre i clienti si fidano più dei geometri, “perché questo titolo non ci mette soggezione, mentre quando dici “architetto” immagini un professorone, uno che solo per rivolgergli la parola ti chiede una busta di duecento euro: e poi il geometra, si sa, conosce tutte le strade degli uffici comunali, le strade maestre, i sentieri, le scorciatoie – soprattutto le scorciatoie – e i labirinti – soprattutto i labirinti – in cui le carte, se pronunci certe parole magiche, scompaiono per sempre e, se serve, ricompaiono, ma non sono più le stesse di prima…”. Dunque, in un paese in cui non c’è infermiere che non si faccia chiamare dottore, Colamonico – così si chiama il personaggio – al contrario, da architetto si riduce a geometra: ma la sua ombra non ci sta, si ribella, si contorce – mirabile è la mezza pagina che descrive le contorsioni dell’ombra ribelle – minaccia di rivolgersi ai sindacati: “ero l’ombra di un architetto, e ora mi trovo ad esser l’ombra di un geometra”. La mania dei titoli colpisce anche le ombre.

Avrei dovuto dedicare questo articolo a una splendida fotografia di Marco D’ Antonio, in cui le protagoniste sono le ombre “portate” proiettate da persone che si muovono lungo un marciapiedi in direzione del sole: ma il romanzo che sono stato invitato a leggere e il casuale incontro con le “ombre” di Grandville, che ho messo in testa al pezzo, mi hanno spinto a trattare prima i termini generali del tema nella storia delle arti figurative. E a ricordare l’inappellabile “sentenza” di Ernst H. Gombrich: il primo quadro in cui l’ombra “portata” svolge un ruolo non secondario è “La cena in Emmaus” di Caravaggio (f. in appendice): i tradizionalisti – ricorda Gombrich – non riuscirono ad accettare che la continuità del modellato della figura di Cristo venisse interrotta dalle ombre proiettate dalla mano e dal braccio che si leva a benedire, e ancora meno che le ombre nette degli oggetti “lacerassero” il bianco della tovaglia. Ma non è difficile notare che proprio il gioco delle ombre assegna alla mano e al braccio di Cristo il ruolo di centro figurativo, estetico e etico del capolavoro, e che le ombre degli oggetti sulla tovaglia, le braccia tese del personaggio di destra, e il braccio del personaggio di sinistra che fa leva sul bracciolo della sedia generano movimento – un movimento di attesa e di sorpresa – e  aprono, squarciano, la scena in profondità.

Da questo quadro in poi non c’è stato pittore che non si sia servito dell’“ombra portata”  in nome ora delle ragioni della figura e della luce, ora di quelle della filosofia – le piazze “metafisiche” di De Chirico   –,  ora per costruire caricature. Il disegno satirico di Grandville diventa ancora più irriverente se al titolo “Le ombre portate” aggiungiamo il sottotitolo, “ Il Gabinetto di Francia”: i ministri francesi, pieni di sé e gonfi di autorità, sono smascherati e sputtanati, in un gioco teatrale, dalle ombre che essi  “gettano” sul muro. Viene da dire che i ministri, da sempre, proiettano le stesse “ombre”: la politica è monotona.

Recentemente un mio amico si è lamentato delle molte “firme false” che scrivono sui “social”: io non dimentico quelle che “girano” intorno alla politica ottajanese.  Questi personaggi e i loro mandanti verranno smascherati, prima o poi, non solo dall’odore che emanano, ma anche dalle ombre “portate” che imprimono su pareti di pietra e di carta. Perché non solo i corpi e gli oggetti lasciano i segni fatali delle loro ombre, ma anche le parole, le parole dette e quelle taciute.

Caravaggio, Cena in Emmaus
Caravaggio, Cena in Emmaus