Al soggiorno a Ottajano di D’ Annunzio e di Maria Gravina dedicò un saggio la prof.ssa Clara Borrelli: martedì 24 luglio viene presentato il libro che il prof. Urraro ha scritto sullo stesso tema. Il fascino del paesaggio ottajanese ispira al poeta i versi del “canto” “Le foreste”, ma pesano sull’umore dei due innamorati l’ostilità della famiglia di lei e le difficoltà finanziarie. Le lettere “ottajanesi” a Barbara Leoni, di cui la Gravina prendeva il posto, e a Georges Hérelle, che stava traducendo in francese il romanzo di D’Annunzio “L’Innocente”. Felicita Gallone, ultima, splendida principessa di Ottajano.
La notizia che martedì 24 luglio Raffaele Urraro presenterà a Ottaviano il suo libro sul soggiorno di D’ Annunzio nel Palazzo Medici mi ha spinto a rileggere le pagine che allo stesso tema dedicò, nel 2006, la studiosa ottavianese Clara Borrelli. Il saggio, pubblicato in volume dall’Università “L’Orientale”, in cui la prof.ssa Borrelli tiene cattedra di letteratura italiana, ha il corredo di una bibliografia ampia, articolata, di vasto respiro, in cui vengono citati anche i contributi di Francesco D’Ascoli e di Raffaele Mezza, e si dà il dovuto risalto all’articolo in cui Francesco Cangiullo parlò del soggiorno ottajanese di D’ Annunzio e che venne pubblicato sul”Roma” il 3 gennaio del 1938. Francesco Cangiullo, geniale protagonista del futurismo napoletano, appartenne a quella comitiva di musicisti e di scrittori che frequentarono il Vesuviano e Ottajano negli anni della “Belle ‘Epoque”, e nel primo dopoguerra, sollecitati dal fascino dei luoghi, dall’ ospitalità e dai conviti di famiglie importanti. Nel 1913 Cangiullo, invitato dagli Scudieri, partecipò a Ottajano a una gara podistica, organizzata dai giovani del Circolo che poi sarebbe stato intitolato a Armando Diaz.
D’Annunzio viene a Ottajano il 14 ottobre del 1892, accompagnato dalla nuova “amica” Maria Gravina: Felicita Gallone, ultima principessa di Ottajano, ha messo a disposizione dei due il palazzo Medici. Felicita, donna di grande classe e di raffinati entusiasmi, fa in modo che la Casa dei Medici di Ottajano non concluda la sua importante storia nel segno della scialba figura dell’ultimo principe, Giuseppe,suo marito. La principessa si interessa di musica e di teatro, ha salde relazioni con le cantanti, con i musicisti e con i giornalisti che “girano” intorno al giornale “La Tavola Rotonda”, diretto da Gaetano Miranda, è amica di Scarfoglio e della Serao. E forse è proprio la Serao a chiederle di ospitare, e di “nascondere” D’ Annunzio e la Gravina nel palazzo ottajanese: nasconderli a chi era ostile alla loro relazione, e a qualche ossessivo creditore. Ricorda la Borrelli che fu Francesco Cangiullo a raccontare che la principessa di Ottajano presentava il poeta come Andrea Sperelli e che solo dopo qualche tempo venne rivelata agli Ottajanesi l’identità vera del gentiluomo e dell’elegante signora che l’accompagnava. La prof.ssa Borrelli divide le lettere “ottajanesi” di D’ Annunzio in tre sezioni. La sezione più importante è costituita dalle cinque lettere che il poeta scrive a Georges Hérelle, che stava traducendo in francese il suo romanzo “L’ Innocente”: le lettere “ottajanesi” al traduttore d’oltralpe illustrano le idee del poeta pescarese sulla funzione e sulle tecniche della traduzione, e confermano che gravi sono le difficoltà economiche che angustiano la coppia. Due sono le lettere che D’ Annunzio scrive da Ottajano a Barbara Leoni, una il 3 e l’altra il15 novembre: solo due, ma fondamentali nella biografia dannunziana, perché dimostrano quanto sia stato difficile per il poeta trovare le parole adatte per spiegare alla Leoni che la loro relazione è finita e che Maria Gravina ha preso il suo posto. “Sono in un tale stato di umiliazione e di sofferenza – scrive il Vate nella lettera del 3 novembre – che, avendo dovuto rinunziare a tante dolci cose amate, ho rinunziato anche alla tua confidenza un tempo così consolatrice….sono qui come un fuggiasco…qui vivo miseramente, sono poverissimo…Ti ho detto quasi tutto come alla sorella.. in tutto questo tempo, intanto, ora non è passata che io non abbia pensato a te con amore e con infinito rimpianto, sicuro di averti perduta…”. Anche in questa lettera D’Annunzio dimostra che la lingua nostra, sapientemente maneggiata, riesce a dire, contemporaneamente, tutto e il contrario di tutto.
Questa straordinaria lettera conferma, inoltre, la validità dell’idea di alcuni studiosi, e in particolare del Pupino, che D’ Annunzio si servisse delle lettere come “registri di scrittura”: la Borrelli, che usa questa espressione, ricorda che D’ Annunzio, preparandosi a comporre i versi del primo dei “Canti d’Autunno” “Foreste bionde / come donne bionde / e taciturne…ne l’aria vaporata” proponeva a Raffaele Cola una breve passeggiata scrivendogli un bigliettino di intensa sostanza lirica: “Potremmo oggi andare su l’ali di Zefiro svolazzando per la campagna vaporosa?” E’ questo il più importante dei biglietti della terza sezione, quelli inviati ai fratelli Raffaele e Pasquale Cola, produttori di vini pregiati, che in assenza dei principi Medici si prendevano cura della coppia. In una lettera a Barbara Leoni Ottajano è un paese “solitario alle falde della montagna di Somma, un paese piccolo senza alcuna comodità, senza un albergo, senza nulla”. Ma nelle lettere ad Hérelle e nei biglietti inviati ai Cola si manifesta “l’attenzione alla dolcezza del clima di Ottaviano, ormai in pieno tempo di vendemmia” (Borrelli). “ Qui è una dolcissima estate di San Martino” scrive D’Annunzio al traduttore francese nella lettera del 9 novembre: ma la bellezza del paesaggio ottavianese è trasfigurata, per la magia dell’arte, nel “canto” “Le foreste”: “ Foreste bionde come donne bionde, /e taciturne, verso i grandi cieli /sognano, ove la nuvola diffonde lenta i suoi veli….ne l’aria vaporata che è sì morta / che non da ramo foglia al suolo cade, / sì che varcata sembrami la porta /aver de l’Ade”.
Forse qualcuno parlò a D’Annunzio del misterioso fiume Veseri, che, secondo la leggenda, continua a scorrere all’interno della terra ottajanese, nascosto dalle lave del Vesuvio e dai secoli. D’Ascoli credeva che non fosse leggenda, ma verità storica, e ne raccontò le vicende in un saggio stampato nel 1945. La Borrelli cita il saggio di D’Ascoli e osserva che la presenza invisibile del Veseri dà a D’Annunzio “ l’impressione di aver varcato la porta del regno dei morti e di trovarsi sulle sponde del fiume leteo, il fiume della dimenticanza.”.
Ma D’Annunzio non dimentica il valore dei numeri nella lettera “ottajanese” ad Hérelle in cui discute delle percentuali “imposte” dagli editori francesi: alla fine, egli segue il consiglio del traduttore di accettare le proposte dell’editore Calmann “ sans trop chicaner”, “senza cavillare”: “ E io accetto. Bisognerebbe però che Calmann almeno pagasse subito le prime 700 lire, senza farci aspettare indefinitamente.”. Genio del sogno, genio del realismo….



