In un articolo del 2016 scrissi delle tre interpretazioni che gli studiosi danno di solito del detto: “pare ‘a sporta d’’o tarallaro”. Ma sfogliando carte e pagine di libri, ho trovato altre due interpretazioni, esempio concreto della sferzante ironia dei Napoletani. Ne parliamo in questo articolo. L’ultimo “tarallaro” ambulante fu don Fortunato Bisaccia, a cui Pino Daniele dedicò una canzone.
Ingredienti: 400gr. di farina, 200gr. di strutto, 150 gr. di mandorle, 2gr. di lievito di birra fresco, grani di pepe nero, zucchero, sale. Sciogliete il lievito con 1 cucchiaio d’acqua a temperatura ambiente, mescolatelo poi con gr.100 di farina, 1 cucchiaino di zucchero e gr. 100 di acqua. Amalgamate, coprite e fate riposare per circa un’ora. Tritate gr. 120 di mandorle nel mixer e versatele, con il resto della farina e 1 cucchiaio di sale fino, nella ciotola della planetaria. Unite 2 cucchiai di pepe macinato e lo strutto, e incominciate a impastare a velocità media con la frusta a foglia. Aggiungete l’amalgama del lievito e impastate con la frusta a gancio, per un paio di minuti, fino a formare una palla compatta. Collocatela sulla spianatoia e dividetela in una quindicina di porzioni da gr. 60. Dividete le porzioni a metà e modellate queste porzioni in due filoncini uguali, lunghi tra 8 e 10 cm. Unite questi filoncini a due a due e intrecciateli, e chiudendo a cerchio le due estremità della treccia formate il tarallo. Decorate i taralli con due mandorle ciascuno. Lasciate riposare i taralli in una teglia foderata con carta da forno per un’ora, quindi infornateli per un’ora a 160 °c. Infine, sfornate e fate raffreddare. (Immagine e ricetta dal sito “La cucina italiana”).
Fortunato Bisaccia fu l’ultimo tarallaro ambulante: negli ultimi anni della sua attività -morì nel 1995- sostituì “ ‘a sporta” con un carrettino che stazionava a Piazza Dante(immagine in appendice). Vittorio De Sica volle che interpretasse sé stesso nel film “Il giudizio universale” e Pino Daniele gli dedicò, nel 1977, una canzone che divenne famosa, “Fortunato”: Furtunato tene ‘a rrobba bellä / E pe’ chesto adda alluccà’/ E’ na’ vita ca pazzeja/ P’è vie ‘e chesta città / Salutä ‘e ffemmënë ‘a ‘ncoppa ‘e barcunë /Viecchië giuvënë e guagliunë/ Ce sta chi dice/ ca è l’anëma ‘e chesta città/ “. Era celebre il “grido” del tarallaro ambulante: “Don Fortunato tene ‘a robba bella…nzogna, nzogna…”. Nel libro “Partenope a tavola”, pubblicato nel 2007, Giuseppe Giorgio ricorda che da ragazzo andava a comprare i taralli a Mergellina, dove c’erano le bancarelle, e che i tarallari conservavano i taralli “in coperte militari e svariati sacchi di tela unti fino all’inverosimile di sugna.”. Ma già stava diventando famoso Leopoldo Infante che nel suo laboratorio di via Foria aveva messo a punto la ricetta definitiva del tarallo classico, con sugna, pepe e mandorle intere. Nella “sporta” il tarallaro ambulante portava, in mezzo ai taralli, tutto ciò che gli serviva nel suo andare in giro: il cappello, la pipa, ‘o fascicollo. E dunque, secondo Francesco D’Ascoli, il detto “pare ‘a sporta d’’o tarallaro” stava a indicare quelle situazioni in cui non c’è coerenza tra gli aspetti dello stato di cose, tra gli “ingredienti”: come quei governi in cui entrano tutti i partiti. Nella “sporta” tutti i clienti allungavano le mani, toccavano, tastavano, per scegliere il “tarallo” migliore: e dunque la “sporta” era la metafora di chi non riesce a difendere ciò che gli appartiene e consente agli estranei di fargli i conti addosso. Qualche cliente tentava di fare il furbo e di portar via il tarallo senza pagare, ma si faceva sorprendere, prendere alle spalle: faceva insomma la figura del tarallo, perché “tarallo” può significare anche stupido: il cervello degli stupidi è bucato, proprio come il tarallo.. E sull’immagine del “buco” venne costruita, dalla malizia dei Napoletani, un’altra metafora: “a sporta d’o tarallaro” in cui tutti mettono le mani è la donna di facili costumi, che si fa toccare da tutti in ogni parte del suo corpo. Se questa donna aveva un marito, dicevano i Napoletani che sulla testa dell’infelice potevi lanciare un’intera sporta di taralli: nemmeno un tarallo sarebbe caduto a terra: riuscite a capire perché?