La  Napoli di E. Dalbono: un violinista dormiva e continuava a suonare il violino…..

0
688

Il violinista era il celebre Ferdinando Pinto, che suscitò l’ammirazione di Giuseppe Verdi. L’episodio è raccontato da Edoardo Dalbono (1841 – 1915), pittore e scrittore. Nella seconda metà dell’Ottocento intellettuali napoletani, “italiani” e stranieri videro che Napoli era uno straordinario palcoscenico di fatti e di personaggi incredibili. Napoli – scrisse la Jeuland – Meynaud – è la città in cui anche cento persone non formano mai una folla, perché ogni persona, anche nella folla, riesce a conservare e a mostrare la propria identità. Correda l’articolo l’immagine del quadro “ Canzone napoletana” di Dalbono.

 

La dipartita di Raffaele La Capria ha acceso la memoria: ci siamo ricordati dei non pochi scrittori napoletani del ‘900 che aspettano da tempo un posto in prima fila, abbiamo rapidamente “percorso” i lunghi elenchi di intellettuali e di artisti italiani e stranieri che tra l’Ottocento e il Novecento hanno visitato Napoli alla ricerca del “segreto” che era sfuggito agli altri – la causa “segreta” della sua luce e della sua bellezza -,abbiamo richiamato alla mente i personaggi inventati e quelli reali – personaggi tutti eccezionali- che popolano le pagine dei libri su Napoli. Ho riletto le pagine di “Malacqua”, il capolavoro di Nicola Pugliese, e i “Ricordi” di Edoardo Dalbono. Don Eduardo non poteva limitarsi a diventare un pittore importante: la storia della sua famiglia lo “costringeva” a descrivere e a raccontare, e a tentar di usare le parole come colori e colpi di pennello. In un capitolo egli ricorda la grande Esposizione Nazionale che si tenne a Napoli nel 1877, e che permise a Francesco Paolo Michetti di mostrare a tutti “la magnificenza del suo genio pittorico” e di vincere il primo premio con il quadro “La festa del Corpus Domini”. Erano gli anni in cui venivano a Napoli a “svernare” Géròme, Alma – Tadema, Puvis de Chavannes, Dagnan, Bouveret, Bonnat e “tanti altri” pittori e i più importanti mercanti d’arte “sbarcavano” in città per acquistare quadri, acquerelli, tempere e disegni, e tra i pittori napoletani facevano affari con questi mercanti solo quelli raccomandati da Domenico Morelli: così dicevano i maligni toscani, ma forse era solo una malignità toscana, appunto. Venivano a Napoli anche “concertisti celebri, a cominciare dal fenomenale Rubinstein: e i Napoletani accorrevano in massa nei teatri e nei “saloni delle arti” e mostravano, per le manifestazioni culturali, un interesse così intenso che Edoardo Dalbono ne restava stupito. Intanto Rocco De Zerbi con il suo giornale, il “Piccolo”, “gettava le fondamenta di una letteratura giornalistica viva” e “pubblicava lavori di tanti, eccellenti scrittori” e “Matilde Serao, giovanissima, vi faceva le sue prime potenti armi con gli indimenticabili “Bozzetti Napoletani”. Anche il Carnevale, racconta Dalbono, era “un fatto artistico”: “ e voi ricorderete quello famoso con il carro della Sirena, che era modellata da un nostro grande scultore, Vincenzo Gemito”. La musica la faceva da protagonista in questo agitarsi del mondo della cultura. Don Paolo Rotondo, che collezionava quadri – la sua collezione venne lasciata in eredità al Museo di Capodimonte – due volte ogni settimana ospitava in casa sua i più abili “cultori degli strumenti ad arco e ci faceva udire i quartetti e i trii di Haydn, di Mozart, di Beethoven e di Schumann”. Ospite fisso era il celebre violinista Ferdinando Pinto, il cui violino “dalla voce umana” incantò Verdi a tal punto che quando il grande musicista “venne a concertare la sua “Aida” al San Carlo”, non appena sentì “la voce che usciva dal violino di Pinto”, corse “ad abbracciare commosso il nostro violinista e gli disse parole di entusiasmo e di affetto”. Una sera, in casa di Paolo Rotondo, tre componenti del quartetto dovettero fermarsi “di botto, mancando nello spartito alcune pagine del pezzo che essi stavano seguendo”. Solo “Pinto continuava a suonare come se avesse avuto sul leggio le carte che mancavano”. Gli dissero, a voce alta, di fermarsi: ma Pinto continuava a suonare. Allora “gli altri irritati lo tirarono bruscamente per l’abito e… quale fu la loro meraviglia? …Pinto dormiva! Pinto dormiva, dormiva e suonava, ricordando.. a memoria tutte le pagine che mancavano nello spartito”.Pinto fece scena? Non so…Dalbono non l’avrebbe raccontato: Napoli era da sempre un palcoscenico di fatti e di personaggi sorprendenti.