La storia di una chiesa consacrata alla preghiera per le anime “purganti prive di ogni aiuto mondano”, delle anime “pezzentelle”. La particolare decorazione della “chiesa superiore” e di quella “inferiore”, destinata ad essere “terra santa” e sepolcreto. L’importanza del quadro “ La Madonna delle anime del Purgatorio” di Massimo Stanzione – l’immagine apre l’articolo – e dell’opera di Andrea Vaccaro “ La morte di San Giuseppe”: il superamento del caravaggismo e l’apertura di un nuovo capitolo nella storia della pittura napoletana del ‘600.
A Napoli, all’incrocio di via Tribunali con via Nilo, c’è la chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio, detta anche Purgatorio ad Arco da una “torre d’arco” che venne demolita per ordine del viceré don Pedro di Toledo. Nei primi anni del sec. XVII venne costituita una congrega che si proponeva di far celebrare messe ogni giorno per i “fratelli” della congrega e per “tutte le altre anime purganti prive di ogni aiuto mondano”: insomma, per le anime “pezzentelle”. La congrega, il cui statuto venne approvato nel 1606 da papa Paolo V, ebbe la sua sede prima nella parrocchia di Sant’ Arcangelo a Baiano, poi nella chiesa della Rotonda, successivamente in quella di Sant’ Angelo a Nilo: infine, essendo copiose le “elemosine”, la congrega decise di costruire una nuova chiesa, questa di Purgatorio ad Arco. Secondo Renato Ruotolo, gli architetti della chiesa, che venne consacrata nel 1638, furono Giovanni Cola di Franco e Giovanni Giacomo di Conforto: ma non si può escludere che abbia ragione il Celano quando scrive che un notevole contributo al disegno e alla costruzione della chiesa venne dalla “bottega” di Cosimo Fanzago. La “bottega” del Fanzago e quella di Dionisio Lazzari costruirono all’ interno e all’esterno della chiesa la decorazione fatta di “teschi, femori, clessidre disposti secondo un’armonica e scenografica visione barocca della vita che si perpetua nella morte, ricordando con immagini funebri la caducità dell’uomo e la necessità di guardare alle anime ultraterrene” (V. Regina). Nei secoli la “terra santa” della chiesa inferiore divenne il centro più noto del culto dei morti e delle anime del Purgatorio. E questa particolare decorazione venne sistemata, ma non modificata, da Nicola Tammaro e da Pietro Ghetti, che, nei primi anni del’700, operarono significativi interventi sul “decoro” della facciata e delle cappelle laterali. Fanno parte del patrimonio della chiesa “La morte di Sant’ Alessio” che Luca Giordano dipinse nel 1661 e il “sepolcro di Giulio Mastrilli” che lo scultore Andrea Falcone “costruì” nel 1672. Giulio Mastrilli, morto nel 1652, intestò alla chiesa un cospicuo “lascito” che permise agli amministratori dell’epoca di completare la decorazione.. Ma i tesori d’arte più preziosi del sacro edificio sono due quadri, la “Madonna delle anime del Purgatorio” di Massimo Stanzione e “La morte di San Giuseppe” di Andrea Vaccaro. Nel quadro che lo Stanzione dipinse intorno al 1635 e che è collocato sull’altare maggiore “ la lezione di Caravaggio è ancora evidente in una serie di riferimenti iconografici che rimandano ad alcune opere del Maestro lombardo, in particolare alla tela delle “Sette opere di misericordia” che ispirò la figura della Madonna e quello sbattimento d’ali degli angeli, sospesi o tuffati per recuperare dalle fiamme le anime da salvare” (R. Ruotolo).
Ma lo Stanzione va oltre Caravaggio quando indirizza lo “slancio” delle figure dal basso verso l’altro e modera la struttura verticale con la straordinaria variazione dei punti di vista prodotta dal movimento degli angeli e delle “anime” e con la geniale disposizione a cerchio delle figure al centro della tela: insomma, Stanzione ci dice, con questa tela, che il barocco incomincia a confrontarsi con i modelli del razionalismo classicista e a privilegiare quella precisione e quella consistenza del disegno che caratterizza anche il quadro di Andrea Vaccaro, “La morte di San Giuseppe”, collocato sul terzo altare di sinistra. La mano tesa di Gesù e la mano destra di Maria indicano all’ osservatore qual è la linea di lettura dell’opera, e la parte oscura della tela serve soprattutto a mettere in risalto la parte più significativa della scena, il muto colloquio tra la Madonna e Suo Figlio: un quadro nel quadro. I colori di terra sono usati dalla tecnica sapiente di Vaccaro in tutte le loro gradazioni, dai toni lividi sul corpo di San Giuseppe alle calde sfumature sul volto della Madonna e sulla profonda, silenziosa tristezza di Cristo, ai corpi degli angeli che si intrecciano in alto, in un rituale che ormai è destinato a scomparire dalla pittura, e che qui serve soprattutto a bilanciare, nell’impaginazione, la spinta verso il basso “dettata” dalle dita tese della Madonna, dalla testa china di Cristo e dall’inclinazione del letto su cui è steso il corpo di Giuseppe. La raffinatezza della tessitura cromatica e il rigore del disegno sia nel profilo delle figure che nel disporsi del panneggio – e questo vale per entrambi i quadri – ci dicono che una nuova stagione sta iniziando nella storia della pittura napoletana del sec.XVII.