Anche i nani hanno cominciato da piccoli

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Datato 1970, questo film di Werner Herzog resta una delle opere più disturbanti, grottesche e atipiche della storia del cinema. Un cult per appassionati da vedere e rivedere.

Regia di Werner Herzog, con Helmut Döring, Gerd Gickel, Paul Glauer
Durata: 80 minuti
Genere: grottesco

Quasi nascosto all’interno della lunghissima carriera di Herzog, questo cult di inizio anni Settanta è uno dei film più atipici della storia del cinema. E nella sua stranezza si porta dietro un legittimo interrogativo: dobbiamo considerarlo seriamente o è una colossale presa per i fondelli?
Dall’inizio siamo catapultati in un imprecisato luogo del Mediterraneo dove un gruppetto di nani – segregati in una struttura gestita da uomini per fini non chiari – prende d’assalto la casa di un fantomatico “direttore”, all’interno della quale un altro nano fa la guardia al piccolo capo del gruppo, catturato e legato ad una sedia.

Partito come un gioco, il comportamento dei nani avanza verso una violenza sempre più marcata e immotivata, con i piccoletti impegnati in un vasto campionario di distruzioni e crudeltà, dall’uccisione di un maiale alla crocifissione di una scimmia. Tra una devastazione e l’altra e approfittando dell’assenza dei superiori, ogni tanto ritornano sotto la casa del direttore per chiedere la liberazione del loro capo, che intanto non fa altro che ridersela mentre assiste alle urla e alle minacce che il suo carceriere lancia agli altri nani.
Ottanta minuti consacrati ad un manipolo di nanerottoli che distruggono a casaccio, ridendosela allegramente. Il film non ha niente che ricordi da lontano una “storia”.

Siamo lasciati all’oscuro di tutto quello che potrebbe aiutarci a dare un senso alle scene che vediamo sullo schermo. Non sappiamo in che rapporto sono i rivoltosi con il nano nella casa del direttore né perché il loro presunto capo sia stato catturato. Non conosciamo la natura del villaggio/colonia. Un super-ghetto? Un ospedale? Un campo di reclusione? Non vediamo uomini “normali” in giro, tanto meno il direttore che dovrebbe essere a capo di tutto e di cui possiamo immaginare l’esistenza solo dalla dimensione di alcuni oggetti (il letto grande o le riviste).

Formalmente il film esaspera la monotonia, girando in tondo come l’automobile che si vede spesso, abbandonata dai nani al suo insensato girovagare. La fine e l’inizio potrebbero essere posti arbitrariamente in qualsiasi momento. Le scene espongono lo spettatore esterrefatto al sadismo e alla cattiveria dei nani senza dargli la possibilità di trovare una spiegazione o una logica alla distruzione. Al primo sguardo, Anche i nani hanno cominciato da piccoli è un’esplosione compiaciuta di rabbia immotivata, che infastidisce non solo perché non ne conosciamo l’origine ma soprattutto perché si ha la sensazione che il regista cerchi lo shock facile attraverso l’esaltazione della ripugnanza fisica, prima che morale, dei protagonisti.

Ammettiamolo: per molti questo film di Herzog avrà tutte le caratteristiche della “cagata pazzesca” di fantozziana memoria. Tralasciando la lunga sequenza di perversioni – sgradevoli, in particolare, gli scherzi cattivi a due nani ciechi e le violenze ai danni degli animali – basterebbero le due scene finali ad allontanare ogni curioso. Nel pre-finale vediamo il nano carceriere che, fuggito dalla casa e dopo aver percorso il giardino improvvisamente deserto, se la va a prendere – udite udite – con un albero, reo di “indicarlo” in modo molesto con il proprio ramo sporgente. Un improvviso stacco di montaggio ci trascina poi di fronte al nano più piccolo, immortalato mentre con la sua risata malefica – la stessa risata insopportabile che ha fatto da colonna sonora a tutto il film e alle nefandezze dei compagni – sbeffeggia per diversi minuti un dromedario (!) che non riesce ad alzarsi sulle zampe.

A questo punto potrebbe sembrare inutile ogni tentativo di salvare il film. Eppure, prima di tirare in ballo il simbolismo, c’è un dato indiscutibile. E’ impossibile rimanere emotivamente indifferenti a questa sovraesposizione alla brutalità. Potremmo prendercela con Herzog per l’assenza di ogni costruzione logica, ma sotto la rabbia, ad ogni scena, aumenterà inesorabilmente il fastidio per il caos che vediamo sullo schermo.
Ma dietro al disturbo istintivo si nasconde altro. Le immagini dei nani che ghettizzano e infastidiscono i loro compagni ciechi o più deboli, che torturano gli animali, sembrerebbero suggerirci l’idea di una sopraffazione “a cascata”: un gruppetto di reclusi e handicappati che riproduce al proprio interno quelle dinamiche di prevaricazione ed esclusione delle quali è esso stessa vittima. Non c’è comprensione nella sofferenza, ma soltanto una spinta a riprodurla a tutte le scale, tormentando chi è socialmente o fisicamente inferiore.

Una tale interpretazione, pur coerente, sembra però cedere il passo con lo scorrere dei minuti ad un’ipotesi ancora più agghiacciante. L’assenza insistita dell’elemento “normale” (l’uomo) elimina il termine di paragone in grado di mettere il risalto la diversità del nano. Si fa strada così una certa indifferenza alla menomazione dei protagonisti, tanto da far pensare che niente sarebbe cambiato nello sviluppo del film se i personaggi avessero avuto delle sembianze fisiche comuni. Quella che viene presentata nei primi minuti come anormalità fisica (l’essere nani) e morale (l’essere cattivi senza motivi apparenti) si trasforma in modo inquietante nella sola normalità possibile, perché è l’unica realtà che il film contempla. Herzog – ed è questa la straordinaria potenza del film – ci suggerisce che il sadismo e la violenza sono la regola nel funzionamento del mondo. Che si colgano o meno le numerose metafore del film, l’inesorabilità e l’insensatezza della malvagità inscenata riescono ad inquietare lo spettatore senza filtri cervellotici.

Paragonato spesso a Freaks (1932), Anche i nani hanno cominciato da piccoli si colloca in realtà su un livello completamente differente, sia per l’assenza di una narrazione articolata sia per il messaggio finale: se nel capolavoro di Browning l’accento era posto sul rapporto tra uomini e creature anormali, nel film di Herzog la mostruosità dei “diversi” è assoluta, diventando l’allegoria di una natura universale corrotta nella forma e nella sostanza.
Sotto le sembianze di un gioco grottesco si nasconde in realtà una delle rappresentazioni più cupe dell’efferatezza umana. Lo stesso titolo sembra nascondere un piccolo paradosso che sintetizza il senso del film. Quando si è piccoli a vita, tutto “comincia da piccoli”.

I nani sin da piccoli – cioè da sempre – sono normalmente portati alla violenza. Herzog sceglie di non rinchiudere le sue teorie sulla cattiveria dell’uomo nei confini di una storia tradizionale, ma le affida alla follia di questi piccoli deformi, alla loro mostruosità fisica e a quella spirituale che si abbracciano mostrando quanto, tolta la rassicurante maschera del “diverso”, sia umana la crudeltà.
Voto 8/10