Renzi cinguetta su twitter commentando il via libera definitivo alla legge che la matrimonialista Annamaria Bernardini De Pace definisce «senza senso». Non saranno più necessari tre anni per dirsi addio e le nuove regole valgono anche per i procedimenti già in corso.
«Il #divorziobreve è legge. Un altro impegno mantenuto. Avanti, è #lavoltabuona». Così il tweet del premier Matteo Renzi che commenta il via libero definitivo della Camera al ddl sul divorzio breve. Una svolta che arriva dopo ben quarant’anni e che mette fine alle lunghe attese di chi vorrà porre fine al proprio matrimonio. Trecentonovantotto sì, ventotto no, sei astenuti in Parlamento hanno cancellato la precedente legge (la Fortuna – Baslini) che richiedeva tre anni dalla separazione dei coniugi. Le novità sono molte, in primis i tempi. Fino a ieri lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio poteva essere chiesto da uno dei coniugi non prima di tre anni di separazione. Oggi, per la separazione giudiziale ci vuole un solo anno, sei mesi se entrambi sono d’accordo e quindi si tratta di separazione consensuale, indipendentemente dalla presenza di figli.
La comunione dei beni, poi, si scioglie quando il giudice autorizza i coniugi a vivere separati o al momento di sottoscrivere la separazione e non più soltanto con il passaggio in giudicato. Altra novità è l’applicazione immediata: tirerà un sospiro di sollievo chi sta trascinando procedimenti simili da anni. Arrivare a questo punto però non è stato semplice, nonostante il fatto che già nel 1800 il Codice di Napoleone consentisse di sciogliere i matrimoni civili (lì però si pretendeva il consenso dei genitori e pure dei nonni). L’Italia unita considerò invece da subito il divorzio un tabù, tant’è che agli inizi del 900 era possibile solo in caso di adulterio, lesioni al coniuge e condanne gravi. La battaglia iniziò negli anni ’60 con il progetto di legge del socialista Loris Fortuna (e non è un caso che Riccardo Nencini abbia ieri dedicato a lui, con un tweet, questa «vittoria»), le manifestazioni dei radicali e la Lega italiana per l’istituzione del divorzio. Nel 1970, con voti contrari di Dc e Msi, la legge fu approvata aprendo però un’altra strada tortuosa che portò, per la ribellione dell’Italia cattolica, al referendum.
Il 12 maggio del ’74 l’87, 7% andò al voto e in una percentuale del 60 % vinsero i «no» consentendo alla legge di restare in vigore. Nel 1987 una riforma portò i tempi di separazione, dunque di attesa, da cinque a tre anni. Ieri, ancora un passo avanti. E non senza polemiche vista la reazione del mondo cattolico, tant’è che sul sito web di Famiglia Cristiana, il settimanale cattolico che è anche quello più venduto in Italia, si legge: «Il Parlamento ha offerto dunque una prova di forza trasversale a danno, ancora una volta, della famiglia che, a parole, tutti i politici affermano di voler difendere ma si legifera in senso esattamente contrario come dimostra questa riforma».
Alcuni deputati di area popolare (Ncd –Udc), come Alessandro Pagano che ha votato contro, definisce la legge come «una aberrazione, il matrimonio derubricato a mero contratto». Attacchi sono arrivati pure dagli avvocati, anzi da una delle matrimonialiste più note in Italia, Annamaria Bernardini De Pace, specializzata in diritto di famiglia, che la boccia in toto. «Una legge senza senso» – dice infatti la De Pace e continua: «Una inutile duplicazione delle parcelle degli avvocati, giacché i presupposti giuridici e le finalità della separazione sono diversi da quelli del divorzio. C’è chi vuole solo separarsi e non divorziare, per vari motivi, altri invece desiderano il divorzio immediato: andava introdotto il divorzio come alternativa alla separazione come in tutti i paesi civili e non il divorzio a distanza di sei mesi dalla stessa». Soddisfazione, invece, da Equality Italia il cui presidente Aurelio Mancuso plaude auspicando che la riforma sia da apripista per ius soli, cambio del cognome, unioni civili.