Le ricette di Biagio: spaghetti all’amalfitana. L’incanto di Amalfi anche nei sapori….

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Correda l’articolo l’immagine del quadro in cui nel 1820 Franz Ludvig Catel dipinse la costa di Amalfi vista dal golfo di Salerno “trovando” il disegno e i colori adatti a suggerire all’osservatore l’incanto del luogo. Nel 2013 su “Civiltà della tavola” Alessandro Pini dedicò un articolo a tre “miracoli” della cucina amalfitana: la colatura di alici, l’”acqua pazza” e il pane “umbula”. Tre trionfi di sapori…La “colatura di alici” suggerisce note di storia del “garum” nell’antica Roma.

 

Ingredienti (4 persone): gr. 350 di spaghetti; gr. 250 di pomodori datterini, 1 cucchiaio di succo di limone di Amalfi e le zeste del limone, cioè la pellicola esterna e aromatica della buccia; peperoncino, menta fresca, olio, aglio, sale. Mettete in un saltapasta mezzo spicchio d’aglio tagliato in frammenti, il peperoncino (quanto basta), i pomodorini tagliati a metà. Fate rosolare leggermente i pomodorini e intanto mettete a cuocere gli spaghetti in abbondante acqua salata. Scolate la pasta al dente, mettendo da parte un po’ di acqua di cottura, e versatela nel saltapasta con il sughetto. Fate amalgamare i sapori, usando anche l’acqua di cottura messa da parte. Togliete dal fuoco, aggiungete le foglie di menta tagliate in frammenti e il succo di limone: impiattate, e ornate il “piatto” con un giro d’olio e con qualche ricciolo di zeste (Immagine del “piatto” e la ricetta derivano dal sito  GIALLOZAFFERANO BLOG- “L’Arte a modo mio”).

 

E’ superfluo ricordare che la storia di Amalfi e delle altre “repubbliche marinare” è una storia che parte da lontano e che subito si apre, anche nella “cucina”, all’influenza del mondo arabo: nell’uso delle spezie, scrive Alessandro Pini, “si incontrano la tradizione romana e quella medievale, che delle spezie ha fatto un suo cavallo di battaglia”. Tra i tipi di pane prodotti ad Amalfi c’erano: le “oblate”, “forme” di pane offerte – lo dice il nome- alle chiese quando si festeggiava il Santo a cui la chiesa era dedicata; i “biscotti di grano”, simili alle nostre gallette, distribuiti ai marinai e ai soldati delle fortezze; il “pane umbula”, una “forma” rotonda di pane dolcificato con il miele e con vari tipi di spezie. Questo tipo di pane era presente nei pranzi offerti dal clero e sosteneva un robusto menù che comprendeva “spalle di maiale arrostite”, caciocavallo, pesci salati, mustaccioli e non pochi boccali di “vino bono et odorifero”.

I marinai amalfitani portavano a casa sgombri e tonni pescati durante la traversata e subito privati delle interiora, ripuliti con acqua di mare, appesi a prua e a poppa della nave perché il vento li asciugasse e conservati in salamoia. A casa le donne “affumicavano” i filetti di pesce e i marinai prima “facevano “impazzire” l’acqua di mare, allora incontaminata, con l’aggiunta di spezie, verdure e olio” e poi vi tuffano per pochi minuti i filetti. Così nacque la “straordinaria portata che gli Amalfitani chiamano “acqua pazza””. Scrive il Pini che la “colatura di alici” venne creata, nella seconda metà del sec.XIII, dai monaci cistercensi della canonica di San Pietro a Tuezolo. Essi possedevano una piccola flotta di cui si servivano per il trasporto del frumento e, nei mesi estivi, per la pesca delle alici. Che, per la salagione, venivano ammassate in botti le cui doghe erano quasi sempre sconnesse.

Ai primi di dicembre le alici “erano arrivate a maturazione e il loro liquido di conserva, passando attraverso le doghe, colava sul pavimento, emanando un profumo gradevole. L’invitante aroma, la limpidezza e il sapore indussero i monaci ad usarlo per condire le verdure lessate, abitualmente insaporite solo con aglio, peperoncino, capperi e olio. Nacque così la “colatura di alici””. E giustamente il Pini osserva che “la colatura” costituiva un ritorno al “garum” di Roma antica, prodotto con lo stesso procedimento.  Il “garum” migliore veniva dalla Spagna, ma anche quello prodotto a Pompei era molto richiesto. Plinio il Vecchio ci dice che la fortuna di questa antica “colatura” trovò un solido sostegno nella scienza medica, perché i medici la consideravano assai utile per combattere l’inappetenza e i dolori allo stomaco.

Ma anche sul “garum “Seneca non condivise l’opinione dei medici e consigliò al suo allievo Lucilio di tenere lontana dalla sua tavola “questa costosa brodaglia di roba putrescente”, che corrodeva con la dominante presenza di sale stomaco e intestino. I primi cristiani pensarono che il “garum “alimentasse le passioni dei sensi e spingesse all’impudicizia: e San Pacomio sentenziò che rinunciare a questa “preziosa” salsa era prova concreta di amore per la vita ascetica. Tutto questo discorso vale anche per “la colatura di alici” ?