Dalla Banking Union alle agenzie di rating.
Più un’organizzazione diventa complessa, più l’allocazione delle risorse, il riconoscimento dei diritti-doveri e la distribuzione dei poteri diventa cosa ardua, e allo stesso tempo essenziale al buon funzionamento della stessa.
La nostra società è un’organizzazione complessa. L’aspetto su cui vorrei focalizzare l’attenzione, oggi, è quello economico. La crisi cominciata nel Settembre 2008, denominata anche la Grande Recessione, è stata una presa di coscienza; ci si è resi conto di quanto il meccanismo fosse diventato complesso e di quanto, probabilmente, la regolamentazione fosse rimasta indietro.
Uno dei fattori determinanti per la crisi finanziaria è stata la forte interdipendenza delle istituzioni finanziarie, che ha messo in moto meccanismi di trasmissione e ha reso possibile il contagio.
Il grado d’interconnessione dei mercati finanziari a livello globale e l’internazionalizzazione delle banche era, ed è, molto alto; tuttavia, la regolamentazione finanziaria dei vari Paesi mancava di coordinamento.
Questa riconosciuta esigenza rappresenta, di fatto, il fondamento della reazione alla crisi delle istituzioni europee, e non solo.
Banking Union è il progetto portato avanti dall’Unione Europea e dalla BCE, che ha come obiettivo un’armonizzazione delle leggi economico-finanziarie dei Paesi membri e che si è tradotto nella fondazione di nuove istituzioni e nell’introduzione di nuove direttive.
Oggetto di discussione non è solo la relazione delle Nazioni Europee ma, chiaramente, anche il rapporto di queste con gli Stati Uniti e i Paesi Emergenti.
Le nostre istituzioni hanno dovuto instaurare un dialogo con quelle americane; attualmente, il focus principale è sulla regolamentazione dei mercati derivati.
In letteratura, molti guardano alle agenzie di rating come ad un’altra causa della crisi; in particolar modo, il loro funzionamento è considerato un fallimento della regolamentazione finanziaria.
In due parole, le agenzie di rating sono le uniche società la cui valutazione sulla solidità e la solvibilità di Stati, banche, aziende, titoli, è riconosciuta dalla legge. È sul “voto”, che può andare da una tripla A ad una D, che tutta la regolamentazione di Basilea si basa: le banche sono obbligate ad avere una certa quantità di capitale, per minimizzare il rischio di insolvenza, calcolata in percentuale della rischiosità delle attività che la stessa banca svolge; quanto un’attività è rischiosa ce lo dicono proprio le agenzie di rating.
Ciò che durante la crisi è emerso è che i suddetti rating sarebbero “ritardati”, seguirebbero il mercato, avendo quindi una scarsa capacità predittiva. In effetti, i titoli subprime che ci hanno condotto alla crisi, erano valutati con una tripla A fino a poco prima del crollo!
Il problema, alquanto evidente, è il conflitto di interesse esistente tra le agenzie di rating e gli emittenti dei titoli che devono essere valutati.
Attualmente, e in realtà sin dal 1975, le agenzie di rating riconosciute dalla legge si contano sulle dita di una mano e, inoltre, le quote di mercato significative si dividono solamente tra le Big 3: Moody’s, Standard and Poor’s e Fitch.
Le agenzie sono private: è argomento di dibattito quanto sia “eticamente” corretto che i “prodotti” di società private abbiano forza di legge.
La situazione è ancora più controversa se si pensa che queste agenzie rispondano al Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America, vale a dire che è loro riconosciuta la libertà di parola e di stampa: praticamente, sono considerate alla stregua di giornalisti e opinionisti.