LETTERA DELLE CONFERENZE EPISCOPALI CATTOLICHE AI LEADER DEL G8

Nella rubrica di Don Aniello Tortora cӏ spazio per una missiva che la Chiesa invia ai Grandi della Terra esortandoli ad impegnarsi per i Paesi in via di sviluppo.

On. Stephen Joseph Harper On. Taro Aso
Primo Ministro, Canada Primo Ministro, Giappone
On. Nicolas Sarkozy On. Dmitry Anatolyevich Medvedev
Presidente, Repubblica Francese Presidente, Federazione Russa
On. Angela Merkel On. Gordon Brown
Cancelliere, Repubblica Federale di Germania Primo Ministro, Regno Unito
On. Silvio Berlusconi On Barack Obama
Presidente del Consiglio dei Ministri, Italia Presidente, Stati Uniti d”America
Ai Capi di Stato e di Governo dei Paesi del G8

Gentili Presidenti,
In questo tempo di crisi finanziaria ed economica globale, vi scriviamo a nome delle Conferenze Episcopali Cattoliche dei Paesi Membri del G8 per esortarvi a prendere provvedimenti condivisi, nel prossimo Vertice del G8 in Italia, finalizzati a proteggere i più poveri e assistere i Paesi in via di sviluppo. Come il nostro Santo Padre Benedetto XVI ha scritto nella lettera al Primo Ministro Gordon Brown alla vigilia del Vertice del G20 che lo stesso Primo Ministro ha ospitato:

La crisi attuale ha sollevato lo spettro della cancellazione o della drastica riduzione dei piani di aiuto internazionale, specialmente per l”Africa e per gli altri Paesi meno sviluppati. L”aiuto allo sviluppo, comprese le condizioni commerciali e finanziarie favorevoli ai Paesi meno sviluppati e la remissione del debito estero dei Paesi più poveri e più indebitati, non è stata la causa della crisi e, per un motivo di giustizia fondamentale, non deve esserne la vittima. La nostra tradizione morale impegna la Chiesa a proteggere la vita umana e la sua dignità, specialmente dei membri più poveri e vulnerabili della famiglia umana. Nei volti dei poveri la Chiesa Cattolica vede il volto di Cristo che siamo chiamati a servire in tutti i Paesi del mondo. Paradossalmente i poveri che hanno contribuito di meno alla crisi economica con cui il mondo oggi si confronta, saranno quelli che con ogni probabilità soffriranno di più la devastazione, perchè relegati ai margini in una schiacciante povertà.

Alla luce di questi fatti, i Paesi Membri del G8 dovrebbero far fronte alle loro responsabilità nella promozione del dialogo con le altre maggiori potenze economiche per aiutare a prevenire ulteriori crisi finanziarie. Inoltre dovrebbero onorare i loro impegni nell”aumento degli Aiuti allo Sviluppo per ridurre la povertà globale e raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, specialmente nei Paesi Africani. Questo richiede un approfondimento della partnership con i Paesi in via di sviluppo in modo che queste popolazioni possano diventare agenti attivi della loro crescita, partecipando alle riforme politiche, governative, economiche e sociali al servizio del bene comune. In modo particolare è importante rafforzare i processi di peacekeeping in modo che i conflitti armati non continuino a privare i Paesi delle risorse necessarie allo sviluppo.

In modo analogo, gli Stati poveri e i loro popoli che meno hanno contribuito come agenti responsabili del cambiamento climatico globale sono quelli a maggior a rischio per le gravi conseguenze di questo fenomeno. Come pastori e guide della Chiesa, abbiamo particolarmente a cuore l”impatto che il cambiamento climatico produrrà sulla vita degli ultimi. Per questo dovrebbero essere fissati impegni concreti e creati dei meccanismi per mitigare ulteriori cambiamenti climatici, aiutando i poveri e i Paesi in via di sviluppo ad adeguarsi a questi effetti e ad adottare tecnologie appropriate per uno sviluppo sostenibile. Proteggere i diseredati e il pianeta non sono ideali tra loro contrastanti ma priorità morali per tutte le persone di questo mondo.

Il Vertice del G8 ha luogo all”ombra di una crisi economica globale ma le sue azioni sono in grado di portare una luce di speranza al mondo in cui viviamo. Chiedendovi innanzitutto in che modo una determinata politica influisca sui poveri e sugli indifesi, potete far sì che sia assicurato il bene comune di ciascuno. Come famiglia umana siamo chiamati ad assicurare i nostri stessi benefici anche ai nostri membri più deboli.
Preghiamo Dio che il vostro incontro sia benedetto da uno spirito di collaborazione che vi permetta di fare dei passi concreti per ridurre la povertà e per affrontare il cambiamento climatico in questo tempo di crisi.

Distinti saluti
Rev.mo Vernon James Weisgerber
Arcivescovo di Winnipeg
Presidente della Conferenza Episcopale Canadese
Sua Eminenza Andrè Card. Vingt-Trois
Arcivescovo di Paris
Presidente della Conferenza Episcopale Francese
Rev.mo Robert Zollitsch
Arcivescovo di Freiburg
Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca
Sua Eminenza Angelo Card. Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana
Rev.mo Peter Takeo Okada
Arcivescovo di Tokyo
Presidente della Conferenza Episcopale Cattolica Giapponese
Rev.mo Joseph Werth
Vescovo della Diocesi della Trasfigurazione in Novosibirsk
Presidente della Conferenza Episcopale Cattolica Russa
Sua Eminenza Keith Patrick Card. O”Brien
Arcivescovo di Edinburgh e St Andrews
Presidente della Conferenza Episcopale Cattolica Scozzese
Rev.mo Vincent Nichols
Arcivescovo di Westminster
Presidente della Conferenza Episcopale Cattolica di Inghilterra e Galles
Sua Eminenza Francis Cardinal George
Arcivescovo di Chicago Presidente della Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti

“DA DOVE NASCONO I RAPPORTI TRA POLITICA E CRIMINALITÁ ORGANIZZATA?”

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Per avviare un ragionamento bisogna partire dallo Stato, la cui presenza nella società meridionale si è configurata come debole fin dall”unificazione.
Di Amato Lamberti

Dopo 25 interventi sulla fenomenologia dei rapporti tra politica e camorra si pone l”esigenza di capire il perchè delle situazioni evidenziate. Un ragionamento più teorico mi sembra necessario, anche perchè un po” di teoria serve anche per inquadrare i problemi sollevati dalla cronaca quotidiana.
Dobbiamo partire non dalla camorra ma dallo Stato, perchè, per molte ragioni la presenza dello Stato nella società meridionale si è fin dalla unificazione configurata come debole.

Tanto è vero che le modalità del rapporto tra Stato e Mezzogiorno sembrano definite da tre ordini di difficoltà o di debolezze: carenza di legittimazione, basso livello di penetrazione, assenza vistosa di integrazione. Sono proprio queste debolezze a determinare, e via via allargare, una vera e propria discrasia tra le proteste di regolamentazione e di intervento da parte dello Stato e la sua concreta incapacità di rendere credibili ed operanti queste pretese attraverso una amministrazione efficace e una capacità di progettazione e direzione dello sviluppo. In una situazione di questo tipo è normale che, qui come altrove, si creino spazi consistenti per la sostituzione dei poteri privati al potere dello Stato.

Le funzioni pubbliche sono assunte, a più livelli, da gruppi privati che, ad esempio attraverso lo scambio clientelare, attraverso il monopolio delle funzioni di mediazione sociale, si assumono il compito di garanti della fiducia nei rapporti fra privati e fra pubblico e privati. Ma si può arrivare anche all”appropriazione della funzione di esercizio della violenza, attraverso l”organizzazione di forme di controllo, monopolistico o quasi, della violenza privata, come accade con le organizzazioni mafiose e camorristiche. Il sistema politico meridionale, nella sua concreta configurazione, è la realizzazione esemplare del modello esposto, con tutte le sue conseguenze, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra interessi organizzati, sistema dei partiti e pubblica amministrazione.

Nel Mezzogiorno l”organizzazione degli interessi è relativamente debole per la scarsa presenza e il basso peso delle associazioni secondarie di organizzazione degli interessi e per la costante e diffusa utilizzazione, come risorsa da spendere sul piano politico, dei reticoli di azioni clientelari, parentali e familiari. Proprio il sistema clientelare –che comporta la frantumazione degli interessi in una miriade di domande individuali e/o microcollettive- determina, nei centri pubblici di decisione e di spesa, una forte concorrenza tra soggetti con funzione politica e soggetti con funzione amministrativa, perchè entrambi aspirano al massimo del potere discrezionale e perchè, inoltre, molto spesso, sono o tendono ad entrare in rapporto d”affari o di scambio con interessi organizzati.

Bisogna anche tenere presente la collocazione che partiti politici e apparati statali hanno nel Mezzogiorno all”interno della dinamica sociale. I partiti politici non possono, nel contesto meridionale, essere descritti come strumenti della rappresentanza e del potere politico in contrapposizione a poteri e istituzioni proprie della società civile, perchè si registra, tra partiti politici e società civile, una quasi totale coincidenza. Le macchine politica e amministrativa diventano così predominanti rispetto alle classi, ai sindacati, ai ceti professionali, ai gruppi economici e possono tranquillamente lavorare per la realizzazione di una società dove il compromesso e la mediazione sono la regola e dove l”esercizio della politica o dell”amministrazione si traduce immediatamente in rendita di potere, di prestigio sociale, di posizione economica.

Il controllo delle posizioni-chiave delle istituzioni si è tradotto nel controllo dell”economia, impedendo anche ogni tentativo di diversificazione socio-economica che avrebbe introdotto fattori di cambiamento e modifica della situazione con conseguente perdita di centralità e potere. Il monopolio dei tre mercati fondamentali –del credito, dell”edilizia pubblica e privata, del lavoro- ha non solo consentito di solidificare il potere dei partiti, ma li ha sganciati dallo stesso bisogno del consenso degli elettori, perchè esso stesso è finito, per così dire, monetizzato: è diventato una merce di scambio.

Una pratica politica e amministrativa fondata largamente sull”illegalità non poteva che favorire il consolidamento e l”allargamento di comportamenti e pratiche illegali nella società e nell”economia, soprattutto in situazioni in cui alcune funzioni peculiari dello Stato, come quelle della legittimazione dell”ordine esistente, della mediazione sociale, del controllo della violenza privata erano delegate a gruppi privati e gestite in forme clientelari e/o criminali.

In Campania, l”esistenza “storica” di organizzazioni criminali, sostenuta da una diffusa cultura della violenza e dell”illegalità, ha costretto fin dall”inizio i poteri politici e amministrativi a fare i conti e a venire a patti con esse, stante la comunicazione di interessi e l”incapacità di fronteggiarne le pressioni e ridurne la presenza e il peso in determinati territori e contesti sociali. Anche in questo caso ha funzionato il meccanismo dello scambio politico: in cambio del controllo di alcune zone di conflittualità sociale e della raccolta di consenso, si sono concessi privilegi e qualche libertà di movimento.

Finchè le organizzazioni, o meglio i gruppi criminali, erano scarsamente numerosi, avevano basse pretese, agivano su territori limitati ed operavano prevalentemente sulle intermediazioni tra città e campagna, il potere politico e amministrativo non ha avuto grossi problemi ma ha, anzi, lucrato, intermini di consenso sociale ed elettorale, più di quanto non sia stato costretto a cedere o a pagare. Quando le organizzazioni criminali sono diventate delle vere e proprie holding economico-criminali con pretese di egemonia economica e di governo delle decisioni e degli investimenti, le “macchine” politico-amministrative sono state costrette a prendere atto di una trasformazione che investiva la loro stessa sopravvivenza oltre che la loro egemonia.

La risposta “forte” dello Stato, così come si è scritto su tutti i giornali, con i maxi-processi di Napoli e con le decine di analoghe, sia pure ridotte, iniziative della magistratura e delle forze dell”ordine, trova una spiegazione di ordine più generale proprio nella necessità di ristabilire un rapporto di supremazia delle “macchine politiche” rispetto alle lobby mafiose e camorristiche. Un obiettivo che in Campania sembra realizzarsi più facilmente e più rapidamente di quanto non avvenga in Sicilia, dove probabilmente il radicamento consolidato delle organizzazioni mafiose fin dentro la “macchina politica” pone anche il problema di una riconquista delle posizioni di potere politico e amministrativo cedute o sottratte.

In Campania il rapporto tra mercato politico e holding criminali si configura diversamente proprio perchè le organizzazioni criminali, mentre si sono evolute fino a diventare delle vere e proprie holding economico-criminali, ancora non sono riuscite –se non in qualche situazione dell”area nolana- a costituire delle lobby economico-politico-criminali.

LA RUBRICA

SCUOLA. LA RITUALITÁ DEI QUADRI: LEGGERE LA PROPRIA SORTE

Il momento degli scrutini finali a scuola, dei “quadri”, accende un faro su ciascun alunno, che diventa protagonista in ogni caso. Per altri, invece, è già tempo di esami di maturità.
Di Annamaria Franzoni

Da sempre per un”innumerevole schiera di studenti il giorno dell”affissione degli scrutini finali costituisce una linea di demarcazione tra uno stato d”animo e un”inattesa condizione del nostro essere: per quanto ogni allievo sia stato presente alla propria storia giorno dopo giorno, durante l”intero anno scolastico, quest “ultimo troppo spesso tende a sfuggire rapidamente, senza dare il tempo all”allievo di realizzare quel recupero che per tanti fatidici lunedì si era riproposto di realizzare .

All”improvviso, infatti, l”anno è terminato e bisogna fare i conti non solo con i risultati, ma con un intera società, che ad un certo punto sembra mettere in ombra i tanti problemi della pace nel mondo, delle guerre o dei problemi di stabilità del governo, per concentrarsi solo su di te e di quale sia stato l”esito scolastico raggiunto da te, meravigliandosi del perchè e del come tu non ce l”abbia fatta ad essere ammesso alla classe successiva o abbia conseguito la sospensione del giudizio che ti lascia sul filo fino a settembre.

Non solo i genitori, il che naturalmente è lecito, ma nonni, zii, vicini di casa e persino la signora del sesto piano di cui ignori anche il nome, ti chiedono come sia andata.
Lo scorso anno tutto era andato bene e nessuno ti aveva chiesto niente. Ma è una congiura?
Assolutamente no. È pur vero che intanto stai male e nessuno è in grado di aiutarti in questo tremendo momento di disagio!

Ciò avviene a quanti hanno già conosciuto il verdetto finale, mentre in questo istante sono numerosissimi quelli che stanno vivendo quel passaggio epocale della propria esistenza che è “l”esame di maturità”, che lascia un segno nella nostra vita e che con il passare del tempo perde tutte le connotazioni negative dell”ansia, della paura, della tensione e lascia la tenerezza di momenti splendidi che appartengono alla nostra memoria storica , alla nostra crescita , al nostro essere adulti.
In bocca al lupo a quanti vivono in questi giorni la fatidica “notte prima degli esami”.

LA FRONTIERA DELLA FAME

La pace tra i popoli si costruisce con cooperazione e solidarietà, ma se un sesto del pianeta soffre la fame ogni parola è superflua.
Di don Aniello Tortora

Secondo la stima della Fao (l”Agenzia dell”Onu per l”agricoltura e l”alimentazione) per la prima volta nella storia umana soffre la fame più di un miliardo di persone, un sesto della popolazione del pianeta. È questa una delle conseguenze della crisi globale economica che tutti stiamo vivendo.
Oggi ci sono cento milioni di affamati in più rispetto al 2008. La “frontiera della fame” viene situata dagli esperti della Fao a 1800 calorie al giorno. Al di sotto di questo livello di nutrimento i danni per la salute sarebbero irreversibili. La Banca mondiale stima che entro il 2015 moriranno da 200.000 a 400.000 bambini in più all”anno.

Il 40% delle donne incinte nei Paesi poveri soffre di anemia, quindi dà alla luce neonati più vulnerabili alle malattie. Il numero dei bambini sottopeso aumenterà di 125 milioni l”anno prossimo. Nella geografia della malnutrizione al primo posto viene l”Asia-Oceania, con 642 milioni di persone sotto la soglia della fame su una popolazione di quattro miliardi. Il primato rispetto alla dimensione demografica spetta all”Africa subshariana: 265 milioni di affamati, un terzo degli abitanti. Seguono l”America latina con 53 milioni, Nordafrica e Medio Oriente con 42 milioni.
Nei Paesi ricchi abita la quota più piccola, ma pur sempre impressionante di affamati: 15 milioni di europei e nordamericani sopravvivono a stento, vittime di una invisibile carestia in mezzo al benessere.

È questa una grande contraddizione: gran parte del mondo gode di una ricchezza senza precedenti, anche in mezzo a questa recessione, eppure le vittime della fame raggiungono un record storico. Forse non siamo tutti abbastanza consapevoli che questa crisi è una minaccia seria per la pace a livello mondiale. È nella povertà che si annidano i focolai di tensione più esplosivi. Con il pretesto della recessione il Nord aiuta sempre meno il Sud, e questo certamente non va bene. Come uomini che “abitano” questo mondo non possiamo assolutamente rassegnarci alla povertà. Purtroppo la cultura della solidarietà e della condivisione comincia a scarseggiare anche nelle nostre società storicamente a forte presenza cristiana.

Basti pensare che nell”ultimo decennio c”è stato l”aumento del 45 % delle spese militari in tutto il mondo. Un incremento che ha fatto toccare la cifra record di 1330 miliardi di dollari: ben dieci volte di più degli aiuti allo sviluppo dei Paesi poveri. Questa è vera “schizofrenia globale”. Nel Messaggio a Jacques Diouf, direttore generale dell”Organizzazione Onu per l”alimentazione e l”agricoltura, in occasione della Giornata mondiale dell”alimentazione, Benedetto XVI denunciava che “oggi non viene prestata sufficiente attenzione ai bisogni dell”agricoltura, e questo sovverte il naturale ordine della creazione e compromette il rispetto della dignità umana”.

Ancora, Benedetto XVI ricorda “chi ha dovuto abbandonare i propri poderi a causa di conflitti, disastri naturali o disinteresse delle politiche per il settore agricolo”, e ha invitato la Fao a promuovere “la collaborazione tra agenzie nazionali e internazionali impegnate nello sviluppo agricolo. Le iniziative individuali – ha avvertito il Papa – dovrebbero inserirsi all”interno di più ampie strategie volte a combattere fame e povertà”. “Cooperazione e solidarietà”: solo questo connubio “costruisce la giustizia, l”armonia e la pace tra i popoli”.

Tocca particolarmente alla Chiesa denunciare continuamente queste grandi ingiustizie e invitare tutti alla conversione per la solidarietà, la sobrietà, la giustizia. I beni della terra sono di tutti e per tutti e dobbiamo riconoscerci tutti veramente e concretamente fratelli.

L’ITALIA FASCISTA: IL FALLIMENTO DELLA POLITICA COLONIALE

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L”Etiopia prima e la Libia poi rappresentarono la nuova America per l”Italia di Mussolini. Si trasformarono ben presto in una triste e fallimentare vicenda.
Di Ciro Raia

Dopo un anno e dopo alterne vicende, si conclude la guerra in Etiopia. Nel 1936, infatti, le truppe del generale Pietro Badoglio –chiamato a sostituire il generale De Bono- entrano trionfalmente in Addis Abeba. Il re Vittorio Emanuele III piange di gioia alla notizia della vittoria e non esita a concedere al duce la più alta onorificenza militare italiana: “Ministro delle forze armate preparò, condusse e vinse la più grande guerra coloniale che la storia ricordi, guerra che egli, capo del governo del re, intuì e volle per il prestigio, la vita, la grandezza della patria fascista”.

Nell”immaginario collettivo degli Italiani l”Etiopia, terra precedentemente del tutto sconosciuta, diventa una sorta di nuova America, ricca di risorse e di opportunità di lavoro. Così, a conclusione di una conquista velocissima, la vittoria appare essere –più che del fascismo- dell”intero popolo italiano, che si inebria per l”annuncio di Mussolini: “l”impero è tornato sui colli fatali di Roma”.

L”Italia, purtroppo, tarda a rendersi conto di aver conquistata una terra irta di montagne, brulla e riarsa! Così l”entusiasmo si rivela pari alla delusione. L”Etiopia non è in grado di risolvere la domanda di disoccupazione di decine di migliaia di Italiani. La richiesta di manodopera è occasionale ed è legata alla costruzione di edifici e di strade: l”Etiopia, alla fine, più che una fonte di ricchezza è un pozzo di assorbimento delle già scarne energie italiane.

Non va meglio nemmeno l”avventura della colonizzazione della Libia (con le regioni della Cirenaica e della Tripolitania), terra che, secondo il governo italiano, deve diventare la “quarta sponda”. Per quel lembo di terra africana è prevista la partenza di circa due milioni di persone, per cui sono costruiti villaggi e case coloniche. Tutti quelli che ricevono un podere ed una casa devono essere bravi nei lavori agricoli, avere una famiglia numerosa e, soprattutto, essere iscritti al PNF. Nonostante gli sforzi ed i progetti, però, di integrare la popolazione libica con quella italiana, resta una diffidenza di fondo, in quanto gli agricoltori fascisti hanno sottratto innumerevoli possedimenti agli indigeni.

Così, l”ossessione della costruzione di un impero si trasforma, tutto al più, in una specie di spirito missionario di derivazione cattolica. E dell”enfasi delle partenze, nel 1938, dei piroscafi italiani per la Libia resta solo una descrizione roboante e folcloristica: “Le famiglie rurali, ordinatissime, hanno salutato alla voce il Re Imperatore e il Duce. Sui moli, sulle calate del porto e lungo le vie prospicienti, le organizzazioni del regime e la popolazione hanno assistito alla partenza di questo convoglio veramente eccezionale con visibile commozione e hanno salutato i partenti con altissime, entusiastiche acclamazioni al Duce”. Il seguito è solo una vicenda fallimentare.

CAMORRA E POLITICA. DIFFIDATO IL NOSTRO GIORNALE

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La ricostruzione giornalistica dei fatti che hanno portato allo scioglimento del Comune di Arzano ci è costata una diffida. Ritorniamo sull”argomento con ulteriori approfondimenti.
Di Amato Lamberti

Il nostro giornale, insieme al prof. Amato Lamberti, torna ad occuparsi del Comune di Arzano per rimarcare le fonti da cui sono state tratte le notizie riportate in un precedente articolo, nel quale abbiamo trattato dello scioglimento di quell”Amministrazione perchè fortemente condizionata dalla camorra (VEDI).

Per alcuni passaggi di quell”articolo abbiamo ricevuto una diffida dall”Avvocato difensore dei sig. Luigi e Ciro De Rosa, gestori dell”Azienda Sanitaria Privata “Panda” (il documento è consultabile a fine articolo).
I De Rosa sono stati citati nell”ambito della ricostruzione giornalistica del contesto territoriale del Comune di Arzano, nella quale è stato sottolineato in che modo i magistrati hanno indicato le “famiglie” –i clan- che “a parte i traffici criminali, sembrano aver preso –da tempo- il comando sia delle attività economiche della città, che di quelle amministrative del Comune”.

L”approfondimento che segue, sviluppa in modo più dettagliato le ragioni per le quali i sig. De Rosa sono stati chiamati in causa e specifica i documenti pubblici dai quali sono state riprese le notizie.
È doveroso ricordare che l”argomento camorra, essendo serio e delicato, viene trattato utilizzando come fonti gli atti ufficiali della magistratura, delle Commissioni di accesso, le interrogazioni parlamentari, i Decreti di scioglimento del Presidente della Repubblica.
L.P.

Arzano è il Comune della provincia di Napoli nel quale, gli intrecci tra camorra e pubblica amministrazione, sono stati meglio evidenziati grazie al costante e coraggioso lavoro del giornalista e consigliere comunale Mimmo Rubio. Per la sua attività di puntuale denuncia è stato più volte minacciato da politici e malavitosi, tanto da rendere necessaria la protezione per lui e per la sua famiglia.

Quanto sia pesante l”aria che si respira da anni ad Arzano, lo dimostra la lettera di minaccia all”on. Pezzella, nel 2005; come anche l”attentato al presidente del Consiglio comunale, Elpidio Capasso, oggetto, nel gennaio 2006, di un attentato dinamitardo con pacco bomba che ferì gravemente la moglie e lo costrinse all”abbandono dell”attività politica. Anche l”aggressione, a martellate in testa, del sindaco Nicola De Mare, il 12 maggio 2005, da parte di un disoccupato al quale erano state fatte promesse di assunzione, testimonia la durezza della situazione, tanto da indurre il prefetto, dopo una articolata interrogazione parlamentare del sen. Florino, nel 2005, all”invio della commissione di accesso agli atti, nel 2006.

Una commissione che lavora con tale lentezza da sollevare molti dubbi sulla volontà di voler procedere allo scioglimento di un comune i cui amministratori, a cominciare dal Sindaco, hanno fortissimi rapporti con i livelli regionali dei loro partiti, i DS e la Margherita, e godono di coperture nel governo e nel Consiglio regionale. Si comincia a parlare di Arzano come l”ultimo avamposto da difendere per evitare l”entrata in crisi di tutti i Comuni amministrati dal centro-sinistra con gli stessi metodi, con la possibilità di coinvolgere la stessa Regione.

Ma qual era questo metodo? Dal lavoro della commissione d”accesso sembra emergere “il totale asservimento del sindaco di Arzano all”ex direttore del consorzio cimiteriale-indicato come vicino a referenti di uno dei clan locali- e a un soggetto esterno al consiglio comunale, già condannato per patteggiamento per reati gravi, tra i quali il voto di scambio, che secondo le forze dell”ordine era in grado di influenzare anche le nomine di alcuni assessori, proponendone personalmente i nomi”. In pratica, la vita democratica ad Arzano era condizionata, secondo il decreto di scioglimento, da un intreccio affaristico criminale, con tanto di voto di scambio, caratterizzato da varianti che si intersecano e che vede politici sponsorizzati ed appoggiati direttamente dalla camorra, ed altri asserviti e convergenti agli scopi delle stesse organizzazioni criminali.

Ma quella di Arzano non era una situazione particolare. Prima che il ciclone degli scioglimenti si abbattesse su altri comuni della stessa area, anche più importanti, che presentavano la stessa situazione di intreccio affaristico tra amministratori e camorra, salta il prefetto accusato di proporre con eccessivo zelo lo scioglimento dei Comuni infiltrati dalla camorra. Una ricostruzione molto accurata della situazione di Arzano è stata prodotta dall”on. Storace in una lunga e documentata interrogazione, dalla quale ho ripreso le notizie sulla famiglia De Rosa, riportate nel precedente articolo, che integralmente recita:

“Così come non si può trascurare l”arresto di Luigi De Rosa, fratello del consigliere di opposizione Lucia De Rosa (Sdi), finito in manette per falsificazione di marchi d”autore (Armani, Dolce e Gabbana) insieme ai magliari dei Quartieri Spagnoli di Napoli. La famiglia del consigliere De Rosa è diventata con attività del genere una delle più potenti economicamente sul territorio. Oggi gestiscono due dei più grandi centri sanitari privati finanziati dalla Regione Campania. Il padre, tale Pasquale De Rosa, soprannominato “pascariello” è stato considerato per decenni il vero “capo” della cupola d”affari in città e plenipotenziario della politica locale, potendo contare su amicizie e frequentazioni influenti tra cui quella del boss deceduto Michele Zaza e di altri esponenti di primo piano dei casalesi.”

Nell”allegato n.2 della stessa interrogazione, presentata al Senato della Repubblica il 26/III/2007, si aggiunge: “Il braccio economico dell”Alleanza di Secondigliano, invece, è rappresentato dai cosiddetti “magliari”. Si va dalla storica famiglia dei De Rosa, soprannominati “i pascariello”, il cui figlio Luca De Rosa, fratello della consigliera di opposizione Lucia De Rosa (Sdi), è finito alcuni mesi fa in manette per falsificazione di marchi d”autore (Armani, Dolce e Gabbana) insieme ad altri “magliari” dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Il resto della famiglia De Rosa ha costruito invece un impero economico con aziende sanitarie, tra cui il “Panda”, convenzionate con le Asl e la Regione Campania.”

La frequenza con la quale, nei decreti di scioglimento, si fa riferimento a investimenti nel settore delle cliniche private, da parte di soggetti e famiglie malavitose, impegnate anche in politica a livello locale, ma anche provinciale, regionale e nazionale, fa ritenere necessario un approfondimento mirato ad un settore, trascurato a livello di indagini, ma importante , per la quantità di denaro movimentato, come per la creazione di “macchine” elettorali capaci di orientare pacchetti consistenti di voti e di preferenze. Questo potrebbe anche chiarire le ragioni della lotta feroce che, a livello di governo regionale, caratterizza il controllo del settore della sanità.

LA DIFFIDA

“LINGUA IN LABORATORIO”. RISPOSTE AI LETTORI

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Partendo da una domanda di un lettore, il prof. Ariola ci fa percorrere un tragitto a ritroso per condurci nell”antico mondo contadino dove:le sorprese non mancano.

Il sig. Bruno V. di Cardito ci scrive: “Nel suo articolo ‘La realtà enigmatica’ del 18 maggio scorso, riferendosi all”indovinello del secchio che ‘scenne ridenno e saglie chiagnenno’, ha affermato che esso è ‘interessante perchè costituisce un flash sulla nostra civiltà contadina:di qualche anno fa’. Poichè a me risulta che il secchio con cui si attingeva acqua o la si trasportava, era ed è usato da tutti, in che senso specifico questo oggetto si riferisce al mondo contadino?”

È vero, il secchio era presente in tutte le case, non solo dei contadini, e lo è tuttora, credo. Per i contadini tuttavia esso era uno strumento indispensabile per procurarsi l”acqua di cui aveva bisogno, attingendola dal pozzo o dalla cisterna di raccolta dell”acqua piovana, talvolta persino da bere, dato che la conduttura idrica non raggiungeva le case di campagna e non sempre le poche fontane pubbliche in paese erogavano il prezioso elemento, già normalmente avaro e quindi insufficiente per tutti. Oggi, si sa, è cambiato il tipo di secchio e l”uso che se ne fa quotidianamente.

Certamente non si utilizza ormai più per attingere acqua, nè si vedono più in giro secchi di metallo o addirittura di legno (-“o cato- come lo chiamavano in dialetto), essendo stati sostituiti da moderni esemplari di plastica di diverse fogge, dimensioni e colori. Altra cosa che è scomparsa è proprio il pozzo come fonte di approvvigionamento; ormai il sistema di conduttura idrica ha raggiunto tutte le case e anche i casolari di campagna più sperduti.

Ecco a questo ci si intendeva riferire, al tempo in cui, prima e anche per qualche decennio dopo la seconda guerra mondiale, qui in Campania in modo particolare, nei paesi di campagna esistevano solo fontane pubbliche e non sempre attive; ad esse si andava per l”acqua da bere, mentre per le restanti necessità si attingeva dal pozzo in comune che era collocato al centro del più o meno ampio cortile sul quale affacciavano varie abitazioni, o da quello privato nel cortile interno, dietro casa. Il pozzo serviva anche da frigorifero, vi si calava un paniere con cibi e bevande da tenere in fresco.

Nel pozzo appunto, si faceva scendere con una carrucola di ferro o di legno il secchio, di metallo o di legno, legato ad una fune di solito, e talvolta ad una catena di ferro, con il quale si tirava su acqua in gran quantità per riempire il lavatoio attiguo o per i vari usi domestici; si riempiva anche -“o cupellone- , ossia il grosso mastello nel quale la massaia preparava il bucato con acqua bollente e cenere (-“a culata- ), e si metteva, nei mesi estivi, al sole per far riscaldare l”acqua e offrire ai bambini un”ottima vasca da bagno.

Di tanto in tanto capitava che la fune consunta in qualche punto si spezzava e il secchio ripiombava giù e andava a fondo. Non ci si poteva permettere di perderlo, non c”erano soldi per ricomprarlo e quindi si doveva recuperarlo ad ogni costo. Si ricorreva alla “vurpara” o “vorpara” che era un attrezzo formato da due piastre di ferro incrociate alla estremità delle quali pendevano degli uncini;

con una fune si calava nel pozzo o nella cisterna e con una santa pazienza si tentava di ripescare il prezioso oggetto, che a volte si faceva prendere subito e risaliva docile fino alle mani soddisfatte del suo padrone, spesso però faceva il dispettoso e impegnava il pescatore per ore, mettendo a dura prova il sistema nervoso dello stesso e arrendendosi solo quando le imprecazioni e le bestemmie dell”infelice gli giungevano fin nel silenzio della profondità in cui era immerso.

Già il Galiani nomina questo attrezzo e ne inserisce il lemma tra le “parole del dialetto napoletano che più si discostano dal dialetto toscano” del suo vocabolario omonimo: “rampino di ferro per lo più a quattro aste, ma picciolo, simile ad un”ancora di nave, per uso di pescar cati, o secchi, che cascano nelle cisterne:,Cort. Ros. att.I,
“Tu pische da lo puzzo de sto pietto
co la vorpara de sta chiacchiarella”

Antonio Santella dà notizia di una vurpara di forma diversa: “attrezzo di ferro fatto con diversi uncini, legati ad un cerchio con catenelle, per ripescare secchie cadute in pozzi o cisterne”.
Il nostro esimio e sempre compianto Francesco D”Ascoli fa derivare il nome dal fatto che l”attrezzo somiglia alla “polpara”= “attrezzo per pescare i polipi”.
Quanto alla trasformazione della labiale ( -p- ma più spesso -b-) nella labiodentale -v-, essa è molto frequente nel nostro dialetto.(Es., “vocca” dal lat. “bucca, ae”).

La “vurpara” o “vorpara” si è prestata a utilizzazioni metaforiche. Oltre al Cortese citato sopra, famosa è la quarta egloga, intitolata appunto “La vorpara, che chiude la quarta giornata del “Lo cunto de li cunti ovvero lo trattenemiento de peccerille” di Gianbattista Basile. Ecco alcuni versi tra i più significativi:

“Non sai ca non c”è ommo/ che non tenga a la mano na vorpara?/ co chesta campa e sguazza,/ co chesta sforgia e “ngrassa,/ chesta le mette bona paglia sotta,/ pe chesta vene a “nchiudere li puorce,/ co chesta luce e se fa chino “n funno,/ co chesta “nsomma domena lo munno!/::.vasta, ca non è ommo/ che non la porta sempe a la centura,/ chi d”oro, chi d”argiento e chi de ramma,/ chi de fierro o de ligno,/secunno qualità de le perzone./:.vasta c”ognuno pesca,/ e perzò a sto pescare/ è posto vario nomme:/ arrocchiate (= rubare), affuffare (=portar via), arravogliare (fregare),/ alleggerire, auzare (=raccogliere) e sgraffignare,/:..”.

Oggi la “vurpara” è scomparsa o si può ammirare in qualche museo della civiltà contadina ma …la pesca, purtroppo, continua!

IL VOTO EUROPEO, QUELLO ITALIANO E :SANT”AGOSTINO

Oggetto della riflessione di questa settimana i risultati del 6 e 7 giugno scorsi e le incertezze che ne scaturiscono.
Di don Aniello Tortora

Tenterò questa settimana di fare qualche riflessione sui risultati del 6/7 giugno. Per quanto riguarda l”Europa il risultato è di una chiarezza estrema: la vecchia Europa va a destra. Questo non solo perchè mantengono le loro posizioni i moderati e i conservatori che già avevano la maggioranza in Parlamento, ma anche perchè emergono e si accrescono gruppi e movimenti estremisti, euroscettici, nazionalisti e xenofobi, se non apertamente razzisti. C”è stata la sconfitta delle tradizionali componenti socialiste (Germania, Francia e Spagna) e laburiste (Inghilterra) e perciò la tendenza appare ancora più marcata.

Il Partito popolare europeo avrà la maggioranza, ma non è un”entità omogenea. Tutto questo certamente avrà influenza sul nuovo equilibrio del Parlamento. Non sappiamo se il suo ruolo si rafforzerà o se le spinte frenanti condizioneranno l”intero sviluppo dell”Unione. Per quanto riguarda il “risultato” italiano possiamo dire che sono emersi “segnali di malcontento” a cominciare dall”affluenza alle urne, alta se paragonata ad altri paesi, ma bassa, rispetto alle nostre abitudini partecipative. È un indice di disaffezione diffusa, per cui, prima di indagare su chi ne abbia beneficiato, varrebbe la pena di rendersi conto delle ragioni per cui milioni di elettori non raccolgono l”invito.

Certamente non c”è più fiducia nella politica, per lo scarso esempio di impegno, di onestà e di interesse per il bene comune che il mondo della politica sta dando, soprattutto in Italia e in questo periodo della nostra storia repubblicana. La prova italiana era venuta a configurarsi come un grande sondaggio d”opinione ed è inevitabile che così venga letto il suo esito. È ciò che avviene, purtroppo, quando si confrontano i dati solidi rivelati dalle urne con quelli “liquidi” espressi dai sondaggi.

Con riferimento alle due forze principali il Pdl ha preso il 35 % (si aspettava che superasse il 40), mentre il Pd, uscito malconcio dalle sconfitte e dai travagli interni, ha preso il 26% (molti pensavano che non superasse il 22). Oltre ai “due partiti” maggiori c”è stato un altro risultato su cui sarebbe interessante riflettesse la politica italiana: hanno superato il quorum del 4% anche la Lega, l”Udc e l”Italia dei valori. Questi partiti hanno titoli per stare in campo e per giocare ruoli decisivi e incisivi nelle prossime fasi della storia politica.

Una riflessione a parte è necessario fare sul partito di Bossi. Già condiziona enormemente la coalizione di governo (che si è “padanizzato”) ed è da prevedere che ne condizionerà ulteriormente i movimenti e le scelte, specie sui temi caldi del federalismo fiscale, della sicurezza e dell”immigrazione. Un discorso a parte bisogna farlo sul partito di Casini. Uscito solidificato dalla recente tornata elettorale, prima o poi dovrà scegliere con chi stare. Quanto all”Idv, il successo delle sue liste porterà il partito di Di Pietro inevitabilmente a proseguire nel cammino di “attacco frontale” fin qui intrapreso, contro il premier, nei suoi punti più deboli: vicende giudiziarie e leggi “ad personam” in primo luogo.

Tutto sta a vedere come intenda, dopo aver rotto con il Pd, amministrare il patrimonio dei consensi (indubbiamente tanti). Intanto, ci si avvia verso il voto per il ballottaggio. Ma già adesso possiamo fare una riflessione sull”esito elettorale delle comunali e provinciali: il centrosinistra ha perduto molte province e comuni ed è costretto al ballottaggio anche dove non lo avrebbe mai immaginato. Si pongono qui problemi interni e seri al centrosinistra, circa la sua presenza sul territorio e di aderenza ai problemi veri delle comunità.

La mia modesta impressione è che qualcosa di imponderabile stia avvenendo nell”attuale contesto politico. Sono saltati certi schemi e il futuro è sempre più incerto e flessibile. Anche nel nostro territorio (vedi provinciali e caso-Pomigliano) stanno accadendo cose inimmaginabili e che vanno oltre la nostra razionalità. Mi domando se c”è libertà di voto in Italia e soprattutto al Sud.

Mi auguro che il mondo della politica, che sta toccando veramente il fondo in questi giorni, si converta a “volare alto” e a risolvere i veri e reali problemi della gente. Diceva S. Agostino che “uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grande banda di ladri”.

PILLOLE DI “900. “ITALIA, IN PIEDI!”

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L”Italia fascista si lancia nelle conquiste coloniali e va all”attacco dell”Etiopia. La Società delle Nazioni, distratta da Hitler, lascia correre, mentre la Chiesa appoggia l”atto di guerra.
Di Ciro Raia

Il 1935 è segnato dalle operazioni che portano alla conquista dell”Etiopia. Le truppe italiane in Eritrea, al comando del generale Emilio De Bono, sferrano l”attacco al negus Hailè Selassiè. Dopo mesi di preparazione, il regime fascista trova l”occasione per la sua avventura internazionale. Nonostante l”Italia abbia firmato, infatti, nel 1928, un trattato d”amicizia e di non aggressione con l”imperatore Selassiè, il capo dell”esecutivo italiano, prendendo a pretesto un futile motivo, ordina l”occupazione della terra etiope: “Camicie nere della rivoluzione! Uomini e donne di tutta l”Italia! Italiani sparsi nel mondo, oltre i monti e oltre i mari! Ascoltate!.. Abbiamo pazientato 40 anni! Ora basta!..Italia proletaria e fascista, Italia di Vittorio Veneto e della Rivoluzione, in piedi!”.

Le potenze europee, in verità, sono più preoccupate, però, dalla politica di Hitler che da quella di Mussolini e non tengono conto della richiesta di tutela, che l”Etiopia ha inoltrato alla Società delle Nazioni. A nulla vale, quindi, l”accertamento che a provocare gli scontri di Ual Ual -località in cui 1500 soldati abissini assaltarono 200 soldati italiani- siano state bande di irregolari. L”Italia battezza così, ufficialmente, la sua spedizione militare contro l”Etiopia.

Anche la Chiesa appoggia la conquista coloniale. L”arcivescovo di Genova, il cardinale Mario Giardina, firma un manifesto in cui invita la popolazione ed i cattolici a sostenere i valorosi soldati italiani, chiamati a compiere il loro dovere sul suolo africano. Il cardinale di Milano, Ildefonso Schuster, benedice i soldati italiani in Africa ed invia un pensiero grato all”esercito fascista, che si sta battendo per portare la luce della civiltà in Etiopia.
La guerra coloniale provoca il blocco delle esportazioni nel nostro paese, le cosiddette sanzioni economiche, da parte della Società delle Nazioni. La decisione, però, invece di danneggiare il regime fascista, lo rende più forte ed unito.

Nomi illustri della politica e della cultura (Luigi Albertini, Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando, Arturo Labriola), prima critici nei confronti del fascismo, dichiarano ora il loro appoggio al governo. E Mussolini sfrutta l”embargo, per richiamare il popolo a reagire alla decisione della Società delle Nazioni. “Date oro alla patria”, chiede il Duce. Le fede nuziali, i gioielli, le auree capsule dentarie sono fusi per aiutare la patria. L”Italia deve bastare a se stessa: è autarchia!

Si rilancia l”industria, migliora l”economia. La crisi sembra esser lontana. Un manifesto pubblicizza un soldato, che scrive sul muro: “Fate fondere le nostre brande. Il soldato italiano sa dormire per terra!”.
Per le strade, intanto, non si ascolta che il ritornello di una canzone: “Faccetta nera,/ bella Abissina,/ aspetta e spera che già l”ora si avvicina!/ quando saremo insieme a te,/ noi ti daremo un”altra legge e un altro re”.

RICORDO DI GUERRA COLONIALE

CRONACA DI UN CINEGIORNALE

“VADO IN VACANZA MA:TORNERÃ’!”

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Con questo intervento, Raffaele Scarpone accantona la rubrica per “sopraggiunte” vacanze. “Nel frattempo –scrive- spero che ad agosto qualcosa cambi. Ma tornerò!” E la promessa ha tutta l”aria di una minaccia:

Caro Direttore,
ho incontrato alcuni miei ex alunni, ormai “uomini fatti”, che, salutandomi, mi hanno detto di avermi ritrovato con lo stesso spirito da contestatore (o da eretico) di tanti anni fa e, poi, mi hanno chiesto a cosa fosse mai servito aver insegnato, da sempre e a tutti, a tenere la schiena diritta, visto che le cose sono andate sempre a peggiorare. Anche la mia gastrite è rimasta uguale.

Due di questi miei ex alunni militano nella politica attiva: sono –in attesa del salto generazionale- nelle prime file regionali e, da quando hanno deciso di doversi spendere “in spirito di servizio”, non hanno mai perso un appuntamento con nessuna delle coalizioni vincenti. Un altro di questi miei ex alunni vive tra la Spagna, Cuba e l”Italia (con i soldi del papà!). Mi ha raccontato che in qualche suo viaggio a Cuba ha visto –tra una divertimento e l”altro- anche Fidel Castro! Anzi, ha seguito in automobile il corteo con i fratelli Castro, fin quando la polizia non lo ha allontanato.

Dai discorsi dei miei ex alunni ho, poi, appreso, che uno dei loro vecchi compagni se ne è andato per overdose, un altro è uno stimato boss di un quartiere malfamato, un altro ancora è un imprenditore edile, ricco sfondato, che costruisce villini a dieci metri dal mare, baite in montagna, appartamenti con vista mozzafiato sui crinali del Vesuvio, sulle acque del Conero e sulle rocce prealpine.
Un mio vicino di podere (di terra, si dice dalle nostre parti), invece, mi ha detto che ho “sempre la testa accelerata”, perchè non ho niente a cui pensare, tanto “i mesi e lo stipendio vanno e vengono”.

Andassi in campagna per necessità e non per divertimento (in verità egli dice “per perdere tempo”, allora sì che sarei preoccupato dalla malattia delle albicocche, dalla siccità, dal ragno rosso che quest”anno ha attaccato i pomodori, dall”invasione delle cavallette!
Ragionamenti, per farmi capire che vivo abbastanza fuori dal mondo, me li hanno fatti anche la signora del piano di sotto ed una mia collega di scuola, nativa quest”ultima di Gubbio (solitamente la chiamo, citando San Francesco, “il lupo di Agobio”). La prima, incontrandomi, all”assemblea condominiale, mi ha detto, con tono sbeffeggiante: “prufesso”, scrivite, scrivite:a che serve? Beato voi che non avete i nostri problemi. Continuate a campà accussì, pe” cient”anne!”.

La seconda, che sostiene di essere stata animatrice di innumerevoli percorsi di innovazione didattica, di essere stata responsabile di ogni tipo di progetto e di aver pubblicato anche per riviste tedesche, di fronte alle prime indicazioni di un disegno restauratore della Gelmini esclamò: “Mio caro, e la tua rivoluzione? Finalmente si va verso una scuola seria! Era ora. Lo vuoi capire che sei fuori dal tempo?”.

E, quando io già mi sentivo anacronistico, datato, remoto nei miei dubbi, tenendomi amichevolmente sottobraccio, mi sussurrò, con fare canzonatorio, “primitivo”! “Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore:le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli nel passato.” (Aldo Busi, “Seminario sulla gioventù”, 1984).

Caro direttore, ti ho scritto per gran parte dell”inverno e per tutta la primavera. Ti ho posto domande e ti ho esternato dubbi, talvolta ti ho accusato –ma provocatoriamente- di essere addirittura responsabile di un qualcosa che stava accadendo in quei momenti. Quelle lettere settimanali mi hanno offerto la possibilità di poter dire la mia sulla politica e sulla scuola, sulle date-simbolo del 25 aprile e del 1° maggio, sui mattonari e sugli inquinatori e su tanti altri piccoli argomenti. Non è che non voglio scriverti più, direttore. Tutt”altro! Desidero solo raccogliere meglio le idee, rifletterle, proporle in modo più incisivo o più disteso o più sofferto.

Ora che si è alzato il picco del caldo, anche i lettori più affezionati preferiscono il mare o i monti o i viaggi. Pensare, in definitiva, fa male e rende il sangue amaro. Ed allora ti confesso che anch”io voglio prendermi un periodo di riposo. Ma –paradosso- non per riposarmi. Finalmente potrò esaudire un mio vecchio desiderio. Mi ritirerò, per un paio di mesi, nella cella di uno sperduto convento, alla ricerca nè di una vocazione nè di una conversione. Alla ricerca di una pace interiore, lontano dai traffici e dai rumori degli uomini e, ti avverto, senza cellulare e senza internet.

Spero che, di ritorno da questo romitaggio, tu abbia piacere a riprendere l”interlocuzione, il confronto. Può darsi che a fine agosto qualcosa potrà cambiare anche nel nostro paese. Può darsi che gli arroganti saranno messi fuori gioco, come tutti gli ignoranti; può darsi che gli immigrati non saranno più messi al bando, che una convenzione stabilirà che il sud del mondo saranno altre terre, che alcuni amministratori saranno mandati a casa da un voto veramente popolare, che gli strozzini non avranno più diritto di cittadinanza, come gli speculatori, i camorristi, gli spacciatori e così via.

Come ci rincontreremo a fine agosto? Sempre con una lettera dedicata sia a quelli che ne fanno un elemento di discussione sia a quelli che sostengono la scrittura essere ormai un esercizio inutile, anacronistico, quasi primitivo. In fondo, direttore, la scrittura aiuta le persone di uguale destino ad incontrarsi, a far rete, a sapere che non si è soli, specie in posti come i nostri, al sud, nei nostri paesi, nelle nostre miserie umane, nelle nostre miniere di dolore dove “emergere o dove solo il diritto di respirare lo devi spesso barattare con la compromissione dell”anima e la castrazione di ogni sogno. [:] Scrivere è resistere, è fare resistenza”, (Roberto Saviano, “La bellezza e l”inferno”, Mondadori, 2009).