Prof. Sgarbi, perché gli Ottavianesi non si interessano della loro storia?

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E’ la domanda che rivolgeremo a Vittorio Sgarbi. L’illustre critico  e storico dell’arte mercoledì, 3 novembre, a partire dalle ore 17  parlerà, nel Palazzo Medici, della valorizzazione del patrimonio culturale. Sarà utile  aprire la discussione sullo spesso velo d’oblio  che gli Ottajanesi hanno steso da tempo sulla loro storia.  L’immagine di corredo è quella di un quadro di Giorgio Vasari in cui, secondo gli studiosi, è raffigurato quel Bernardetto de’ Medici che nel 1567 comprò, con la moglie Giulia,  il feudo di Ottajano.

 

E poiché la parte più preziosa del patrimonio artistico  di Ottaviano è custodita nelle chiese e nelle congreghe, pare utile ricordare ciò che Sgarbi dichiarò nel 2012: “È vero che il patrimonio è proprietà di ogni cittadino, quando ne sia cosciente del valore. Insensato e falso dire, con altra e forzata contrapposizione manichea, che sia «laico», perché il patrimonio culturale italiano è non soltanto cristiano per tradizione, per religione e civiltà, ma è in larghissima misura custodito, se non amministrato, da preti, che vanno ammirati per avere tenuto insieme i valori estetici e quelli spirituali e, con ciò, l’aura delle opere d’arte con la conservazione delle funzioni originali, nella liturgia (soprattutto quando abbiano resistito all’adeguamento alle norme conciliari – vedi lo scempio, che Settis ben conosce, – della cattedrale di Pisa). Pensiamo a quali stravolgimenti abbiano patito edifici civili («laici» per l’appunto) e trasformati in uffici pubblici, con insopportabili mortificazioni. La «laicità» del patrimonio artistico è una assurdità programmatica e ideologica. Gran parte del nostro patrimonio è religioso e, fortunatamente, a religiosi affidato. Laica è la tutela.”. (IlGiornale, aprile 2012).  Nel patrimonio culturale di una comunità entrano non solo le opere d’arte, ma anche gli avvenimenti, i personaggi, l’economia, i modi del “sentire” sociale. La città di Ottaviano è stata governata e controllata per tre secoli, ininterrottamente, da un ramo importante dei Medici di Firenze;  ha avuto, fino al 1893, più abitanti di qualsiasi altro Comune della provincia di Napoli ( fatta eccezione di Napoli, ovviamente, e dopo il 1890, di Castellammare ); ha istituito il primo Ginnasio della provincia; i suoi produttori di vino e di liquori hanno vinto premi in tutta Europa; è stata frequentata dai Carelli, dai Palizzi, da Smargiassi, da E.A. Mario, da D’Annunzio, dalla Serao; occupa un posto drammaticamente importante nella storia delle eruzioni del Vesuvio. E se di tutto l’immenso “praedium” della famiglia degli Ottavi è il solo luogo che nel nome conserva la memoria di quel rapporto, una qualche ragione ci deve pur essere. E sterminato, e prezioso, è il tesoro di documenti relativi alla storia di Ottaviano conservati negli Archivi di Stato. Eppure questa comunità,  considerata, in tutto il territorio, sensibile ai valori della cultura, per decine di anni ha trascurato la sua storia, si è impegnata a dimenticarla. Qualche pagina, anche profonda, su questa storia l’hanno scritta Silvio Cola, Adolfo Ranieri, Francesco D’Ascoli, Raffaele Mezza; ma la sola “storia di Ottaviano” organicamente strutturata è quella di don Luigi Saviano, del quale scrivevo nel 2015: “Egli consultò gli archivi della Curia nolana, gli archivi di alcune famiglie, i manoscritti del Ranieri, l’opera del Remondini e prestò attenzione alla tradizione orale, spesso attendibile, talvolta fantasiosa. Ma non lesse nessuno dei documenti dell’archivio comunale, e non aprì nessuno dei fasci – sono migliaia – di carte “ottajanesi” conservati negli archivi statali a Napoli, a Caserta, a Salerno. I volumi più interessanti della sua opera sono il III e il IV, dedicati alla storia religiosa e ai personaggi di Ottaviano”: ad alcuni aspetti della storia religiosa e ad alcuni personaggi. Solo nel 1999, mentre scrivevo il mio libro sui Medici (vedi immagine in appendice), capii quanto fosse importante la storia della mia città. Sistematicità, attenzione per la “storia alta” e conoscenza vasta e profonda dei documenti d’archivio sono le caratteristiche del libro che Luigi Iroso ha scritto, successivamente, sui Medici. Era fatale, con queste premesse, che le scuole dedicassero pochissimo spazio alla storia della nostra città: e questa “distrazione” si incrocia oggi con il disinteresse che i giovani mostrano per lo studio della storia in generale, anche perché il metodo della filologia storiografica e la cultura dei “fatti” sembrano estranei alla loro visione del mondo e alla loro concezione del sapere.  Questo disinteresse si estende ormai anche alla storia dell’arte: dici a ragazzi che hanno frequentato il Liceo  che nella chiesa di San Michele c’è un “San Giovannino” di Guido Reni, ripeti più volte “Guido Reni” e quelli ti guardano con crescente fastidio, e il loro sguardo  ti chiede, irritato, “ma chi è, questo Guido Reni?”.