Le ricette di Biagio: frittelle di pane ubriaco. Il pane “sobrio” ispirò anche Salvador Dalì

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Apre l’articolo l’immagine del quadro “Il cesto di pane” (olio su tavola, cm. 31,5 x 31,5) che fu realizzato da Dalì nel 1926 e, presentato, due anni dopo, a una mostra a Pittsburgh. L’opera suscitò l’ammirazione del pubblico e della critica. Un “cesto di pane” Dalì dipinse anche nel 1945, e spiegò perché il pane e il cibo erano un tema essenziale del suo surrealismo. A Dalì dedicheremo altri articoli, perché la “filosofia” che sta alla base della sua arte è una via maestra per comprendere alcuni aspetti fondamentali della cultura del ‘900.

 

Ingredienti: gr.300 di pane raffermo; gr.70 di zucchero semolato; 3 uova intere; 30gr. di farina bianca; cannella; 1 arancia; 2 limoni non trattati; miele liquido; vino bianco secco: olio per friggere; zucchero a velo; sale. Mettete a bagno il pane nel vino; mescolate in una ciotola le uova con lo zucchero e un pizzico di sale; unite il pane, ammollato e strizzato, amalgamate il tutto e insaporite con la buccia grattugiata dei limoni e dell’arancia e con un pizzico di cannella. Aggiungete la quantità di farina necessaria per dare la giusta consistenza all’impasto. Versatelo a cucchiaini nella padella dei fritti (possibilmente munita di cestino) nella quale avrete scaldato abbondante olio. Servite le frittelle calde, spolverate di zucchero a velo, da sole o con una salsa preparata con 50 g di miele allungato con 3 cucchiaiate d’acqua calda e il succo filtrato di un limone. (L’immagine e la ricetta sono tratte dal sito “La cucina italiana”).

 

Ripeto quello che scrissi dieci anni fa: “Non aggiungeremo chiacchiere superflue (esistono anche chiacchiere necessarie) alla lunga litania di libri e di articoli scritti intorno al pane, l’alfa e l’omega della civiltà alimentare per grande parte dell’umanità. Nel pane c’ è tutto: la mitologia, la religione, il mistero della vita e della morte, il nutrimento, l’immagine archetipa della vitalità. Il pane irradia la sua forza simbolica su tutto il sistema di cui è centro: la terra; la spiga; il covone; l’erba cattiva che minaccia le messi; la falce e il mietitore, la madia.”. Non ci dobbiamo meravigliare che il pane abbia ispirato anche Dalì, il Maestro del surrealismo: perché il surrealismo non nega la realtà, ma la raddoppia: sulla realtà che percepiamo con gli occhi del corpo innesta quella che “vediamo” con gli occhi del sogno e dell’immaginazione, e che si configura con le stesse linee e gli stessi colori dell’altra: era, la pittura di Dalì surrealista, la sintesi del pensiero di Sigmund Freud e delle riflessioni di André Breton. A sei anni Salvador Dalì voleva diventare cuoco. Poi optò per la pittura, e trasferì nell’arte le maniacali ossessioni per il cibo, i ricordi infantili fatti di odori intensi e le naturalistiche “visioni” di formose figure femminili intente a preparare le aragoste, le sardine e i ricci del mare catalano. Egli scrisse anche un libro di ricette – garantì che alcune di esse erano afrodisiache- e lo intitolò “Le cene di Gala”, cene raffinate e originali: le cene della moglie, che si chiamava Gala. Della propria pittura Dalì diceva che era “gastronomica, spermatica, esistenziale”: Freud avrebbe approvato. E dunque non dobbiamo meravigliarci se Dalì, quando incomincia a dipingere, studia con grande attenzione la pittura dei Maestri del “realismo”, Caravaggio, Vermeer, Velazquez e si interessa, in particolare, della tecnica che essi adottano per rappresentare il contrasto tra luce e ombra, “perché – diceva- è provato che nelle tenebre sorgono le vere “idee luminose””. Nel quadro di cui oggi parliamo, eseguito nel 1926, ci sono le tracce dei Maestri del realismo, ma c’è già Salvador Dalì: “Cavato dal buio e subito raggelato da una luce bianca, indurito come vetro o pietra preziosa, questo bellissimo dipinto cinquanta anni dopo farà dire a Dalì:“ il pane ha bisogno di essere circondato dalla liturgia del cesto, nonostante l’anarchia convulsiva della stoffa” (Marco Di Capua) La stoffa “anarchica” è fatta con il bianco, il meno anarchico dei colori: e dunque la “convulsione” viene suggerita dal gioco sapiente delle linee e va a placarsi nel contrasto con il rilassato intreccio, lineare e cromatico, delle strisce del cesto e con le forme circolari della parte alta dell’immagine. Se il nostro sguardo, dopo aver osservato questa parte alta, torna sul panno, “percepisce” la presenza di moduli circolari anche nella “convulsione” delle pieghe. Il pane di Dalì non è “ubriaco”, ma si confronterebbe volentieri con un bicchiere di vino.