Somma, istallazione opera sul portale della Collegiata: riflessione di Mary Pappalardo

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Riceviamo  dall’artista Mary Pappalardo e pubblichiamo

“UN CASO DI MALA “SANITA’” CULTURALE: L’Arte contemporanea a Somma Vesuviana.
Immaginate di affidare la vostra salute a un “signor X” o “signor Y”, appassionato di medicina ma privo di ogni competenza professionale. La domanda è, ovviamente, retorica, ma è l’unica via per comprendere appieno la gravità di quanto accaduto al Casamale domenica 26 ottobre 2025. Quello che doveva essere un piccolo progetto di promozione culturale si è rivelato un danno evidente per la vera cultura dell’Arte.

Il fulcro della vicenda è l’edicola del magnifico portale settecentesco della chiesa Collegiata di Somma Vesuviana. Due associazioni locali hanno deciso di colmare il vuoto della nicchia, commissionando un’icona della “Madonna della Sanità”. I committenti, dopo una presunta “cernita di qualità”, hanno scelto un artista romano. L’opera è stata regolarmente realizzata e ha ottenuto l’approvazione della Soprintendenza e della Diocesi, concludendo un lungo iter. Tuttavia, prima dell’inaugurazione, è emerso un problema.
L’artista, mai nominato durante i fatti, ha espresso la sua profonda indignazione denunciando che la sua opera era stata palesemente danneggiata: graffi, opacizzazione e colla che sbavava. Ha dichiarato che “è stato mancato di rispetto a causa dell’incompetenza, dell’insensibilità, dell’incuria e della mediocrità di chi avrebbe dovuto promuoverla e valorizzarla.”

Per tale ragione, l’artista ha ufficialmente disconosciuto la paternità del suo lavoro. La situazione è stata gestita in modo quanto mai discutibile, con tentativi frettolosi di riconciliare e rimediare all’inconveniente. Nonostante tutto, l’evento è stato mantenuto e promosso, ma senza la presenza dell’artista, come un matrimonio celebrato in assenza della sposa. Ciò che risulta oltremodo grave è la gestione comunicativa degli
organizzatori e della Soprintendenza nel giorno della presentazione dell’opera.

Le loro successive dichiarazioni non solo imbarazzano, ma turbano
profondamente: “Il nome dell’artista è meno importante del suo valore storico…”
E ancora: “…tanto che anche in questa chiesa ci sono opere antiche di cui non
si conoscono i nomi degli artisti…”

È un paragone grottesco. Se per le opere di secoli fa gli storici si affannano con fatica e passione per rintracciarne la paternità, qui, sovvertendo ogni logica, si omette il nome di un artista contemporaneo, pur conoscendolo. Questa negligenza ha il sapore di una vera e propria Damnatio Memoriae. La critica si è aggravata con altre affermazioni: “Noi facciamo arte contemporanea…anche se è un pretesto, lo facciamo solo per stare insieme.” “A noi non interessa l’arte, interessa la comunità.”

Siamo all’assurdo. I promotori si auto-dichiarano artisti o fautori dell’arte, pur
ammettendo che l’oggetto del loro interesse non gli interessa! Questa è una autodichiarazione contraddittoria che rivela un’incompetenza in questo ambito. I committenti ambiscono a sostituirsi all’artista, ma attenzione, lo fanno solo per il piacere di “stare insieme”.

Personalmente penso che sia doveroso puntualizzare che L’ARTE NON È UN HOBBY, MA UNA PROFESSIONE SERIA E NECESSARIA! La discussione è poi scivolata sulla presunta deteriorabilità dell’arte moderna, quasi un alibi per l’inevitabile “difetto” dell’opera. Se è vero che dal Novecento gli artisti hanno esplorato la caducità dei materiali, cercata o
inesorabile, questo non significa affatto che l’accettazione decadente di un’opera danneggiata sia la regola. Celebrare la bellezza di un oggetto consunto è un esercizio di gusto per l’osservatore, ma non può in alcun modo essere un fattore positivo per chi aspira alla sua permanenza nel tempo. Ancor meno accettabile è sostenere che un’opera sia “bella” anche quando a rovinarla, o modificarla, non sia stato solo il tempo, ma la mano umana.

In sintesi, l’artista non conta, ma i “segni del tempo” e gli eventuali incidenti subiti dall’opera sono elementi affascinanti per i moderni committenti del mio borgo. È come sostenere che la Pietà di Michelangelo, dopo l’aggressione di un folle e il successivo restauro, sia più bella di prima perché un elemento esterno (o addirittura un danno) ha contribuito a darle un quid in più.

Ultima analisi:
La Soprintendenza, per approvare un progetto simile deve dare valore all’idea, alla tecnica ed anche all’artista che realizza l’opera. Privileggiando un nome si sceglie la sua ricerca, il suo percorso professionale, la sua capacità tecnica, il suo valore espressivo e di mercato. Venendo meno quest’ultimo, senza la sua legittimazione, l’opera vede cadere gran parte del suo pregio. Senza una volontà di autenticazione l’opera è A-Nonima e carente di valore.
Mi chiedo come possa aver accettato la Soprintendenza, di continuare ad approvare l’installazione di un manufatto orfano del proprio creatore, come non abbia rimandato o bloccato ciò che precedentemente e differentemente approvato. Un taglio in un qualsiasi vostro jeans non è la stessa cosa che un taglio in una tela di Lucio Fontana.

Ricapitolando, il messaggio negativo che con quest’evento è passato si può sintetizzre con:
L’artista non conta.  L’opera d’arte non conta. I committenti invece si perchè “per loro l’importante è stare insieme a regola d’arte.”
Riscrivo la stessa logica in un altro contesto (che forse risuona con più chiarezza): I soccorritori ci sono, sostengono la barella, stanno con il malato anche se lo lasciano agonizzante perchè il chirurgo non conta. L’operazione non è poi così necessaria”.

Mary Pappalardo