Le regionali sono alle porte, per dare fiducia bastano due cose: leggere la storia del candidato e guardare bene la sua faccia.
Caro Direttore,
ho avuto il privilegio di assistere alla proiezione di un bellissimo film, “L”uomo che verrà”; emozionante, coinvolgente, lirico. Incancellabili quei fotogrammi finali nei quali la piccola Martina, vittima inconsapevole di uno choc subito nell”infanzia, riacquista improvvisamente la parola e canta una nenia per il suo fratellino, neonato, scampato alla morte in divisa nazista. Quel fagottino di pochi giorni, affamato di latte e di affetto, è l”uomo che verrà. Un uomo sfuggito alle barbarie della guerra, alle violenze dei tedeschi in fuga, alle insidie del freddo autunno in un piccolo agglomerato nei pressi di Marzabotto, sul Monte Sole. Un uomo che rende ragione alla speranza, alla fiducia!
Come dicevano i nostri padri? “Spes ultima dea!” Per i latini, speratus e sperata erano il fidanzato e la fidanzata: la persona con la quale si sperava (e si spera) di vivere (congiungersi) un giorno e per tutta la vita. La spes latina era, innanzitutto, fiducia, auspicio. Anche l”anello matrimoniale si chiama fede non in quanto simbolo di un contratto, di un patto, ma in quanto simbolo di fiducia richiesta, riversata e condivisa in un”altra persona. Per cui la speranza non può essere un desiderio o la realizzazione di un sogno. “Il tempo presente è gramo anche e (soprattutto?) per questo: tende a ridurre la speranza semplicemente a illusione, chimera, sogno irrealizzabile, miraggio. Il contrario del suo significato profondo, la negazione della carica trasformatrice che contiene, porta con sè e protende in avanti”. (Mario Capanna, “Speranze”, Rizzoli, 1994).
È possibile, Direttore, che, oggi, si sia persa la speranza? Ovunque ti giri, sfracelli. L”altro giorno è stato inaugurato l”anno giudiziario e si è visto com”è andata. Se si parla di moralità, si è derisi; se si pronuncia la parola “etica”, si è presi per vecchi pazzi. Sì, perchè, bisogna essere avanti negli anni e fuori di testa –secondo la vulgata corrente- per parlare di etica. Dei miei tempi del liceo ricordo una versione di greco, tratta da Plutarco.
Riguardava l”ostracismo che aveva colpito l”eminente politico ateniese, Aristide, nel 482 a. C. “Mentre tutti stavano scrivendo il nome sui cocci, si racconta che un tizio, il quale non sapeva scrivere ed era un villano fatto e finito, consegnò il suo coccio ad Aristide, credendo che fosse il primo venuto, e gli chiese per piacere di scrivere il nome di Aristide. Questi, stupito, domandò all”uomo se Aristide gli avesse fatto qualche torto. “Nessuno”, rispose l”altro, “io non lo conosco nemmeno. Ma sono stufo di sentir ripetere dappertutto che è un uomo giusto”. Aristide ascoltò e non replicò niente: scrisse sul coccio il proprio nome e lo restituì”. Invidia, gelosia, rancore, miserie umane, superficialità o altro? Tutto il mondo è paese, ovunque ed in ogni tempo.
Ma il sistema (l”insieme di elementi in stretto rapporto fra loro, destinati a determinati scopi e finalità) va così; è come un treno in corsa, è inimmaginabile tentare di fermarlo. Sembra il ritornello di una canzone alla moda: la politica non funziona e i politici non sono all”altezza (o concussi o indagati)? Non c”è niente da fare, è il sistema! Gli extracomunitari sono banditi e gli anziani emarginati? Che si può fare di più? È il sistema! Bisogna pagare una mazzetta per aver qualcosa che spetta di diritto? Che dire? È il sistema! Insomma, il sistema è diventato un termine passepartout: una parolina magica che ci fa accedere ovunque, ci spiega tutto, ci giustifica i comportamenti più impensabili.
Ora che le elezioni regionali sono alle porte, girano molti candidati e molte famiglie di candidati, che, fino a qualche giorno fa, militavano in altri schieramenti. Chiedono voti in nome di una presunta loro coerenza; quasi ti spiegano che il sistema ha cambiato i partiti e le ideologie che li hanno ispirati. Tutto cambia in nome del vantaggio. Solo questi poveri candidati (che in tutti i paesi del mondo sarebbero chiamati trasformisti, tranne che da noi), nella loro coerenza, si son trovati a dover cambiare schieramento.
Così dei sedicenti uomini di sinistra (in nome del potere) si trovano candidati nelle liste di destra come, anni prima, dei sedicenti uomini di destra si trovarono candidati nelle liste di sinistra. Una volta, uno divenne ministro, un”altra volta, l”altro assunse la presidenza di un prestigioso ente. Così che l”uno e l”altro dissero che lo facevano in nome della governabilità, dello spirito di servizio, dell”abnegazione ed altre astruserie simili. È vero, nella politica il fine giustifica i mezzi; ma c”è anche bisogno di una chiarezza, di una sintonia tra i mezzi e i fini.
Caro Direttore, siamo alla frutta. Qualcuno dirà –come da prassi- che è colpa del sistema. Ma io non ci sto. Contesto con veemenza questo modo di vivere e di pensare. E credo che così dovrebbero fare tutte le persone oneste ed intelligenti (intus legere= leggere dentro). Si racconta che il grande filosofo Ludovico Geymonat, in un incontro con degli studenti, abbia detto: “Contestate e create; non cadete dalla contestazione nello scetticismo; mettete sempre in discussione le conquiste di un”epoca dall”epoca successiva. È bene non dimenticare mai che la storia delle idee è storia di lotte e di conquiste, di contestazioni e di creazioni. E, dunque, l”idea di contestazione e quella di creazione camminano appaiate”.
Non ricordo chi abbia detto (certamente l”ho letto da qualche parte) che “Ci sono persone la cui faccia è la cosa più indecente di tutto il corpo”. Questa massima mi è tornata alla mente, vedendo i primi manifesti elettorali. Volti sorridenti, falsamente suadenti, oranti, preoccupati, intriganti, sensuali, ammiccanti. Volti indecenti. Volti da culo e da paraculo. Per l”ennesima volta, Direttore, abbiamo una potentissima armi tra le mani: il voto. Se non lo svendiamo o non lo barattiamo, possiamo avere la speranza concreta –nel senso che possiamo riporre la fiducia in noi stessi e in qualcuno che la pensa come noi- che qualcosa cambi davvero. Cercando di eliminare, ovviamente, le contaminazioni del sistema!
I latini erano soliti dire: stultum est dicere “putabam” (è da stolti scusarsi dicendo: “io credevo”). A che servirebbe, perciò, ripetere, in caso di reiterati nostri comportamenti, discendenti da un sistema malato-corrotto-magmatico-acrititco ma, comunque, emendabile: credevo fosse una persona perbene:; credevo volesse fare qualcosa per il paese:; credevo che il suo senso civico:; credevo che la sua educazione:
Basta ricordarsi (ricorrendo ancora al latino) che: “cucullus non facit monachum” (il cappuccio non fa il monaco)!