Domande senza risposta

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Il caso di Michela Deriu ricorda la tragica storia di Tiziana Cantone, suicida a Mugnano lo scorso anno, e ripropone domande a cui ancora si stenta a rispondere.

Gli esseri umani non sono cambiati molto dai tempi in cui un certo Gesù di Nazareth fermò la mano che impugnava una pietra pronta a lapidare Maria di Magdala, colpevole di “reati” di natura sessuale. Di folle lapidatrici continua ad essere pieno il mondo, solo che adesso abbiamo a disposizione una nuova arma scagliapietre, la stupefacente innovazione tecnica del nostro tempo: il web.

Di web si può morire, purtroppo, e gli assassini sono sempre gli stessi, quelli dei tempi di Maria di Magdala: quelli che esorcizzano, con il disprezzo e l’annientamento psicologico e anche fisico di una donna, chissà quale paura, chissà quale terrore di impotenza. Si nascondono nella folla che colpevolmente li copre, e colpevolmente si identifica con loro, con le loro pulsioni violente, falsamente giocose e inoffensive.  Di lapidazione  è morta Tiziana Cantone. Il 13 settembre dello scorso anno, a Mugnano, si è impiccata con un foulard a un tubo della cantina perché non sosteneva più la gogna, social e non, a cui era esposta da tempo a causa di video hard diffusi in rete contro la sua volontà. E adesso, all’inizio del mese di novembre di quest’anno, a La Maddalena, si è uccisa Michela Deriu. Michela ha deciso di farla finita prima che il web potesse scatenarsi, le è sembrato l’unico modo per sottrarsi al ricatto che stava subendo: pagare o sarebbe stato diffuso in rete un video hard che la vedeva protagonista. E non aveva più soldi.

In queste vicende c’è qualcosa di terribilmente antico, che si ripete sempre uguale e che crea sempre sconcerto, nonostante tutto. Di fronte a tragedie di questo tipo, a donne morte per mano di uomini, si materializza sempre un ipocrita, conformistico rimpianto, una mesta e più o meno indignata protesta contro i “cattivi” del caso, che sono sempre, manco a dirlo, altro da sé. Gli altri. Gli animali volgari che guardano i video hard e sghignazzano. Gli improvvisamente pazzi, i colti da raptus che uccidono. E c’è sempre un retropensiero, che alcuni esprimono, ma altri opportunisticamente tacciono: che quelle ragazze cosa vogliono? Prima si lasciano filmare, fanno i giochini hard, prima si comportano da zoccole e poi pretendono di essere trattate normalmente, come fossero donne perbene.

E la domanda, scontata, meschina, di quelle che abbiamo già sentito al punto che non vogliamo più sentirla, ma inevitabile, perché è la domanda alla quale mai viene data soddisfazione, è: e gli uomini che erano con lei nel video? Per loro nessuna gogna? E gli uomini che tradiscono e lasciano le donne? Nessuna donna è mai còlta da raptus?

Ancora, come sempre da secoli, niente è cambiato. Ci sono due morali, due misure, due regole diverse. Uomini e donne non stanno sullo stesso piano, per niente. Ci sono donne che mettono in circolazione video hard dei propri compagni per vendetta o per scherno? Ci sono uomini che si suicidano perché vengono vessati, disprezzati, scherniti, molestati perché compaiono nel web in video porno? A me non risulta. Basterebbe questo a mostrare che parità non c’è, nonostante tutte le conquiste che le donne hanno ottenuto sul campo nello scorso secolo. Finché la sfera della sessualità, intima e tuttavia da sempre sottoposta a pubblico giudizio, vedrà donne e uomini in modi così diversi e si utilizzeranno criteri di valutazione diametralmente opposti, di parità non possiamo parlare.

E tuttavia ancora una domanda senza risposta si affaccia alla mente in casi come questi, in cui un video privato viene messo in circolazione arbitrariamente, diventa subito virale e causa una gogna mediatica assassina. Come mai agli uomini non viene in mente di schernire le attrici porno, ma anzi in alcuni casi, come per la famosa Moana, la donna sovraesposta, eroina di ogni tipo di avventura erotica, diventa una dea del sesso, con cui gli uomini vorrebbero misurarsi, ma con cui, segretamente, temono il confronto?