LA CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE : VERA “EXTREMA RATIO”?

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    È quanto mai attuale il tema del sovraffollamento delle carceri. Sulla detenzione, però, nonostante le recenti misure del Governo, l”ultima parola spetta sempre al magistrato. Di Simona Carandente

    Tema scottante e vero e proprio leitmotiv dell’anno appena trascorso, quello del sovraffollamento carcerario si presenta già come vero e proprio tormentone del 2012, al punto tale da indurre il nuovo governo, già dai primi esordi, ad emanare misure urgenti volte a contrastarne la portata dirompente. Con il decreto legge 211/11, viene di fatto ad essere ampliata la portata applicativa della cd. "svuota carceri", prevedendo un tetto ben più ampio (complessivi 18 mesi) di pena detentiva da poter scontare presso il proprio domicilio, laddove ricorrano le condizioni e sussistano i requisiti previsti dalla legge.

    Nel tentativo di snellire la grave situazione carceraria italiana si è cercato, nelle more dell’emanazione di una presunta amnistia, di introdurre strumenti di natura deflattiva, volti a far si che la custodia in carcere si applichi, quantomeno per i detenuti cosiddetti "definitivi", solo nei casi più gravi e per reati specificamente previsti. L’esperienza delle aule di giustizia, tuttavia, dimostra che non basta un singolo provvedimento legislativo a risolvere il problema: non dimentichiamoci, difatti, che l’ultima parola in tema di detenzione è rimessa sempre e comunque al magistrato ed alle sue valutazioni, sia in fase cautelare che di sorveglianza.

    Sempre al magistrato spetta il difficile compito di applicare la custodia cautelare in carcere solo in via residuale, laddove tutte le altre misure si rivelino inadeguate rispetto al concreto pericolo di reiterazione di ulteriori condotte delittuose: non dimentichiamoci, difatti, che il codice di rito prevede un vasto novero di misure, dall’obbligo di presentazione alla P.G. al divieto ed obbligo di dimora, fino agli arresti domiciliari, idonei a seconda dei casi a tutelare la collettività e contenere il rischio di recidive.

    Qualche giorno fa, una donna si presentava innanzi al legale affinchè assumesse la difesa del proprio marito, arrestato perché in possesso di cento grammi di sostanza stupefacente, del tipo marijuana, all’interno della propria abitazione. Al giovane veniva contestata la finalità di spaccio di detta sostanza, avendo peraltro rinvenuto uno strumentario rudimentale (comune cellophane da cucina) per il confezionamento della stessa. All’esito dell’udienza di convalida, il giudice per le indagini preliminari applicava al giovane la misura custodiale carceraria, sull’assunto della concreta pericolosità sociale dell’indagato, in uno all’esistenza di una pregressa condanna per evasione, ritenuta ostativa alla concessione degli arresti domiciliari.

    Solo successivamente il tribunale per il riesame, accogliendo le doglianze difensive, sostituiva la misura carceraria con quella dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, ritenendo correttamente tale misura adeguata e proporzionata ai fatti commessi, dando prova di estremo equilibrio nella valutazione della posizione del giovane e delle motivazioni connesse al reato commesso. (mail: simonacara@libero.it)
    (Fonte foto: Rete Internet)

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