“Fiore come me: dieci storie di vite spezzate”. Un libro verità di Giuliana Covella sul coraggio di donne uccise dai compagni, dalla camorra o torturate solo per aver difeso i propri figli.
Un fiore, una rosa… La bellezza racchiusa nella vitalità di petali colorati, sorretti da un gambo forte, tagliente, in grado di “pungere” chiunque osi cogliere un bocciolo che non gli appartiene. Storie di vite di donne, fiori aggiogati dalla camorra, che hanno pagato con il sangue il proprio diritto alla “libertà”, la libertà di vivere secondo i propri ideali, di ribellarsi a dettami criminali in grado di uccidere i corpi, ma non gli ideali.
E la donna è stato il tema cruciale del convegno tenutosi presso l’Aula Consiliare del comune di Camposano lo scorso 15 gennaio, in occasione della presentazione del libro “Fiore come me… Storie di dieci vite spezzate”, della scrittrice e giornalista Giuliana Covella. Un dibattito incentrato sulla “forza del sesso debole”, che nel corso dei secoli ha dovuto combattere per acquisire diritti che all’uomo spettavano di natura, e che ancora oggi in diverse parti del mondo viene discriminata, e nei casi peggiori punita, ogniqualvolta tenti di esprimersi per quella che è la propria natura.
Ad aprire i lavori, il parroco don Aniello Manganiello, nativo di Faibano di Camposano, ma che per anni ha guidato la comunità cristiana di Secondigliano, esponendosi in prima linea nella lotta contro la camorra. Dopo una breve parentesi sull’importanza di manifestazioni del genere, che hanno l’importante compito di “svegliare le coscienze” di paesi spesso presi solo da concerti e iniziative goliardiche, il sacerdote ha poi passato la parola al sindaco Giuseppe Barbati, che ha ricordato la presenza presso il comune di Camposano di uno sportello dedicato all’accoglienza di donne e uomini vittime di violenza, curato dalla dottoressa MariaRosaria Alfieri, specializzata in criminologia. Iniziativa che il primo cittadino definisce, lanciando una provocazione agli altri comuni dell’agro nolano, una voce del deserto.
Voce nel deserto in grado però di urlare, grazie alla professionalità di esperti come la dott.ssa Alfieri e di volontari che fanno dell’ascolto e dell’aiuto agli altri il proprio modus vivendi.
«Il nostro sportello – esordisce la dottoressa Alfieri – nasce a giugno a Camposano, non solo per la denuncia di realtà come lo stalking, ma per raccogliere testimonianze anche di casi di violenza verbale, economica, come quella di cui si rendono spesso autori molti mariti nei confronti delle proprie compagne. E’ dunque un centro di ascolto che si apre a 360 gradi sul territorio, accogliendo anche ragazzini che hanno problematiche scolastiche.
E’ proprio dai più piccoli che a mio avviso bisogna partire per combattere la violenza. Se c’è infatti un disagio nell’età adolescenza e tale disagio non viene sviscerato, è probabile che in futuro si sia autori o vittime di reato. Non si diventa criminali da un giorno all’altro, c’è un “percorso criminale”, quello che si vede in tv è solo la punta dell’iceberg».
«Tale iter – precisa la dottoressa Alfieri- inizia con il disagio, passa per la devianza per poi arrivare al crimine in senso stretto. Vista la gravità del fenomeno, credo sia importante “aprire” l’agro nolano a queste situazioni. Ho riscontrato mio malgrado una forte chiusura dei comuni del nostro territorio a tali tematiche. Spesso crediamo di trovarci in isola felice. Forse perché c’è poca sensibilizzazione verso tematiche scottanti come quelle della violenza in senso lato. Bisogna a mio avviso concretizzare, questo è primo passo verso la sensibilizzazione. Documentare con prevenzione, con azioni concrete nelle scuole per cambiare un retaggio culturale fin troppo radicato nelle nostre coscienze, purtroppo».
Dopo una parentesi sul ruolo della donna nel corso della storia e sull’importanza di educare anche a scuola alla parità tra sessi, stravolgendo quindi i dettami di una cultura come quella italiana che per anni è stata androcentrica, o se si preferisce misogina, la parola è passata nuovamente a Don Aniello, che ha introdotto la scrittrice Covella. Il parroco ha raccontato di aver conosciuto Giuliana in un momento difficile della sua vita, quando ha maturato la scelta di lasciare Scampia, un territorio teatro di criminalità e sangue, a cui Giuliana con i suoi articoli ha fatto da cassa di risonanza su “Il Mattino”, sino a dargli eco su tutto il territorio nazionale. Realtà che la scrittrice racconta in modo pungente in un libro che nasce proprio dal suo lavoro di cronista, come lei stessa racconta:
«Il mio libro scaturisce dal mio lavoro di giornalista, precisa Giuliana. Il titolo “Fiore come me”, è tratto da una delle dieci storie di donne, quella di Fiorinda, una donna ammazzata a colpi d’ascia dal marito e che tutti chiamavano con questo diminutivo, Fiore. Un appellativo che ho voluto metaforicamente estendere a tutte le donne di cui racconto. Delle storie raccolte nel mio manoscritto, cinque parlano di mogli uccise da compagni, altre cinque di donne ammazzate dalla camorra, o perché avevano semplicemente difeso i propri figli dai pedofili. Ecco perché non amo il termine “femminicidio”. “Femminicidio” non è solo “donna uccisa dal marito”, ma donna uccisa, punto».
«Le storie di cui parlo hanno un unico filo conduttore, l’amore per i bambini, per i propri figli, che tutti dovremmo avere. Ciascuna li difendeva quando era in vita a suo modo. Ci sono poi vittime innocenti di camorra, come Gelsomina Verde, 21 anni, vittima della guerra di camorra scoppiata a Scampia, che fu rapita, torturata e bruciata nella sua auto, solo perché fidanzata tre anni prima con uno scissionista. Ho conosciuto ogni singola donna attraverso il racconto dei familiari, attraverso i loro occhi, perché ho pensato che quello fosse l’unico modo per restituire alla vita ognuna di esse. Nel mio libro ogni singolo dettaglio è documentato, non c’è nulla di inventato», ha commentato la giornalista concludendo:
«Spesso mi sono chiesta cosa può fare un libro per fermare tutto questo? Credo che un libro possa gettare un sassolino nello stagno, è vero. Ma è anche vero che su dieci delle vittime di cui ho raccontato, quattro sono state “ricordate”, due dal comune di Napoli. A Gelsomina Verde ad esempio è stata intitolato un premio letterario nella scuola che frequentava. A Fiorinda, il cui caso si era chiuso con riduzione della pena dell’assassino per infermità mentale, è stata data un’ulteriore possibilità di giustizia grazie alla caparbietà del suo avvocato che ha quasi ottenuto la riapertura del processo. Da cittadina poi ho pensato di devolvere interamente il ricavato ai familiari di queste dieci donne».
Una goccia in un oceano, un oceano che finalmente profuma di legalità.