La crisi che attanaglia la città capoluogo sembra non risparmiare nulla. Prendiamo spunto da un articolo di Antonio Palma, sul rapporto tra intellettuali e politica, per avviare una riflessione. Di Carmine Cimmino
Grande è stato il coraggio di Antonio Palma, che sul Corriere del Mezzogiorno ha riaperto la questione del rapporto tra intellettuali e politica a Napoli: un gigantesco imbroglio in cui si aggrovigliano tre garbugli: la fluidità dello status di intellettuale; il caos della politica; il caos di Napoli. L’argomento non può essere trattato attraverso astratti furori: la situazione merita la concretezza delle cose, dei fatti, delle persone: bisogna parlare di questa Napoli e di questi intellettuali.
Certo, sarebbero utili l’occhio e la matita di George Grosz: ma la dismisura del paradosso di Napoli è tale che da sola compensa anche l’inadeguatezza dello sguardo e della penna.
Vedete cosa è successo a Roberto Saviano: prima l’hanno messo sull’altare, poi hanno incominciato a punzecchiarlo con i se, i ma, i però, infine lo hanno bersagliato, soprattutto da sinistra, con le solite frecce: “eroe di carta, banale populista, strumentale alla destra populista, rockstar dell’anno”. Lo hanno accusato, perfino, di essersi limitato a fare i nomi di conosciutissimi boss. Avrebbe dovuto inventarne qualcuno: per amor di novità.
A ben vedere, lo ha trattato meglio il Presidente del Consiglio: nel rimproverargli di ledere, con i suoi scritti, l’immagine dell’Italia, ha almeno riconosciuto che lo scrittore gode, all’estero, di un certo prestigio. Saviano ha detto, in televisione, che le associazioni criminali del Sud hanno dépendances anche in Padania. I Padani si sono incazzati: prima di tutto, perché il Nord è lindo, smacchiato e sgrassato, terso e trasparente, e poi perché se proprio fosse costretto a dotarsi di una criminalità organizzata, non andrebbe certo a procurarsela tra i terroni: se la costruirebbe di pura razza celtica e nordista: non gli mancano, al Nord, né le tecnologie né i materiali.
Scrisse Sciascia in A ciascuno il suo: “Il fatto è che l’Italia è un così felice Paese che quando si cominciano a combattere le mafie vernacole vuol dire che già se ne è stabilita una in lingua… Ho visto qualcosa di simile quarant’anni fa: ed è vero che un fatto, nella grande e nella piccola storia, se si ripete ha carattere di farsa, mentre nel primo verificarsi è tragedia; ma io sono ugualmente inquieto”. Era il 1966. In una delle inquisizioni inserite in Altre inquisizioni Borges scrive: “l’attualità incandescente che ci esaspera o esalta e con frequenza ci schiaccia, non è altro che una riverberazione imperfetta di vecchie discussioni…Il vero intellettuale rifugge i dibattiti contemporanei: la realtà è sempre anacronistica”.
Sono due diversi commenti alla stessa verità. L’intellettuale ha forse solo il compito di collegare i cavi della tensione del presente a quelli del recente passato: anche a costo di farsi friggere e fulminare dalle scariche elettriche.
Tiro fuori dall’archivio il Corriere del Mezzogiorno dell’11 e del 13 luglio 2008. L’11 luglio crolla un palazzo fatiscente ai Quartieri Spagnoli: si scopre che il palazzo scricchiolava da venti anni; si scopre anche che un boss vi aveva acquistato alcuni appartamenti da ristrutturare. Erri De Luca, lo scrittore, su cui torneremo anche nel prossimo articolo, non fa mancare la sua riflessione sul disastro: “Crollano, le case crollano, cadono anche senza nessuna spinta. Diciamo che quello che è successo è un terremoto formato francobollo”. Anche Ermanno Rea interviene: il vero rischio è la modernizzazione, dice lo scrittore, preoccupato dal pericolo che con la scusa del consolidamento e della ristrutturazione i palazzinari calino come avvoltoi sulle fatiscenze dei Quartieri.
Su De Luca e su Rea cala, due giorni dopo, l’ira di Paolo Macry, affidata a un articolo di fondo il cui titolo è Intellettuali antipopolari. (Corriere del Mezzogiorno, 13 luglio 2008). A De Luca, e alla sindaca di Napoli, Macry rimprovera il vezzo, chiamiamolo così, di dar la colpa di tutto alla natura maligna e alla malasorte. “E passi per la sindaca, che qualche colpa da scrollarsi di dosso ce l’ha, ma le parole del corrusco De Luca riaprono la polverosa questione del ruolo che hanno a Napoli gli intellettuali, le menti critiche, i notabili della cultura o come altro si voglia chiamarli. Sono svagati, cinici, indifferenti al nodo delle responsabilità? O piuttosto sono allergici a quelle donne così poco estetizzanti che inveiscono tra le macerie di tufo?“.
A Ermanno Rea, che non chiede l’urgente bonifica dei Quartieri, che non reclama la galera per chi manda i muratori ucraini a rischiare la vita per pochi euro, Macry ricorda che i Quartieri sono stati degradati e spopolati da una modernizzazione sui generis, che li ha incatenati al loro destino plebeo. La riflessione che chiude il pezzo sibila come una scudisciata: “È questo l’immoralismo popolare dei Grandi Vesuviani. Mentre l’inefficienza delle autorità pubbliche preparava i disastri, hanno taciuto, e ora che le magagne vengono a galla, se la prendono con la natura imperscrutabile o con la rapace modernità…”.
Tre intellettuali insigni, tre idee di Napoli che non hanno nessun punto in comune, nemmeno in premessa. Nella stessa prima pagina, per la rubrica Il tempo e le idee, Giuseppe Galasso scrive che al Nord “la credibilità di Napoli e di tutto il Sud è ormai ai minimi storici. Inaffidabili e inette appaiono sia le loro classi dirigenti e politico- amministrative che l’intera società meridionale.“. In questa prima pagina del Corriere del Mezzogiorno il titolo di apertura è: Diciassette anni, muore sul lavoro. Apprendista cade da un palazzo mentre monta un condizionatore. La vittima era di Scampia: suo padre stava in carcere, e lui aveva deciso “di non andare a spacciare droga in una delle tante piazze del quartiere, ma di lavorare”. Sotto la fotografia del palazzo da cui il diciassettenne è caduto c’è la notizia che il governatore Antonio Bassolino ha esortato i manager della sanità pubblica a riflettere su quanto sia inopportuno aumentarsi gli stipendi.
Richiamo la vostra attenzione sulla coda riflessiva del verbo aumentarsi.Cosa era successo ? Lo vedremo nella prossima puntata. Può sembrare che il caso abbia voluto concentrare tra l’11 e il 13 luglio 2008 eventi notevoli, tali da compendiare in 56 ore, e in poche pagine di giornale, tutte la sostanza della storia recente di Napoli. E invece non è così. Non c’è giorno in cui Napoli non esprima (dovrei dire, non comprima) tutta sé stessa in un fatto, in un gesto, in una frase. Prendete un quotidiano qualsiasi di un giorno qualsiasi: passeggiate tra i titoli guardandovi intorno con sguardo chiaro e disincantato. Ogni numero di giornale è un compendio esauriente del sistema della città.
La storia di Napoli è una pista fatta di due, tre cerchi concentrici. Forse Napoli ha (aveva) bisogno di intellettuali che sappiano (che sapessero) costruire strade diritte, strade che vanno in avanti, che portano da qualche parte. Una parte qualsiasi, a patto che sia (che fosse) nuova e inesplorata. (1. continua)
(Foto: Acquerello di George Grosz, Republica Automatons, del 1920)