La storia della giovane E., tempestata di calci e pugni da un marito violento. Di Simona Carandente
In questo momento storico, più che mai, si assiste ad una preoccupante ingravescenza dei reati di maltrattamenti, specie a danno di donne o soggetti minorenni, spesso da parte di familiari, coniugi o ex coniugi, legati alle vittime da sentimenti di possesso e rivalsa.
Tuttavia, com’è facilmente intuibile, spesso questi reati, pur nella loro gravità, sono frutto di stati d’animo contingenti, legati a momenti particolari, e proprio per questa loro qualità andrebbero perseguiti nell’immediatezza.
Invece, a causa della lungaggine dei procedimenti giudiziari, si arriva a dibattimento a notevole distanza dalla commissione dei fatti di causa, con enorme pregiudizio per gli interessi delle persone offese del reato, che riescono ad ottenere una giustizia lenta e farraginosa.
Non è infrequente, peraltro, il caso in cui, decorso un certo periodo di tempo, le stesse persone offese perdano interesse a proseguire nell’azione penale, sia perché i rapporti tra le parti trovano un naturale assestamento, sia perché le vittime preferiscono chiudere ogni contatto con i propri aguzzini, cercando di rifarsi una vita come meglio possono.
Casi del genere rappresentano, per la complessa macchina della giustizia, sia una vittoria che una grossa sconfitta: se il sistema processuale si mostra fallimentare, non riuscendo nell’intento di tutelare la persona offesa dal punto di vista legale, la vittima è comunque riuscita a recuperare se stessa, metabolizzando il proprio dolore, magari nel tentativo di salvaguardare i propri figli naturali. Del resto, se per i reati procedibili a querela, relativi ad episodi di minore gravità, il processo penale può estinguersi agevolmente, diverso è il discorso per i reati più gravi, procedibili di ufficio, per i quali la macchina della giustizia va comunque avanti, a prescindere dalla volontà della persona offesa di far rientrare l’accusa originariamente sporta.
Tale è il caso della giovane E., tre figli con un marito violento, che è solito tempestarla di calci e pugni nel tentativo, infruttuoso, di limitarne la libertà di movimento e di pensiero. E. lo denuncia, in preda ad una vera e propria disperazione, riuscendo ad ottenere anche un divieto dello stesso di avvicinarsi a sé ed alle loro bambine.
Passano gli anni, il dibattimento arriva alla fase cruciale, eppure E. non vuole rovinare il proprio aguzzino, nonostante quello che le ha fatto e le numerose ferite, del corpo e della mente.
Lei, che ha trovato un nuovo compagno, vuole oramai solo dimenticare, godendosi la rinnovata serenità assieme alle figlie avute dalla precedente unione, già provate da anni e anni di vistose sofferenze. (mail: simonacara@libero.it)
(Fonte foto: Rete Internet)


