Paranzaro per caso …

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'Ngoppa 'o Ciglio

… come per caso su questa terra per coglierne bellezza e significato. Il rituale del Sabato dei Fuochi visto da chi è capitato per sua buona sorte in una delle poche celebrazioni che esaltano la terra nella sua essenza. 

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Andare in montagna è una di quelle esperienze che ti mette a confronto con te stesso, e non soltanto dal punto di vista fisico, ma anche e soprattutto per quello mentale, e in special modo quando si arriva ad un’età che si cammina più con la testa che con le gambe. Anche quest’anno sono salito sul Somma per andare a trovare la Mamma Schiavona, sono salito con i miei soliti dubbi e i miei perché ma trovando ancora una volta la risposta, quella della fratellanza che spesso mi accomuna con chi, dire che è diverso da me, è dir poco.

Se c’è infatti un luogo, là dove non esistono differenze, è ‘o Ciglio e lo è soprattutto durante le devozioni poiché è quello il momento magico in cui si abbassano le barriere, il momento in cui sotto l’unico ideale eterno della Madre, tutti sono uguali: la conclamazione in questo giorno di un sentimento grande, unico e di tutti.

Anche quest’anno, come dicevo, sono salito, e del resto non avrei potuto farne a meno poiché anche io ormai mi sento parte di questo rituale ancestrale e nun m’a sentevo e schiattà ‘nta ‘na casa ; e l’ho fatto ancora una volta di notte, l’ho fatto per la solitudine, l’ho fatto per il silenzio, ma anche perché avrei voluto volentieri evitare ‘e viagge delle scassarole che salivano alla Traversa e il loro fumo intossicante. Purtroppo non ce l’ho fatta a salire prima di loro come l’anno scorso e questo nonostante la levataccia alle tre del mattino. Poco male, per aspera ad astra, e le stelle mi hanno accompagnato fino alla Traversa e il sole fino al Ciglio.

Inutile dire l’emozione del primo saluto alla Traversa, anticipato dalle urla e dagli schiamazzi dalle auto che salivano, ma soprattutto il saluto affettuoso delle persone che vedi solo una volta all’anno ma carico dello stesso affetto di sempre e se è possibile di più, perché il sommarsi degli anni accresce l’amicizia, il rispetto e un senso di appartenenza, così vicino ma ancora così distante per uno come me che appartiene a tutti e a nessuno e forse solo a se stesso.

Salire ‘ngoppa ‘o Ciglio non è infatti un’abitudine e non è una spacconata, ma è una devozione e lo è anche per chi non è credente in senso stretto, lo è anche per chi crede solo nell’uomo, perché come dice Salvatore “’a devozione è devozione” e così porta il suo pegno, così porta la sua pesante connola rifiutando cortesemente il mio aiuto. Chi potrà capire questo sentimento se non vi partecipa con l’anima oltre che col corpo? Con l’anima di chi ci crede! Di chi vuol dare un significato altro alle cose! Cosa ne sanno quei borghesucoli e quei fricchettoni che salgono fin qui per vedere i paranzari quali animali rari in estinzione? No! Non capiranno mai niente se non vivranno, e non capiranno se non condivideranno quell’emozione. La devozione non è una sagra qualsiasi, la devozione non è mangiare e bere a sbafo ed esige quindi rispetto, il Sabato dei Fuochi viene vissuto con trepidazione ed aspettativa tutto l’anno ed ha un valore rituale ed iniziatico che no va giudicato approssimativamente da chi lo vede a valle, da chi non si sporca le scarpe, o da chi lo valuta con sufficienza dopo un tocca e fuga; il Sabato dei Fuochi è una metafora di vita ma è anche l’unico momento in cui si celebra il territorio nel Vesuviano, si celebra la Terra Madre nella sua essenza e non nell’apparenza.

Arrivati alla Cappella del Ciglio si rivolge il rituale saluto alla Madonna, raffigurata nelle sue essenziali forme popolane, ma per chi l’ama è degna di una scultura di Michelangelo, ci si inginocchia, si prega, si resta immobili e fissi per rispetto e poi si riparte per questa avventura che è la devozione del Sabato dei Fuochi. Si sbrigano subito le prime attività, c’è chi svolge silenziosamente i suoi compiti da sempre e lo fa con la passione e la consapevolezza del suo compito che lo investe in quel giorno, giorno che si vive per tutto l’anno.

Il momento più toccante è però quello della benedizione laica, là dove vedi inumidirsi anche gli occhi di energumeni con i quali valuteresti seriamente di argomentare questioni di precedenza automobilistica, di fila ad uno sportello, tifo calcistico o altre simili amenità. I vecchi della paranza tradiscono con le loro parole l’emozione degli anni vissuti tra il Ciglio e la Traversa, tra la Cappelluccia e la Strascina e sanciscono il rito col vino e l’umanità che spesso lo ha usato e forse l’usa ancora come tramite tra il terreno e il divino. Quest’anno l’emozionante preghiera di Mario Menna si è tramutata in un’orazione a due, tra lui, con la voce rotta dall’emozione di chi non è avvezzo alle folle e di chi tra i presenti l’accompagna nella preghiera.

Quest’anno è salito per la messa il nuovo arrivato del Casamale, padre Hui che come un marziano è atterrato tra noi e come un napoletano si è ben presto adeguato al gruppo, prima e dopo la messa che ha celebrato come consuetudine nella piccola cappella del Ciglio. Tutto il resto è il solito contesto fatto di curiosi, escursionisti, Croce Rossa, Protezione Civile ma la paranza vola in alto, più in alto, almeno durante il Sabato dei Fuochi.

L’ultimo pensiero di questo mio estemporaneo racconto è volto alle donne, alle donne della Paranza, ad Agata, Sofia, Lisa, Amelia e mi scuso se per scarsa memoria non menziono le altre altrettanto meritevoli di ammirazione. Loro che quest’anno ho incontrato durante l’ascesa al Ciglio e che mi hanno accolto con la loro grazia e la loro amicizia, loro che, al momento giusto, mi hanno fatto sentire parte della Paranza, e non per caso.

A loro, e a tutto questo penserò quando, un giorno come un altro, volgerò il mio sguardo verso l’alto e scorgerò la luce della cappella dalla 268, mentre girovagando nella mia auto, si aprirà uno squarcio nella mia quotidianità.