Riceviamo dall’Accademia Etnostorica e pubblichiamo.
Nel 1972, Eugenio Montale, dando alle stampe per i tipi di Rizzoli, Milano, Nel nostro Tempo, affermava che all’uomo di massa corrisponde il male di massa e che la conseguente solitudine aveva come effetto la provvisorietà dei rapporti con la Natura.
Il Poeta avvertiva che l’universo del sapere tendeva a una sempre maggiore totalizzazione delle conoscenze; quindi, cresceva la indifferenziazione tra gli appartenenti a una società globale omologata. Intanto, mentre per alcuni popoli il radicamento religione-politica significava l’immutabile del sacro nella storia, per altri continuava a venir meno, per una sorta di disaffettività, il rispetto della presenza del sacro nelle radici storiche delle proprie terre.
Di generazione in generazione, è vero, avevano affidato al timore del sacro la loro esistenza e la stessa rassegnazione alla dura fatica quotidiana, ma almeno quel freno evitava tensioni e conflitti ed il tempo, misurato nella ciclicità delle stagioni, diventava coscienza di una ripetitività nella quale il pensiero, l’agire e l’andare, si conformavano a un’ideale volontà superiore, che invece era valore del fare responsabilmente.
Ai Santuari si andava in pellegrinaggio e si tornava sereni, nella certezza che la preghiera collettiva avrebbe certamente ottenuto una gratificazione: la grazia, in un momento di bisogno, scontato dalla comunità sulla propria pelle.
Nel tempo della omologazione e dell’indifferenziato, la corsa all’automazione ed ai processi sempre più velocizzati di meccanismi, ha imposto ritmi vertiginosi: ci trasformiamo nella trasformazione e ci appaghiamo delle emozioni che si dissolvono prima di elevarsi a sentimento.
Non ci piace dilungarci su di un argomento che ci impegna a riflettere sulla provvisorietà dei rapporti con la Natura e con un sempre più intensificata attenzione agli automatismi, per cui, chissà se le macchine, che immagazzinano dati e velocizzano la produzione, saranno governabili dagli argomenti umani e dalla ragione che va verso senza ipotizzare mete.
Intanto, nella pandemia che ha travolto la globalizzazione in atto, alle massificate manifestazioni canore di resistenza nelle prigionie forzate, l’Italia, terra di Santi e di Eroi, non ha avvertito il bisogno di un ricorso collettivo all’aiuto celeste.
I divieti di assembramenti hanno, giustamente, evitato cerimonialità rituali che avevano, come si è detto, finalità aggreganti e formulazioni di voti comuni. Il 2020, intanto, vede un’iniziativa dedicata al Culto Mariano e le Tammorre, le voci della gente, danno luci di fede a sette paesi, nei quali, sono celebrati, in sette santuari, a vari titoli, i pregi di Maria. Chiaramente entrano nelle lodi celebrative residui di culti pagani, per cui, è difficile separare la Madre di Dio dalla madre terra, che ci nutre e ci governa.
Nel programma i pellegrini e artisti cantatori raggiungeranno, il 14 agosto, di notte, il Santuario di Materdomini a Nocera Superiore.
Questo luogo di culto custodisce un’immagine di Maria, Madre di Dio, scoperta da alcuni contadini, alcuni secoli prima dell’anno mille. Papa Niccolò II consacrò, nel 1060 la fabbrica primitiva, nella quale si registrarono molti miracoli. Rinnovato nel tempo, ad opera di imperatori e re, oltre che da abati benedettini basiliani, il Santuario è arricchito da opere di Schiavetti, Solimena, Diano, Guarini. Nel 1923, Pio XI volle che quello di Materdomini, assumesse il titolo di Basilica. Frequentatissimo luogo di culto, oggi la Basilica è arricchita di preziose reliquie, paramenti, un coro ligneo del 1832 e di un organo maestoso.
Le tammorre sosteranno dall’alba al tramonto del 16 agosto, presso il Santuario della Madonna dell’Arco che, secondo la legenda, deriva da un’antica edicola, ma aldilà delle citazioni storiche e dell’imponente repertorio di tavolette votive, attestanti gli avvenuti miracoli, riporta il pensiero a Maria, Arca Santa, nel cui ventre si rinnova il patto di alleanza tra Dio e l’Uomo con il sacrificio di Cristo ultima vittima consacrata. Il 20 agosto i pellegrini faranno sosta a Santa Maria a Castello, a Somma Vesuviana, un Santuario voluto tale dalla fede popolare. Vi è venerata una statua lignea della Vergine Miracolosa, onorata come Mamma Schiavona.
Le tammorre pellegrine sosteranno per tutto il giorno del 30 agosto al Santuario di Madonna dei Bagni, a Scafati. In quello vi si venera una Madonna col Bambino che non è seduto sulle ginocchia materne, ma è pronto a staccarsi da quel nido accogliente perché deve soccorrere chi lo invoca. L’immagine è dipinta in una tazza; è fonte generosa di miracoli e, dal XVII secolo, è meta di fedeli che vi accorrono da tutto il territorio circostante.
Il 1 settembre viene raggiunto il Santuario della Madonna Avvocata a Maiori, Salerno. Il Santuario spicca sul Monte Falerzio ed è composto da un monastero cinquecentesco, retto dai Camaldolesi, da una chiesetta che sostituì nel XX secolo quella originaria distrutta da un incendio e dalla grotta dell’apparizione, in cui, Maria, chiese un piccolo altare con la promessa di essere l’Avvocata dei fedeli. La devozione mariana nei canti popolari invoca Maria, perché nel giudizio di Cristo nomini a difesa le opere buone che rappresentano la tutela dell’anima nell’altra vita.
Viene poi visitato, il 5 settembre, per l’intero giorno e la notte, il Santuario della Madonna delle Galline, a Pagani, Salerno. La tradizione vuole, che nel XVI Secolo, alcune galline, razzolando, scavarono una tavola lignea rappresentante la Madonna del Carmine. La Madonna delle Galline è un luogo di culto rinomato, caro ai fedeli e sede di un’arciconfraternita, attenta alla storia dei miracoli, che si sono succeduti nei secoli. La popolazione del territorio si affida alla protezione della Madonna delle Galline, ai cui festeggiamenti, concorrono numerosissimi fedeli.
Le tammorre del mese Mariano, agosto-settembre 2020, concluderanno il pellegrinaggio, l’8 e il 13 settembre, presso il Santuario di Montevergine, Ospedaletto d’Alpinolo, Avellino.
Anche qui si mescolano ricordi pagani, isiaci e cristiani: la ritualità procede dal 1126, quando San Guglielmo volle che quel luogo ospitasse una comunità monastica, consacrata al culto di Maria, Madre di Dio. Montevergine resta il Santuario Mariano più amato dell’Italia Meridionale e la Juta (l’Andata), 2020, si propone come devoto ringraziamento per lo scampato pericolo dalla pandemia. Ritrovare i Santuari mariani e rinnovare in quelli i canti tradizionali, le tammurriate e i balli, a nostro avviso, è una significativa dimostrazione di come non si sia perduta la tradizione, aria che si respira, che ha ragion d’essere come riferimento essenziale in un mondo che sottrae dignità a religioni che già ebbero il pregio d’essere nazionali, mentre si radicano, come fondamentali, culti di intolleranza che non accettano né dialogo né confronto.