Le ricette di Biagio: insalata di carciofi. Se il cuoco non è bravo, viene fuori “’na ‘nzalata”

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Cetrulo, vruoccol’, percuoco, ‘nzalata, rapesta, ceuza, cuoppo’allesse: il doppio significato del nome di alcuni alimenti. David Le Breton, nel libro “Il sapore del mondo”, pubblicato nel 2007, ha dimostrato che gli alimenti sono destinati a diventare “metafore” della vita, perché anche attraverso ciò che mangiamo definiamo la nostra percezione della realtà. Il cibo possiede una connotazione soggettiva, però sempre all’interno del sapere collettivo, perché la metafora è linguaggio e strumento di comunicazione. In questo “gioco” di metafore la lingua napoletana copre un ruolo prezioso.

 

Ingredienti: 4 carciofi, 1 limone, scaglie di grana padano, rucola, olio, sale. Liberiamo i carciofi dalla “barbetta” interna e li tagliamo in fettine sottili. Mettiamo le fettine in una ciotola, aggiungiamo il succo di limone e il sale, mescoliamo con cura e lasciamo i carciofi a “marinare” per un paio d’ore. Infine uniamo ai carciofi la rucola spezzettata, le scaglie di grana, l’olio e il sale, diamo la mescolata finale, “impiattiamo” e portiamo in tavola (immagine e ricetta vengono dal sito di Bernardetta Rossi).

 

L’insalata da armoniosa sintesi di ingredienti può diventare, per colpa del cuoco, una poco gradevole mescolanza, immagine della confusione che offende il gusto e la percezione: è, per i Napoletani, una fastidiosa ‘nzalata, un disordinato miscuglio simile ai notiziari che ci propinano alcune “reti” televisive quando ci parlano di Israele, della Russia, dei dati sull’occupazione e sul costo della vita. Certi politici non riescono a rendersi conto del fatto che a comprare gli alimenti e il gas e la benzina ci andiamo noi, e perciò dovrebbero smettere di trattarci come “cetruli, vruoccoli e percuochi”, cioè come sciocchi e babbei. “Cetrulo” significa anche stupido perché il cetriolo era un ortaggio di poco valore, il “vruoccolo”, invece, era collegato al latino “brocchus”, persona “dai denti sporgenti” e dunque “dotato” di una espressione poco simpatica e intelligente. “Brocchi” sono anche i cavalli che valgono poco. “Percuoco” è connesso al latino “praecoquus”, “prematuro, che non ha ancora raggiunto la maturità”.

Al femminile la “percoca” diventa volgare metafora dell’organo sessuale della donna ancora vergine. Uomo di poco valore indica anche “’a rapesta”, la rapa selvatica, che entra in un discusso motto: persone incapaci vanno a comprare “una rapesta” al porto o a Portici? Amedeo Colella preferisce il motto in cui si indica Portici, ma il significato non cambia: gli inetti sono capaci soltanto di perdere tempo. Un tempo della donna di facili costumi si diceva che era una “ceuza”, o “chella tene ‘e ceuze”, quella è una donna capace di imbrogliare, di sedurre, di piegare l’uomo alla sua volontà. Che c’entrano le “ceuze”, le “gelse, le more del gelso” in tutto questo lo spiegò Francesco D’Ascoli. La zona di Napoli che oggi chiamiamo “Quartieri” era attraversata dal “vico lungo Gelso”, e le terre tutt’intorno, che appartenevano alla Certosa di San Martino, erano piantate a gelsi, indispensabili per l’allevamento dei bachi da seta. Il canonico Celano (1617- 1693) ci racconta che “con questa coltura il luogo riuscì delizioso in modo che i Napoletani vi si portavano a ricrearsi; ed il popolo in queste ricreazioni si dava in molte scialacquate e laidezze, in modo che si introdusse in Napoli un adagio ed era che quando si vede in un luogo onorato qualche lasciva e sfacciata azione si dice: e che si sta ai Celsi?”. Anche Giambattista Basile scrive: “Io vengo da le Ceuze/ da pigliareme spasso.”.

In seguito, quando nel territorio si incominciò a costruire e vennero edificate anche le caserme per i soldati spagnoli, la prostituzione, che prima si praticava all’ombra dei gelsi, si esercitò nelle case, e il fenomeno assunse proporzioni tali che i viceré spagnoli dovettero affrontare il problema.Miss, mia cara miss, nu cuoppo allesse io divento per te” canta. Totò nel film “Totò a Parigi” (vedi immagine in appendice). Le allesse sono castagne sbucciate e cotte nel forno, che venivano e vengono ancora vendute nel “cuoppo”, un foglio di carta arrotolato a formare un cono. Questo foglio si imbeve del liquido che filtra dalle castagne e perciò si corruga e si ammoscia. Riferito a un uomo, l’espressione dice che egli non ha né vigore, né consistenza e si piega alla volontà degli altri, e soprattutto a quella della “miss”. La donna paragonata a nu cuoppo ‘allesse non ha grazia e non ispira simpatia. E per oggi chiudiamola qua, mettimmo ‘o cupierchio ‘ncoppa  ‘a caccavella.