La rubrica che per noi cura il prof. Michele Montella, da oggi avrà lo stesso nome di un importante e famoso libro di Italo Calvino.
“Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma nè l’una nè l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà ad una tua domanda”.
Calvino I., Le città invisibili, ed. Oscar Mondadori p. 44
In omaggio alla nuova veste grafica e ai nuovi servizi del giornale online “il mediano.it” vorrei dare a questi appuntamenti quindicinali, che già da un anno ci fanno compagnia, il nome di un famoso libro di Italo Calvino “Le città invisibili”, romanzo innovativo e profondo che coltiva il nostro immaginario, facendoci riflettere sull’esigenza interiore di dare visione alle mille e sottili tessiture delle nostre vite, agli incroci dei desideri e al supremo bisogno di costruire comunità umane e umanizzanti.
“L’anima è la dimora della nostra sorte” scriveva Democrito più di duemilatrecento anni fa e, come filosofo, capiva perfettamente che il “demone buono” , la felicità di cui parlavano i Greci e che assicurava loro benessere e prosperità materiale, doveva essere accolta non quando si pensa di possederla, ma quando ci si sente da essa posseduti, perchè attiene ad una logica che è ben diversa dalla logica della ragione. Per questo motivo il problema di una gioventù triste e senza felicità è profondamente legato al tempo e alla cognizione che noi abbiamo di esso. Paradossalmente un giovane contiene più felicità di un vecchio, ma ne è meno consapevole. Quando gli anni sono ancora pochi nella nostra bisaccia non riteniamo che essi finiranno e non sempre riusciamo a sentirli amici; a volte i giovani hanno fretta di vivere e la vita che è in loro corre folgorata dall’amore per se stessa.
Solo in un secondo momento, nella fase adulta e straordinaria della vita, a torto così poco amata, ci rendiamo conto che il personale stato di equilibrio, deriva dalla bellezza del tempo, che ci ha aspettato e ci ha permesso di diventare ciò che siamo in questo momento, dopo la costruzione lenta e sofferta di un noi adulto e maturo.
Ecco perchè è importante accompagnare le nuove generazioni e stabilire con loro una relazione educativa profonda e prolungata, tale da aiutarle a distinguere il tempo consumato dal tempo vissuto.
I nostri figli hanno capitalizzato nei nostri confronti un grosso credito, attinente alla cura del sè, all’accompagnamento lungo le strade interiori della consapevolezza, del vedersi vivere e crescere.
Se questo manca ai nostri giovani per via della loro natura e di una comprensibile gioia di immergersi nel flusso vitale, abbiamo il dovere, prima di tutte le analisi sociologiche e lo studio dei dati statistici sui suicidi e le infelicità, di educarli a compiere la loro umanità che si esprime prioritariamente nella consapevolezza di appartenere a una comunità e di vivere un presente dinamico in grado di illuminare i rapporti con gli altri della luce della reciprocità, dello scambio di umanità nella mutua solidarietà, nel caricarsi ciascuno i pesi dell’altro. In questo modo la giovane anima diventerà la casa del destino e darà loro anche la gioia di lasciare spazio agli altri e ai diversi da sè.