Attraverso il percorso espositivo voluto dal critico Achille Bonito Oliva la straordinaria certosa di Padula si è fatta promotrice delle vicende dell”arte contemporanea, divenendo straordinario museo sui-generis.
Sono dieci. Esattamente dieci gli anni che sono trascorsi dal momento in cui Achille Bonito Oliva, guru propiziatore di esperienze artistiche che hanno profondamente segnato la scena dell’arte contemporanea, incontra, all’apice di una carriera pluriennale di critico stimato ed apprezzatissimo, la Certosa di Padula (foto).
Un ritorno a casa, in realtà , per lo studioso d’origine salernitana, che assume i contorni della love story; una fascinazione che nel 2001 si formalizza in un intervento capace di ri-valorizzare quel luogo mistico e storico insieme. Il meraviglioso complesso monumentale venne fondato intorno al 1306 per volontà del marchese Tommaso Sanseverino. Suddiviso in due grandi aree, quella cenobitica, comprendente gli ambienti di servizio dove i conversi svolgevano le attività necessarie alla sopravvivenza del monastero, e quella eremitica, costituita dal Chiostro grande con le celle dei monaci, la gigantesca struttura (estesa su una superficie di oltre cinquantamila metri quadri) raggiunse il suo splendore in epoca barocca e conobbe una progressiva decadenza nei secoli successivi, quando venne adibita agli usi più disparati (da carcere a lazzaretto).
Negli ultimi decenni del secolo scorso, oculati interventi di restauro ripristinavano il valore plurisecolare del monastero, sottraendolo al degrado e all’incuria. Lo scenario è dunque dei più suggestivi per innescare il felice “corto-circuito” tante volte sperimentato nell’arte contemporanea, con i suoi rimandi simbolici, i suoi molteplici e spesso enigmatici significati, investita dall’aura sacrale e legittimante di un luogo depositario di tanta storia. La definizione del nuovo ruolo, la nuova vocazione “contemporanea” della Certosa è definita dalle mostre “Le Opere e i Giorni” e “ Ortus Artis”, che a distanza di anni sono di fatto entrate di diritto nei manuali universitari di storia dell’arte consacrando il complesso monumentale come una forma di museo d’arte contemporanea sui generis.
Le Opere e i Giorni già nella scelta del nome rimanda all’omonimo poema didascalico del poeta greco Esiodo, in cui veniva celebrato il valore del lavoro, attraverso un ritmo e una struttura lentamente scandite dal trascorrere dei giorni e la realizzazione delle opere umane; lo stesso avviene con il programma artistico di Achille Bonito Oliva per il quale , in considerazione della distanza che separa Padula dai grandi centri dell’arte, si è “per così dire operato d’astuzia, chiamando gli artisti a lavorare sul tempo e non soltanto sullo spazio della Certosa. Non opere precotte, quanto piuttosto lavori che esprimessero un rapporto di continuità , un vissuto tra l’artista e l’architettura della certosa di San Lorenzo”, come sottolinea lo stesso critico.
Il tempo è, ovviamente, quello certosino: un tempo prolungato e cadenzato attraverso le tre tematiche fondanti della spiritualità dell’ordine, su cui hanno lavorato centinaia di artisti: il Verbo, sinonimo di Dio ma inteso anche come linguaggio, il Precetto, ossia la regola che guida l’esperienza del monaco verso la conoscenza, e la Vanitas, riflessione sulla fugacità delle lusinghe mondane. Intorno a questi temi si è sviluppato un articolato progetto culturale che copriva un ventaglio ampio di esperienze artistiche comprendenti pittura, scultura, fotografia, teatro, danza e poesia, ovviamente, valorizzato (e valorizzante allo stesso tempo) dallo sfondo mistico garantito dalla Certosa.
Ogni cella del monastero è diventata dunque, per un momento, l’inusuale atelier dell’artista, per la quale, a seconda del tema, è stata oggetto di un lavoro in situ, divenendo microcosmo d’intervento e laboratorio di idee: Luigi Ontani, ha riproposto l’iconografia dei San Lorenzo in modo giocoso e irriverente, Gilberto Zorio, ha realizzato un ambiente investito da proiezioni ironicamente inneggianti alla grazia, Sol Lewitt, ha segnato le pareti della cella secondo sinuose partiture cromatiche. Così come ciascun artista ha canalizzato la sua ispirazione per vitalizzare gli spazi delle celle, così gli architetti del paesaggio si sono concentrati sui giardini attigui.
Ortus Artis era la sezione oggetto della sperimentazione degli architetti, che contribuirono attraverso i personalissimi interventi al dibattito più attuale sulle problematiche di progettazione e reinterpretazione del paesaggio. Ci fu chi come gli architetti dello studio tedesco “Topotek 1” riportarono il giardino della cella alla sua purezza modulare eliminando ogni “ostacolo vegetale”, creando un effetto disorientante l’osservatore o chi come quelli dello studio olandese “West 8” hanno trasformato lo spazio verde in una distesa fantascientifica di pigne retroilluminate.
Soluzioni ardite, innovative, provocatorie,ironiche, dissacranti; gli aggettivi si sprecano e forse sono anche incapaci di rendere l’intima essenza del tessuto di una serie di interventi messi in essere dagli artisti, lasciati da Achille Bonito Oliva assolutamente liberi di interpretare a modo loro la Certosa, “rifondandola” e conferendogli nuova, vitale linfa “contemporanea”.
(Fonte foto: Rete Internet)


