Sono migliaia i bambini che hanno uno dei genitori in carcere. Per evitare ulteriori guasti e disagi, è necessario intervenire con strumenti adatti per favorire la loro crescita personale e culturale.
Di Silvano Forcillo
La complessa realtà carceraria e il peso che essa ha sulle famiglie e sui figli dei detenuti, è un fenomeno, che investe non solo i singoli individui, o le singole famiglie, ma tutta la società, chiamata a interrogarsi su questo tema, per trovare risposte che non riguardino solo la “rimozione” e la “delega coatta”, che vede nel carcere l”unica soluzione dei problemi, ma anche soluzioni alternative, che prevedano la cura del disagio affettivo, economico, sociale, della devianza e della povertà.
Nei paesi dell”Unione Europea sono 800mila i bambini separati ogni anno dai loro genitori detenuti e il 30% delle persone detenute è a sua volta figlio di genitori detenuti.
In Italia sono circa 4.500 i bambini che hanno la mamma in carcere, mentre 90mila quelli che hanno il loro padre in cella.
Ci sono tantissimi bambini, che hanno più di 10 anni e non vivono il carcere con la madre, ma ne varcano tutti i giorni la soglia per incontrare il loro genitore detenuto, ed è bene ricordarlo, senza voltare insensibili, o inconsapevoli, la faccia dall”altra parte, che anche il genitore detenuto, rappresenta per questi bambini il legame fondante e irrinunciabile per la loro crescita affettiva e sociale.
Solamente ad un terzo dei bambini viene detta la verità sul genitore detenuto, agli altri vengono raccontate bugie o addirittura non viene data nessuna spiegazione per l”assenza, per anni e anni, del papà o della mamma, nè tanto meno viene loro spiegato e ricordato, che il genitore continua a volergli molto bene, anche se è in carcere e che anche lui soffre terribilmente per la mancanza del figlio.
I bambini di genitori detenuti sono, peraltro, quelli “doppiamente” colpiti, perchè non soffrono solo per la separazione dal proprio genitore, ma soffrono quotidianamente, anche a causa del marchio del reato, della vergogna, del rifiuto sociale e del conseguente isolamento che ne deriva.
Cosa si può fare per questi bambini e, in particolare, cosa possono fare i principali vicari e responsabili dell”educazione: docenti, genitori e professionisti della relazione d”aiuto, per favorire la crescita personale e culturale di questi bambini e il loro sano, attivo e partecipe inserimento sociale?
Anzitutto, bisogna essere ben preparati e aggiornati sugli insegnamenti delle nuove tecniche educative e di apprendimento e sulle nuove teorie della psicologia scolastica, dello sviluppo e, soprattutto, sulla dinamica e l”importanza della soddisfazione degli irrinunciabili bisogni dell”essere umano così, come insegna la psicologia della “Terza Via”, o “Umanistico-esistenziale” di Maslow e Rogers. I due studiosi, infatti, sostengono la necessità di saper riconoscere, definire e rispettare i bisogni fondamentali dell”individuo in crescita, perchè si crei un efficace e motivato rapporto sociale, in particolare, nei bambini di genitori detenuti, ma anche nei bambini che non vivono questa difficile e complessa realtà:
– “Need for affiliation”: bisogno di stabilire o ripristinare rapporti positivi, sotto il profilo sociale e affettivo con gli altri. Il bisogno irrinunciabile di essere accettati, rispettati, stimati, amati e integrati nel gruppo-classee nel gruppo-sociale.
– “Need for power”: bisogno di esercitare la propria influenza sugli altri, di determinare il comportamento degli altri, di controllare i mezzi atti a subordinare gli altri alle proprie decisioni, o al proprio volere.
– “Need for achievement”: bisogno di successo, bisogno di raggiungere parametri eccellenti nelle proprie “perfomances”, di realizzare gli obiettivi prefissati nel migliore dei modi.
L”adolescente cerca, sperimenta e costruisce la propria identità, attraverso le interazioni e le relazioni con gli altri e i rischi che comportano una conoscenza e un apprendimento statico e obsoleto sono molto pericolosi e, peraltro, sviluppano e reiterano maggiormente, in loro, gli atteggiamenti inaccettabili e negativi, quali:
– ostacolo alla crescita personale, sociale e interpersonale
– impedimento al cambiamento e al miglioramento
– aggressività, bullismo, violenza e anomia.
Un efficace e positivo processo di cambiamento, lo determina, senza alcun dubbio, anzitutto, un diverso modo di vedere e di porsi nei confronti dell”adolescente. Il bambino/persona va visto come un “essere in sviluppo”, senza condizionamenti legati al suo passato, o alla vita dei suoi genitori. Trattare e considerare l”altro, come diverso, immaturo, problematico, nevrotico o sofferente, ostacola il suo processo di cambiamento e miglioramento culturale, sociale e interpersonale e, soprattutto, diminuisce le opportunità di essere quello, che secondo la sua tendenza attualizzante tenderà a diventare.
Spesso i docenti e i genitori si lamentano per l”atteggiamento aggressivo e violento, in classe e in casa, di questi bambini, visti, proprio per questa loro aggressività, come “diversi”, “svantaggiati” e, come un serio pericolo per i bambini “buoni, attenti, volenterosi e meritevoli” che, invece, soddisfano le attese e le aspettative dell”adulto: “effetto pigmalione”.
I docenti e gli adulti dimenticano, o forse non sanno, che l”aggressività fa parte delle componenti affettive della persona, fa parte del suo potenziale di azione e di attività, e positivamente considerata può avere, anche, un valore di efficace e positivo dialogo.
L”aggressività serve al bambino, proprio per soddisfare i suoi bisogni, quindi, è utile alla sopravvivenza e alla vita. L”aggressività, infatti, è una delle tre fondamentali emozioni primarie e positive (considerate positive e vitali, per lo sviluppo e la crescita personale e sociale dell”individuo, dalla psicologia umanistica) con le quali nasciamo: paura; rabbia; aggressività. L”aggressività è “Io sono“, “c”è anche il mio spazio!“. L”aggressione è sempre reattiva, essa è la reazione ad una minaccia interna, o esterna. Non a caso i grandi protagonisti della persona umana sono: l”amore e la paura. L”amore per se stesso e la paura dell”altro.
Allora cosa fare?
È necessario aggiornarsi, formarsi e acquisire le tecniche innovative della comunicazione e della relazione efficace e utilizzare le tecniche della conduzione e dinamica di gruppo. Occorre fare uso di un metodo didattico ed educativo, che non sia nè autoritario, nè permissivo, ma “non-direttivo” (Approccio Centrato sulla Persona e Approccio Centrato sul Discente).
In che modo:
Partecipando a corsi di formazione e aggiornamento professionale, per docenti, educatori e genitori, inerenti le nuove teorie, le tecniche e gli insegnamenti fondanti della psicologia della “Terza Via”, per acquisire le abilità e le competenze sinergiche alle personali responsabilità, e per svolgere efficacemente il ruolo di genitore, docente educatore.
L”Associazione per lo Sviluppo della Persona e del Potenziale Umano (ASPU), è da un decennio attivamente impegnata a diffondere la psicologia della “Terza Via”, in ogni ambito del vivere umano e a fare acquisire ai docenti, ai genitori, agli educatori e ai professionisti della relazione d”aiuto i suoi tre elementi costitutivi e fondanti: “accettazione e rispetto dell”altro, in quanto Persona“;“congruenza“; “empatia“. Ma si può, anche, leggere libri specifici, per cominciare a familiarizzare con questa nuova e innovativa psicologia. Mi limito a suggerirne due: Thomas Gordon: “Insegnanti Efficaci”, ed. Giunti & Lisciani, Torino– Thomas Gordon: “Genitori Efficaci”, ed. La Meridiana, Bari.
Desidero formulare, alle care lettrici e ai cari lettori de “ilmediano.it”, i miei più cordiali, sinceri e gioiosi auguri di un sereno, prospero e felice 2010.
(Fonte foto: Rete Internet)