LA DURA REALTÁ DEI TRANSESSUALI NELLE CARCERI ITALIANE

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    Il detenuto transessuale è il più delle volte uno straniero, formalmente e legalmente di sesso maschile, privo del permesso di soggiorno, costretto a vivere la carcerazione in misura isolata ed afflittiva. Di Simona Carandente

    Le problematiche della popolazione penitenziaria, intesa in senso lato, sono talmente multiformi e variegate da potersi ricondurre a categorie concettuali con estrema difficoltà: il sovraffollamento, le difficoltà della gestione, la mancanza di personale non sono che i tasti dolenti più noti del sistema carcere, che cela al proprio interno situazioni talvolta inimmaginabili o comunque difficilmente comprensibili ai più.

    La privazione della libertà, già di per sé dolorosa e fonte di sofferenza per qualsiasi essere umano, in taluni casi può essere vissuta in misura ancor più afflittiva, a seconda delle particolari condizioni personali o sociali del soggetto recluso: è il caso, ad esempio, dei detenuti transessuali, tristemente emarginati nella società civile così come nel duro microcosmo del carcere. Attualmente in Italia i detenuti transessuali sono quasi duecento, sparsi per le carceri italiane, con picchi in quelle di Napoli, Roma, Firenze e Belluno, stranieri per la quasi totalità dei casi, destinati a scontare la propria pena in sezioni ad hoc dei singoli penitenziari, alla stregua di soggetti quali i collaboratori di giustizia ed i responsabili di reati di pedofilia.

    Tale forma di emarginazione trova la sua ratio nella necessità, facilmente intuibile ma non condivisibile, di salvaguardare soggetti “deboli” rispetto alla stessa popolazione detenuta, forgiata dalla lunga carcerazione subìta ed orientata, in un vasto numero di casi, a comportamenti di natura vessatoria e/o prevaricatoria. Il detenuto transessuale è il più delle volte uno straniero, formalmente e legalmente di sesso maschile, privo del permesso di soggiorno e nell’impossibilità di ottenerlo, privo di legami con la popolazione detenuta e con la propria famiglia di origine, costretto a vivere la propria carcerazione in misura pressoché isolata ed ulteriormente afflittiva.

    Tali difficoltà si riflettono, ad esempio, sulle questioni pratiche connesse alla detenzione: il legame sentimentale del detenuto transessuale non ha alcuna rilevanza per la legge, ed il proprio compagno o compagna non verrà mai riconosciuto come tale ed ammesso a fare colloqui; le misure alternative alla detenzione non trovano applicazione, volta l’impossibilità di reperire domicili idonei o aiuti esterni; il tasso di suicidio di tali soggetto è a dir poco altissimo, con tassi percentuali di gran lunga superiori a quelli dei detenuti “normali”.

    Nel gennaio 2010 si profilò la concreta ipotesi di trasformare la casa circondariale di Empoli (foto), già carcere esclusivamente femminile, in penitenziario riservato ai soggetti transessuali, nel tentativo di non ghettizzarli e poter rendere concreto, oltre che agevolmente fruibile, il trattamento penitenziario stesso. La struttura, dotata di una sala per dipingere, un’altra per la musica, una biblioteca ed un cortile all’aperto, si prestava allo scopo per dotazioni e logistica, nel tentativo di fornire una risposta efficace e concreta ad un problema delicato, più volte affrontato in sede governativa e necessitante di una risoluzione nelle alte sfere.

    Allo stato attuale, purtroppo, il progetto di legge appare sfumato, a fronte dell’incessante aumento della popolazione transessuale detenuta, in attesa di soluzioni più radicali e comunque definitive. (mail: simonacara@libero.it)
    (Fonte foto: Rete Internet)

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