Quella che raccontiamo è la storia di Filippo, lasciato fuori alla porta della banca a causa della sua protesi che “beffarda”, faceva scattare l’allarme.
Filippo Nappo ha 51 anni, e da una vita, ormai, presta servizio presso le ferrovie dello stato. Ebbene sì, i treni. Quegli affascinanti mezzi che hanno segnato la modernizzazione dell’umanità, e che ancora oggi, nell’immaginario dei bambini, rappresentano fantasie e divertimenti. Ma per Filippo, questi giganti su rotaie, sono stati sia croce che delizia. Nel lontano 1984, mentre una parte dell’Italia piangeva ancora per la morte di Enrico Berlinguer, il nostro amico Filippo restava vittima di un grave incidente sul lavoro, riportando la mutilazione della gamba destra. Da quell’infausto giorno, Filippo è portatore di protesi e dichiarato invalido del lavoro dagli enti competenti.
La storia che vi racconterò, però, risale ai giorni nostri, più precisamente al 28 settembre scorso. Quando in compagnia di Anita, la sua giovane figlia, Filippo si reca presso il Banco di Napoli in via Antonio d’Auria. Lui, così come la maggior parte dei ferrovieri, è correntista da oltre un trentennio presso la filiale di Napoli centrale. Quel pomeriggio Filippo avrebbe dovuto sbrigare una faccenda di poco conto, dieci minuti al massimo e ne sarebbe venuto pure fuori. Ecco, ne sarebbe venuto pure fuori se fosse riuscito almeno ad entrarci, in quella banca. Cosa è successo? Ci arriviamo subito.
Come accennato, Filippo è portatore di protesi, quindi gran parte del suo arto sostitutivo è composto di porzioni in metallo, componenti che all’interno del sistema elettronico di sicurezza provocano non poca confusione. Tutto ciò, però, non scompone affatto Filippo, che come tutti noi disabili, a certe faccende è ormai abituato, e sa come districarsi. É così che senza perdersi in chiacchiere e coraggio, il nostro caro ferroviere estrae il tesserino di mutilato del lavoro, chiarendo, tramite il vetro che lo vede relegato all’esterno, di essere disabile amputato, per questo motivo la scarsa arguzia del metal detector viene messa a dura prova.
Intanto i dipendenti chiamano il direttore, il quale, accorso alla porta, pare infischiarsene delle spiegazioni di Filippo. L’assurdo, però, prende il vero sopravvento quando anche la guardia giurata, preposta a vigilare dall’esterno sugli interessi dei correntisti e pertanto pure dello stesso Filippo, prende le parti del nostro amico spiegando che il problema in effetti sta proprio lì, nella gamba. Ed è chiaro che lui, stando di fianco a Filippo, non ravvede nessuna condizione di pericolo. Anzi, “fatelo entrare” grida l’agente, ma il direttore, sornione e dall’espressione fiera di quanto stia facendo, gli continua a rifiutare l’ingresso.
Nel frattempo, vengono chiamati anche i Carabinieri, ma cosa vuoi che si scomodino i nostri tutori della legge quando a chiamare è soltanto un povero Cristo handicappato. Avranno sparatorie ben più serie da contenere, loro (questo pensiero è di chi scrive). Tant’è vero che dopo mezzora e passa d’attesa, Filippo li richiama cortesemente per disdire il loro “comodo” intervento. La situazione si è fatta velocemente surreale e grottesca, ed ha raggruppato il solito capannello di curiosi che di certo non mettono Filippo in una condizione dignitosa dovendosi beccare pure un trattenuto vociare fatto di puerile pietà.
A questo punto a filippo Nappo e sua figlia Anita non resta altra scelta che andarsene con l’amarezza di un pomeriggio fatto di umiliazioni e sconfitte. Di essere stato vittima dell’incompetenza di chi, nella triste convinzione della sua onnipotenza professionale, ha calpestato e negato i diritti di un uomo che, grazie anche alle commissioni prelevate dal suo conto corrente, gli paga ad ogni fine mese un lauto stipendio. Questa che vi ho raccontato è una storia davvero sconcertante, che lascia in me una profonda tristezza. Quando la mail di Filippo è giunta nella nostra casella di posta elettronica, nel leggerla, ho rivissuto un episodio di parecchi anni fa, quando anche io, allora correntista del Banco di Roma sito in piazza monumento, fui lasciato alla porta in più di un’occasione. Ricordo che all’epoca, forse spinto più dall’impulsività giovanile che da una ben più utile riflessività, risolsi il tutto in modo rapido e diretto: chiusi il conto e portai i miei soldi altrove.
Ed è per questo che la vicenda di Filippo, affiancata alla mia, lascia intendere che forse, a Sant’Anastasia, all’interno della categoria dei direttori di Banca, sussiste più di un problema. C’è forse la scarsa propensione umana, e poi professionale, nel rapportarsi con i clienti, in particolare con le esigenze di coloro che preferisco definire “speciali”. Il mio personale auspicio, alla lettura di queste righe, si rivolge in particolare alla politica locale, affinché questa ne produca quantomeno un’interrogazione consiliare, siccome loro, nei tanti comizi tenuti e nei programmi elettorali che presentano, si fregiano, a destra quanto a sinistra, come paladini assoluti dei diritti dei disabili.
Inoltre, invito Filippo a non chiudere qui la faccenda, ma ad armarsi di carta e penna (in questo sarebbe mio piacere aiutarlo) e fare un esposto alla sede centrale del Banco di Napoli, chiedendo una presa di posizione chiara ed ufficiale in merito. Quanto meno delle scuse.
E dico quanto meno perché in base alla convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità, all’articolo primo, viene chiaramente ribadito "Promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità". E se pure questo non bastasse, ecco qui la legge quadro 104/92 vigente in Italia, che all’articolo 23 prevede, senza minimi termini: chiunque, nell’esercizio delle attività di cui all’articolo 5, primo comma, della legge 17 maggio 1983, n. 217 (attività ricettive n.d.a.), o di altri pubblici esercizi, discrimina persone handicappate è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire un milione a lire dieci milioni e con la chiusura dell’esercizio da uno a sei mesi.
A sostegno di quanto ho già segnalato, assume un valore essenziale la legge 67/2006, che titola: "Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni". Ciò vuol dire che, ai sensi della suddetta legge, si ha discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. E tralascio, volutamente, il fatto che la Banca non sia attrezzata strutturalmente con un ingresso disabili, perché questo tirerebbe in ballo, per legge, anche i progettisti e i funzionari comunali che hanno avallato l’agibilità al pubblico. Come si evince quindi da tutte le leggi che ho elencato, trovo grave, quasi alla pari del comportamento di quel direttore, il non intervento dei Carabinieri, perché vi erano tutti i presupposti per una denuncia.
Insomma, trovare il modo giusto per concludere questo articolo risulta decisamente difficile, perché rimane in bocca quel retrogusto amarognolo che sa di sconfitta. Eppure non è così. Vogliamo che non sia così. Allora preferiamo pensare che questa sia stata soltanto una parentesi buia nella splendida vita di Filippo, che da ottimo padre di famiglia, malgrado l’ignoranza di un singolo, continuerà sereno per la sua strada. Continuerà a camminare a testa alta, lui, vivendo a pieno le sue passioni raccogliendo la stima di chi gli è, e sempre resterà, ogni giorno accanto.
Continuate a scrivere alla nostra casella di posta, abbiamo tutta l’intenzione di raccogliere la vostra indignazione (mobasta2012@gmail.com)
(Fonte foto: Rete Internet)


