Riceviamo dal cittadino sommese C.S. e pubblichiamo.
Dignità.
Se si cerca questa parola sul vocabolario, si possono trovare innumerevoli concetti, ma chi più chi meno ne conosce il significato. Noi giovani del Sud, considerata la grande crisi sanitaria, è quella che stiamo perdendo man mano, un po’ alla volta. La stragrande maggioranza sa che al sud, se vuoi lavorare, nel 90% dei casi devi farlo a nero, sottobanco, o questo o niente. Bene, si fa questo per arrangiare, per andare avanti, in attesa magari di un qualcosa di migliore, che però non arriva mai.
Ora, grazie alla zona rossa, non ci si può spostare se non per motivi di lavoro o necessità. Lungi da me pensare che la crisi sanitaria non meriti il dovuto rispetto, per la lotta dei medici, per le persone che stanno soffrendo e combattendo le loro battaglie, ma io voglio lanciare un campanello, anzi un grido di allarme, forte e chiaro. Senza un briciolo di lavoro voi ci seppellite, ci murate in casa, ci togliete quel poco di dignità che ci resta.
La situazione rende tutti i giovani come me umiliati, inutili…
Ho 29 anni, sono giovane, vivo a Somma Vesuviana e vorrei essere capito e aiutato. Le istituzioni tutte, sindaco, onorevoli deputati, ministri e anche il caro presidente Conte, ai quali mi sono rivolto, non si sono mai degnati di rivolgermi un messaggio, una parola, uno sguardo, una possibilità, un’opportunità di riscatto. Ti dicono tutti che se vuoi lavorare devi spostarti al Nord, zona civilizzata, ricca di offerte lavorative, dove puoi sentirti realizzato, dove puoi costruirti una famiglia, un futuro, una “carriera”. Non voglio lasciare la mia città, il mio Paese, e trasferirmi altrove come molti giovani della mia età, vorrei mantenere le mie radici e far capire a voi cariche istituzionali che il grido d’aiuto non arriva solo in forma silenziosa, come fanno tutti quelli che si lamentano della mancanza di lavoro, ma senza fare nulla.
Sappiamo bene che al Meridione risiede uno dei tassi di disoccupazione giovanile più alti d’Europa, ma chiedo una mano proprio in questo momento di grande difficoltà. Nelle tante ore di diritto che ho fatto a scuola, mi avevano insegnato che la nostra costituzione è la più bella del mondo, la più moderna, pensata affinché tutti i pezzi dello Stato si incastrino in modo perfetto.
Io non ci credo più. Non ci credo più perché il lavoro non è più un diritto né un dovere dell’italiano.
Ridatemi la mia dignità, ridatemi la mia vita.
Concludo ricordando alle alte cariche una massima di Oriana Fallaci: “Non si fa il proprio dovere perché qualcuno ci dica grazie, lo si fa per principio, per se stessi, per la propria dignità.”