“La unità operativa salute mentale di Pomigliano D’Arco e il Centro Ascolto Lavoratori vengono impegnati in dinamiche la cui natura ha sempre lo stesso comune denominatore: la perdita del posto di lavoro”: la riflessione di Daniela Esposito.
La nostra è la società dell’ “usa e getta”. Purtroppo. Soprattutto i mass-media hanno la capacità di “usarti” per qualche giorno, fin quando tiene la notizia, e poi di “gettarti”, quando non gli servi più. E’ capitato anche al nostro amico Antonio Frosolone. Ma io, insieme ad altri amici, continuo a sentirlo, a vederlo, a stargli accanto. Questa vicenda ha insegnato tanto, a ciascuno di noi. Non solo a lui. Insieme al Centro stiamo pensando ad alcune cose, per essere presenti sul territorio e stare vicini alle persone che soffrono e alla ricerca del senso del vivere.
Anche questa settimana, nella mia rubrica, ospito un’altra riflessione. Questa volta di Daniela Esposito, Operatrice Sanitaria (Unità Operativa Salute Mentale e Centro Ascolto Lavoratori) ASL NA 3 Sud Pomigliano D’Arco.
“La crisi economica che colpisce il nostro paese e, in particolar modo, i nostri territori, sta assumendo caratteri inesplorati a cui la scienza medica, seppur supportata da presidi assistenziali variegati e personalizzati, non riesce a dare riscontri adeguati. La unità operativa salute mentale di Pomigliano D’Arco e il Centro Ascolto Lavoratori vengono impegnati e coinvolti, sempre più spesso, in dinamiche la cui natura ha sempre lo stesso comune denominatore: la perdita del posto di lavoro e la paura di perderlo. Questo stato di cose produce una sofferenza subdola, impercettibile, quasi occulta. Una morbosità che, malgrado la grande esperienza maturata in tutti questi anni di lavoro, conosco poco. La stessa attacca in maniera esorbitante l’animo delle persone avvelenando e distruggendo rapidamente la dignità e l’autostima dell’essere umano.
Le ripetute narrazioni pubbliche degli ultimi tempi evidenziano un supplizio che colpisce per le sue apparenze ed esteriorità non solite, per i suoi tratti infimi e ingannevoli. Sono brutte storie, toccanti e commoventi. Chi le racconta vive il malessere e le fragilità delle attuali condizioni sociali, collegate alle problematiche del lavoro, divenute, purtroppo, il dilemma assoluto dei nostri giorni.
Non basta più conoscere e convivere con la sofferenza. Non è più sufficiente avere tutta la professionalità che le situazioni richiedono. Non è proporzionato al bisogno individuare gli strumenti per precisarla, fronteggiarla e attenuarne gli effetti. Non è bastante saper portare sollievo, fiducia e aspettative alle persone che, malauguratamente, hanno la sfortuna di incontrare sul proprio cammino tale avversità.
Le ultime circostanze relative ai nostri luoghi evidenziano delle afflizioni i cui toni, contenuti, sono ricchi di strepiti di dolore che vanno accolti, intesi, uditi, indipendentemente dalle procedure, attraverso le quali, le stesse vengono svelate e rivelate ai vari contesti. Amputare il decoro, la rispettabilità, l’onorabilità e la stima di una persona non dovrebbe essere concesso a niente e nessuno; in particolar modo se tale recisione può provocare e condurre, come già avvenuto nelle nostre città, a delle circostanze gravissime. Auspico che la politica istituzionale preposta voglia uscire, quanto prima, dalla letargia di distacco e freddezza nella quale è precipitata, al fine di poter costruire gli elementi strutturali necessari a dare delle risposte serie a simili drammi. Nel contempo, mi chiedo se tutti noi stiamo facendo il possibile e il necessario per agganciarci al carro del cammino indirizzato verso la partecipazione e l’aspettativa. Voltare il capo dall’altra parte sarebbe un gesto non solo vile, ma imperdonabile”. (Daniela Esposito)