Nel Seicento convergono a Napoli le tendenze artistiche più alla moda del tempo. La Cappella del Tesoro di San Gennaro, nel duomo della città, è oggi uno dei più spettacolari capolavori del Barocco napoletano.
La Napoli del Seicento fu certamente una delle mete più ambite degli artisti del tempo. Sufficientemente spagnola da garantire ai più meritevoli un successo internazionale, Napoli permise a molti di loro la consacrazione nell’Olimpo dei grandi maestri di tutti i tempi. Guido Reni, Ribera, Domenichino, Lanfranco, per non parlare di Caravaggio e Annibale Carracci, che pure lavorarono a Napoli nei primi anni del secolo, sono solo alcuni dei nomi di maggior rilievo. In città giunsero tanti, tantissimi artisti che, sebbene molti siano oggi sconosciuti al grande pubblico, furono all’epoca tra i migliori del loro tempo. Lo stesso Pietro Bernini operò lungamente in città. Il suo geniale figlio, Gian Lorenzo Bernini, nacque proprio a Napoli il 7 dicembre 1598.
In questo florido clima culturale, alcuni cantieri di quegli anni, come la Certosa di San Martino, assumono, per gli studiosi moderni, particolare rilevanza e uno su tutti, la Cappella del Tesoro di San Gennaro (foto), può giustamente innalzarsi a “summa” del Barocco napoletano. Per quasi un secolo, infatti, la Cappella, eretta all’interno del duomo di Napoli, attirò artisti da ogni parte d’Europa e la sua decorazione, sia plastica che pittorica, si presenta oggi come un capolavoro unico e spettacolare di uno dei secoli più fecondi dell’arte partenopea.
La Cappella del Tesoro, progettata dall’architetto lucano Francesco Grimaldi, che collaborò alla realizzazione della Basilica di Sant’Andrea della Valle a Roma, molto deve allo studio della Cupola michelangiolesca della Basilica di San Pietro che il Grimaldi evidentemente fece nei suoi anni romani. Il pavimento e le decorazioni marmoree sono invece di Cosimo Fanzago, altro grande protagonista della stagione barocca napoletana, mentre le statue maggiori sono da attribuire allo scultore toscano Giuliano Finelli, allievo di Gian Lorenzo Bernini, e collaboratore, nella stessa Cappella, del più anziano Michelangelo Naccherino, originario di Firenze.
Molto più celebri i nomi dei pittori che realizzarono lo straordinario ciclo di affreschi che, ancora oggi, ricopre gran parte della cappella. Domenico Zampieri, detto il Domenichino, vi lavorò tra 1631 e il 1638 ma spettò all’amico-rivale Giovanni Lanfranco completare l’opera, tra il 1641 e il 1643, affrescando il catino della cupola. Sei pale d’altare, sei dipinti su rame, con “Storie della vita di San Gennaro” sono poste lungo le pareti della cappella. Sono tutte opere del Domenichino tranne una, San Gennaro esce illeso della fornace, realizzata da Jusepe de Ribera secondo quello stile “classicista” che contraddistingue sia le opere dello Zampieri che quelle del Lanfranco. L’impatto visivo è eccezionale.
La Cappella del Tesoro di San Gennaro fu inaugurata il 16 dicembre 1646, ma i lavori proseguirono anche durante la seconda metà del Seicento e molti altri artisti contribuirono al suo completamento. Essa si presenta oggi come uno scrigno prezioso in cui sono custodite le reliquie di un santo che si lega indissolubilmente alla sua città. Una città che ha sempre mostrato un rapporto privilegiato con il suo patrono.
Per San Gennaro valeva la pena chiamare a raccolta, nel corso dei secoli, i maestri migliori, nella costante speranza che egli preservasse Napoli da ogni male, allora come adesso, perché ancora oggi il grido “San Gennaro aiutaci tu” si alza forte ed eterno dai vicoli stretti e bui, dalle spiagge e dalle piazze di questa città vulcanica, dolcemente adagiata sul mare.
(Fonte foto: Rete Internet)