E negli Stati Uniti si abbattono le statue di Cristoforo Colombo. L’Occidente si avvia a morire nel ridicolo?

0
895
" F.S. Remington, Incontro notturno nel West"

Le identità nazionali si demoliscono cancellando il culto della storia e la ricerca filologica della verità: l’opera è in pieno svolgimento. Gli Stati Uniti oggi vedono in Colombo un “simbolo di odio”, e il sindaco di New York dimentica che la statua del navigatore fu collocata al Columbus Circle dopo che – era il marzo 1891 – a New Orleans la folla aveva linciato 11 migranti italiani. E perché i nostri alunni dovrebbero studiare Cicerone e Seneca, padroni di schiavi, e Cesare, massacratore di Galli? E che dire di Ottaviano?

 

Michel Onfray è stato chiaro: “La civiltà dell’Occidente è prossima a morire..mi auguro che finisca con eleganza”, nel segno di quella Bellezza che è forse l’ideale più alto che l’Occidente abbia creato. Ma l’augurio nasconde la paura del contrario, che l’Occidente muoia nel ridicolo. E questa paura poggia su solide ragioni, tutte previste dagli studiosi più lucidi del mondo globale: Kenneth Scheve, Serge Latouche, Anthony Giddens, Luciano Gallino, Baumann, hanno descritto, anni fa, e con drammatica chiarezza, quello che accade oggi e accadrà domani, e, in particolare, la demolizione sistematica delle identità nazionali. E l’identità nazionale si demolisce facendo guerra allo spirito critico, al culto della storia, alla ricerca filologica della verità, e aprendo i varchi all’ignoranza, a sterminate mandrie di “bufale”, alla comunicazione fatta con il metodo dei fuochi d’artificio: le bombe, sparale grosse e colorate: nel cielo dei “social” i fuochi si spengono presto: ma qualcuno che si faccia suggestionare, l’”alloccuto”,  lo trovi sempre.

Se ci guardiamo intorno, vediamo subito che la demolizione è a buon punto, anche in Italia. Una decina di giorni fa, in un salotto televisivo, uno storico di fede musulmana ci spiegava che l’Occidente ha il dovere morale di aprirsi ai migranti per purgarsi dalla colpa storica del colonialismo: e forse aveva ragione, ma dimenticava, e nessuno dei presenti glielo ha ricordato, che per secoli la tratta dei negri è stata gestita dagli arabi dell’Africa mediterranea e dai Turchi. Qualcuno potrebbe pensare che in questa corsa verso il trapasso nel ridicolo gli Stati Uniti vogliano stracciare tutti i rivali: se è questa la loro intenzione, bisogna ammettere che, dichiarando guerra a Cristoforo Colombo, hanno già vinto. O quasi. Da anni le parate del “Columbus day” sono accompagnate dalle roventi polemiche di chi propone che la festa venga dedicata agli indigeni: non più “giorno di Colombo”, di questo Cristoforo genovese che aprì la strada ai conquistatori e ai massacri, e forse di massacri si macchiò anche lui, ma “giorno degli indigeni”.

La vicenda ha conquistato le prime pagine dei giornali quest’anno, perché quest’anno anche Los Angeles ha deciso di cancellare il nome del navigatore. Ci si augura che il consiglio comunale cambi anche il nome della città, perché esso ricorda che la città venne fondata da quegli Spagnoli che, benedetti dalla Chiesa, furono i protagonisti assoluti, seguiti a ruota da inglesi e francesi, delle stragi di nativi americani. Sono un ammiratore degli Indiani d’ America (chiedo scusa se continuo ancora a chiamarli così) e ho letto molti libri che raccontano la loro storia, e le poco nobili guerre che le “giacche azzurre” condussero contro Creek, Piedi Neri, Sioux, Comanches: in qualcuna di queste ignobili spedizioni i soldati degli Stati Uniti ebbero il sostegno strategico di tribù di indiani nemiche di quelle aggredite e massacrate. Ma questo è solo un particolare senza significato.  Anche la notizia della decisione di Los Angeles non avrebbe sollecitato la mia attenzione, se all’interno dell’articolo pubblicato sul “Corriere della Sera”  il 1° settembre Marilisa Palumbo non avesse raccontato che il sindaco di New York Bill De Blasio, i cui nonni materni erano italiani, ha istituito una commissione incaricata di valutare se i monumenti della città sono “simboli di odio”: tra le statue da esaminare c’è anche quella di Colombo a Columbus Circle. E questo è grave: perché, come ha ricordato il prof. Anthony Tamburri, quella statua fu collocata in quel luogo non tanto per celebrare il navigatore genovese, quanto per placare gli italo- americani sconvolti dai fatti di New Orleans, dove, il 14 marzo 1891, una folla di cittadini aveva linciato 11 migranti italiani, quasi tutti siciliani. Ma il passato non conta più: Colombo ieri era colui che aveva scoperto l’America, oggi è un “simbolo d’odio”. E conta l’oggi.

Qualche buontempone chiede che il governo italiano faccia sentire la sua voce presso le autorità americane, a difesa della comunità degli italo-americani e dei suoi valori: ma se la voce è la stessa che hanno sentito i signorotti egiziani nel caso Regeni, allora è meglio che il nostro governo resti in silenzio. E’ possibile battere gli Americani in questa folle corsa verso il sublime ridicolo? Forse sì: non è giusto che gli alunni italiani continuino a studiare (lo fanno ancora?)  Cicerone e Seneca che avevano decine di schiavi, e tra questi anche dei neri, e Cesare che massacrò milioni di Galli e di Germani. E il Colosseo? Merita di restare in piedi? La vogliamo dire la verità, sul numero dei gladiatori e dei cristiani che vi trovarono una morte crudele, per il godimento di feroci spettatori? E che dire della città di Ottaviano, il cui nome ricorda un imperatore che massacrò, avvelenò, saccheggiò? Ma poi è vero che Ottaviano si chiama così in memoria di Augusto? Uno storico mi disse che il nome della città non viene dal nome dell’ imperatore, ma dal fatto che i Vesuvio l’ha distrutta otto volte. Mah… Aspetto lumi.