Si avvicina per i napoletani un momento magico dell”anno. La speranza prende il sopravvento sulle angherie della vita e diventa un modo di essere. Una espressione dialettica. Di Luigi Jovino
Nel linguaggio popolare i rafforzativi non vengono mai usati a caso. Nelle povere famiglie dove si è abituati a risparmiare su tutto, anche una frase in più può rappresentare uno spreco. «Una parola è poco e due sono troppe», diceva un contadino che non era mai entrato in chiesa per non essere costretto a togliersi il cappello nemmeno davanti a Gesù Cristo. I racconti popolari che raccolgono l’anima della gente semplice vengono, perciò, sintetizzati al massimo. I concetti sono distillati in sequenze concatenate e logiche. Le parole sono limpide, brevi ed essenziali. Non c’è una costruzione che non abbia senso o ragione di essere.
Quando un racconto popolare inizia con la frase eravamo sotto Natale è come se si fosse fatta una premonizione. Sotto Natale a Napoli significa: case fredde, acqua gelata nelle "cannole", ghiaccio alla finestra che si scioglie con l’alito caldo, strade buie e deserte che riportano alla mente i lati più angusti del presepe. Sotto Natale suggerisce un contesto. Sembra quasi una parola d’ordine da cui si sviluppa un canovaccio dagli esiti scontanti. La frase trova una ragione d’essere anche nel complesso dell’economia del vicolo perché richiama la frenesia del possedere. La necessità, cioè, di avere a disposizione le cose minime che in un periodo magico dell’anno non possono mancare.
E per non farsi mancare il necessario a Natale il senso comune giustifica anche qualche "mala azione" o i piccoli raggiri che hanno reso, famoso nel mondo la fantasia del popolo partenopeo. A Natale insomma la gente non vuole sentirsi povera. Si sente autorizzata a far di tutto pur di sconfiggere la triste condizione. Viene quasi voglia di pensare che la filosofia del «tutti dobbiamo campare» si alimenta proprio dall’atmosfera anarcoide-amnistiale che si respira in una zona franca. Nell’attesa del Natale. Il significato più potente della frase va assegnato, però, alla speranza, unica arma che il popolo umile ha per proteggersi dal fato e dalle ingiustizie della vita. Eravamo sotto Natale offre il senso di una grande attesa, dove tutto può accadere. Anche la più ambita delle aspirazioni.
La speranza che rimane sempre una forma di rivalsa, viene perciò usata come un grimaldello per forzare il susseguirsi scontato degli eventi con l’obiettivo di segnare una rivincita prima che le cose accadano realmente. Nella sequenza logica di causa ed effetto una storia che inizia con la frase Eravamo sotto Natale non può finire male. Bisogna esserne sicuri! Quando qualcuno presenta una storia del genere c’è sicuramente il lieto fine. L’articolazione della trama prepara a difficoltà di ogni genere. A momenti in cui il mondo sembra crollare addosso a protagonisti, colpiti da ogni tipo di sfortuna e di angherie. Il freddo, però, è sempre presente. Svilisce ogni aspirazione. Pesa sulla vicenda più di ogni altro accadimento. Le luci, invece, sono fioche e sospese. Poi d’improvviso cambia tutto. Arriva il finale che non è mai a sorpresa.
C’è da preoccuparsi, invece, quando l’ambientazione del racconto richiama spiagge assolate, spighe di grano e il fresco di una serata trascorsa vicino al mare. Non garantiscono esiti ad effetto nemmeno i mesi autunnali che hanno ispirato per secoli i poeti con un pesante carico di atmosfere, foglie, frutti e colori. La gente semplice con questo modo di rappresentare se stessa ha saputo materializzare la fiaba del Cristo fatto uomo. Sulla speranza ha costruito un modello di vita ed uno stile di espressione dialettica. E nell’attesa del Natale si consuma l’essenza stessa dell’essere, sempre sospeso tra ricordi e presentimenti. Quando poi viene Natale si esaurisce la poesia.
La speranza ha esaurito la sua forza propulsiva e si confonde tra le righe dell’evento. Un minuto dopo che è nato Gesù, dopo i canti di gioia, i bengala a stelline e le preghiere, ritorna la tristezza. E l’inverno si fa avanti forte con il suo carico greve. E hai voglia ad aspettare che a settembre il racconto riprenda… Eravamo sotto Natale. (Tratto dal libro “Storie minime”)